Punito per tentata violenza sessuale anche se non ha attinto alle zone erogene della persona offesa

Irrilevante il fatto che la vittima abbia avuto la forza di reagire e di scappare via. Inequivocabile la condotta tenuta dall’uomo.

Ha seguito la vicina di casa in cantina. Poi, una volta lì, l’ha bloccata contro un muro e le ha fatto capire, in modo esplicito, di volere un rapporto sessuale. Pronta la reazione della donna, che ha colpito l’aggressore, riuscendo poi a scappare via. Il fatto è sufficiente per condannare l’uomo per tentata violenza sessuale” Cassazione, sentenza n. 3660/18, sez. III Penale, depositata il 25 gennaio . Il contatto. Ricostruito nei dettagli l’episodio, grazie alle dichiarazioni della vittima, i giudici, prima in Tribunale e poi in Appello, optano per la condanna dell’uomo, sanzionato con la pena, condizionalmente sospesa, di tredici mesi e dieci giorni di reclusione . Nessun dubbio sul fatto che l’approccio aggressivo nei confronti della donna sia valutabile come violenza sessuale , rimasta, per fortuna, solo allo stato di tentativo . Secondo il legale dell’uomo, però, la condanna va messa in discussione in Cassazione, poiché, a suo parere, la condotta posta in essere dal suo cliente non era oggettivamente idonea a violare la libertà di autodeterminazione della persona offesa, essendosi egli limitato a tenere la vittima per i polsi, senza attingere alle zone erogene . Questa obiezione viene respinta dai Giudici del ‘Palazzaccio’, i quali confermano, invece, la condanna pronunciata in Appello. In particolare, in Cassazione viene ribadito che il tentativo di violenza sessuale è configurabile non solo nel caso in cui gli atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere un abuso sessuale non si siano estrinsecati in un contatto corporeo, ma anche quando il contatto sia stato superficiale o fugace e non abbia attinto una zona erogena, o considerata tale dal reo, per la reazione della vittima . Logico applicare questa prospettiva alla vicenda in esame, poiché l’uomo ha chiaramente tentato di compiere atti sessuali , avendo seguito la donna in cantina , avendola afferrata per i polsi e scaraventata contro un muro e avendole infine manifestato chiaramente il suo desiderio di consumare un rapporto sessuale, dicendole Muoviti, fammi fare non c’è nessuno” .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 novembre 2017 – 25 gennaio 2018, n. 3660 Presidente Rosi – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con sentenza resa in data 31 marzo 2016, la Corte d'appello di Bari confermava la decisione emessa dal Tribunale di Bari in data 29 maggio 2015, che aveva condannato An. Ma. alla pena di anni uno mesi uno giorni dieci di reclusione, condizionalmente sospesa, in relazione al delitto di cui agli artt. 56, 609-bis cod. pen., così riqualificata l'originaria imputazione elevata ai sensi dell'art. 609-bis cod. pen., a lui contestata per aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere atti sessuali in danno di Sc. Fi. in particolare, dopo aver raggiunto la donna in cantina e dopo averle fatto capire che desiderava consumare un rapporto sessuale, a fronte dell'esplicito rifiuto opposto, l'afferrava per il petto sbattendola contro un muro, dicendole muoviti, fammi fare non c'è nessuno , reato non giunto a consumazione per la pronta reazione della persona offesa. Veniva altresì confermata la statuizione relativa al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile, da liquidarsi in sede civile. 2. Avverso l'indicata sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza perché adottata all'esito di un giudizio nullo, derivante dall'indicazione, nel decreto di citazione per il giudizio di appello, che, in caso di mancata comparizione dell'imputato, si procederà in contumacia, mentre il Ma., non presente all'udienza celebrata avanti alla Corte territoriale, è stato dichiarato assente. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, contestando il giudizio di attendibilità espresso dai giudici di merito in relazione alle dichiarazioni rese dalla persona offesa. In particolare, la Corte d'appello non avrebbe adeguatamente considerato la deposizione di Vi. Ma., la quale ha descritto la Sc. come persona rissosa e litigiosa, che, a dire del ricorrente, in passato aveva minacciato il Ma. sotto altro profilo, si lamenta che la versione offerta dalla persona offesa non avrebbe trovato conferma nella deposizione di altri testimoni, in particolare in quelle di due vicine di casa La. e Ca. . 2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza del tentativo, in quanto la condotta posta in essere dal Ma., che si è limitato a tenere la vittima per i polsi, senza attingere alle zone erogene, non era oggettivamente idonea a violare la libertà di autodeterminazione della persona offesa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, essendo i motivi manifestamente infondati. 2. Quanto al primo motivo, è agevole osservare che l'errata indicazione, nel decreto di citazione avanti alla Corte d'appello, della locuzione che, non comparendo, l'imputato sarà giudicato in contumacia, non integra alcun tipo di nullità, ma solamente un mero errore materiale. Invero, lo scopo, cui era destinato l'atto, è stato regolarmente conseguito, ossia la vocatio in iudicium, e correttamente, alla luce della disciplina introdotta dalla I. 28 aprile 2014, n. 67, che ha abolito l'istituto della contumacia, sostituito da quello dell'assenza, il Ma., non comparso all'udienza davanti alla Corte d'appello pur essendo stato regolarmente citato, è stato dichiarato assente. 3. Inammissibili sono i residui motivi, che, riproponendo le medesime doglianze avanzate con l'atto d'appello e disattese dalla la Corte territoriale con motivazione logica e completa, si appalesano generici. Invero, secondo il costante orientamento di questa Corte, deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti dal giudice del gravame, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito puntualmente e logicamente argomentate, sia per la genericità delle doglianze che così come prospettate solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato da ultimo, cfr. Cass., Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 - dep. 28/10/2014, Ca. e altri, Rv. 260608 . Va, al riguardo, precisato che, mentre per il giudizio di appello rileva solo la genericità intrinseca al motivo stesso, inteso quale indeterminatezza della doglianza, nel giudizio di cassazione assume rilievo, in relazione alla genericità anche il motivo che si caratterizza per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, la quale, non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, in tal caso non assolve la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso essa, dunque, deve ritenersi meramente apparente e ricade perciò, a norma dell'art. 591, comma 1, lett. c , cod. proc. pen. nell'inammissibilità Cass., Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005 - dep. 25/03/2005, Gi., Rv. 231708 . 4. Venendo al caso in esame, si deve osservare che i due i motivi di censura svolti risultano identici a quelli sollevati nel ricorso in appello, senza che, malgrado la diffusa e coerente motivazione con cui sono stati disattesi dalla sentenza impugnata, venga proposto un reale e motivato confronto argomentativo sulle contestazioni. 4.1. Invero, quanto all'asserita non credibilità della persona offesa, la Corte territoriale, con giudizio logico e immune da censure, ha ribadito l'attendibilità della Sc., replicando puntualmente alle critiche avanzate con l'atto d'appello e riproposte in questa sede. La Corte, infatti, ha spiegato che la deposizione della figlia dell'imputato, la quale aveva riferito di un rapporto non sereno tra il padre e la Sc., non intaccava la credibilità della persona offesa, sia perché se costei avesse voluto ingiustamente incolpare il Ma., ben avrebbe ben potuto riferire di atteggiamenti ben più invasivi della propria sfera sessuale sia perché le vicine di casa, le quali, sentendo le urla, erano accorse in aiuto della Sc., avevano confermato di aver udito la donna mentre proferiva epiteti ingiuriosi nei confronti del Ma. di aver trovato la persona offesa in stato di evidente agitazione e di paura di aver visto il Ma. risalire le scale a testa bassa, senza salutarle, come invece era solito fare. 4.2. Quanto al motivo concernente la qualificazione del fatto alla stregua del tentativo, non configurabile, ad avviso della difesa, perché non era stata attinta alcuna zona erogena della vittima, si deve osservare che, per costante giurisprudenza, in tema di violenza sessuale, è configurabile il tentativo del reato, previsto dall'art. 609-bis cod. pen., in tutte le ipotesi in cui la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l'agente non ha raggiunto le zone intime genitali o erogene della vittima ovvero non ha provocato un contatto di quest'ultima con le proprie parti intime così, da ultimo, Cass., Sez. 3, n. 17414 del 18/02/2016 - dep. 28/04/2016, F, Rv. 266900 . Si è altresì precisato che il tentativo è configurabile non solo nel caso in cui gli atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere un abuso sessuale non si siano estrinsecati in un contatto corporeo, ma anche quando il contatto sia stato superficiale o fugace e non abbia attinto una zona erogena o considerata tale dal reo per la reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell'agente, mentre per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa zone genitali o comunque erogene , essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'azione dell'aggressore o che quest'ultimo consegua la soddisfazione erotica. Fattispecie in cui è stata ritenuta la fattispecie consumata in relazione alla condotta dell'imputato consistita nel leccamento di una guancia dovuto ad un bacio non riuscito ed al contemporaneo toccamento delle parti intime di una ragazza minorenne così Cass., Sez. 3, n. 4674 del 22/10/2014 - dep. 02/02/2015, S, Rv. 262472 in senso conforme Cass., Sez. 3, n. 21840 del 17/02/2011 - dep. 01/06/2011, L, Rv. 249993 . Nel caso di specie, la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi poc'anzi richiamati, essendosi accertato che il Ma. aveva seguito in cantina la Sc. e, dopo essersi avvicinata a lei, l'aveva afferrata per i polsi, l'aveva scaraventata contro il muro, manifestandole chiaramente il suo desiderio di consumare un rapporto sessuale, dicendole muoviti, fammi fare non c'è nessuno , non riuscendo, tuttavia, nell'intento per la pronta reazione della giovane, che aveva colpito il Ma. alla spalla destra con un pezzo di legno raccolto dal pavimento, condotta, che, sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo, integra il tentativo di atti sessuali, come correttamente ritenuto nei due gradi di giudizio di merito. 5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.