Manslaughter e omicidio preterintenzionale: gli obblighi della Corte nel caso di riconoscimento di sentenza straniera di condanna

Ai sensi dell’art. 10 d.lgs. n. 161/2010 la Corte territoriale deve procedere a verificare quale fattispecie astratta di reato sia nell’ordinamento interno riconducibile, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione, il fatto per il quale è intervenuta la sentenza di condanna oggetto di riconoscimento la mera traduzione del ”nomen juris” attribuito al reato dalla legislazione straniera non rappresenta una qualificazione giuridica vincolante per l’Autorità giudiziaria italiana, la quale deve al riguardo procedere in modo autonomo con riferimento alle specifiche e concrete connotazioni del fatto accertato ed in relazione alle pertinenti norme penali interne.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3075/18, depositata il 23 gennaio. Qualificata giuridicamente la condotta contestata nella sentenza straniera, la Corte dovrà considerare che la durata della pena o della misura di sicurezza adattate non possono essere inferiori a quelle previste dalla legge italiana per reati simili, né più gravi di quelle applicate dallo Stato di emissione della sentenza di condanna, dovrà poi inoltre accertare la sussistenza di eventuali periodi di privazione della libertà sofferti dal condannato nello Stato estero al fine di detrarlo integralmente, secondo le leggi del diritto interno, dalla durata della pena detentiva da scontare. Il caso. Il ricorrente ha esperito ricorso alla Suprema Corte avverso sentenza resa dalla Corte d’Appello di Milano, ai fini dell’esecuzione della pena ex articolo 4 della Decisione3 quadro del Consiglio europeo 2008/909/JHA del 27.11.2008, della sentenza penale straniera. Il ricorrente, dichiarato colpevole del delitto di manslaughter , previo riconoscimento del vizio parziale di mente, veniva condannato alla pena della discretionary life sentence con pena minima da scontare pari a sei anni di reclusione. Avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Milano il ricorrente proponeva ricorso per cassazione rilevando come l’ordinamento italiano non preveda la pena dell’ergastolo per l’omicidio preterintenzionale così infatti veniva tradotto il termine manslaughter nella nota di trasmissione del certificato da parte delle Autorità del regno Unito , rilevando altresì come la motivazione della impugnata sentenza si palesasse quale meramente apparente allorché ricorda che nell’ordinamento italiano l’ergastolo può essere convertito a pena detentiva superiore nel minimo ad anni sei posto che invece in Italia in caso di condanna all’ergastolo i benefici penitenziari sono in astratto fruibili trascorso un periodo ben più lungo dei sei anni previsti dalla sentenza inglese. Veniva rilevato altresì come in Italia non sia in alcun modo previsto che la pena dell’ergastolo possa avere durata minima di anni sei. Da dette affermazioni rilevava dunque violazione di legge in riferimento al disposto dell’art. 10 d.lgs. n. 161/2010. La Corte ha accolto il ricorso. Manslaughter. Nel certificato trasmesso dalle Autorità del regno unito il termine, indicante una serie di fattispecie piuttosto diverse che spaziano dall’omicidio volontario a imputabilità ridotta per vizio parziale di mente, all’omicidio volontario con dolo d’impeto e/o attenuato dalla provocazione al vero e proprio omicidio preterintenzionale, viene tradotto quale omicidio preterintenzionale”. Si tratta, ovviamente, di attività di mera traduzione che, invero, non può essere declinata quale frutto di analisi della condotta scritta al ricorrente oggetto della richiesta di esecuzione. Nel sistema interno infatti il termine” è tranquillamente, ed in astratto, ricollegabile a differenti figure giuridiche cui corrispondono differenti risposte sanzionatorie, sia in relazione alla pena concretamente applicabile, sia alle modalità di esecuzione della stessa. L’ergastolo del Regno Unito, life imprisonment”. Nel Regno Unito non esiste una pena equiparabile all’ergastolo. Almeno non nelle caratteristiche proprie che la sanzione ha assunto nell’ordinamento italiano. La sanzione del life imprisonment infatti si caratterizza per una reclusione per un tempo indeterminato che di regola non supera i dieci anni e la cui durata è rimessa al giudizio discrezionale dell’ Home Secretary Ministro dell’interno salvo che il giudice nella sentenza di condanna abbia raccomandato un periodo minimo di detenzione. Una sanzione che difficilmente può essere indicata quale equipollente a quella indicata quale ergastolo in Italia. I poteri-doveri del Giudice interno. Il Giudice interno per procedere al riconoscimento della sentenza di condanna emessa in altro Stato membro dell’Unione Europea Brexit a parte ai fini dell’esecuzione in Italia deve accertare durata e natura della pena. Non si tratta di accertamento meramente formale ma di valutare se esse siano compatibili con quelle previste in Italia per reati simili. Ecco spiegata la necessità di identificare, in sede di commento, a cosa debba farsi riferimento in relazione alla condanna per manslaughter ”. Molteplici fattispecie infatti sono ricomprese della definizione citata. Fattispecie che, come già detto, in Italia ricevono trattamenti differenti. Ergo la Corte deve necessariamente stabilire a quale fattispecie astratta di diritto interno sia riconducibile il fatto” ascritto al condannato senza tenere in alcun conto, se non quale punto di partenza, dagli elementi costitutivi o dalla denominazione del reato per come gli stessi sono previsti nello Stato richiedente. Se la durata e la natura della pena e della misura di sicurezza applicate con la sentenza di condanna sono incompatibili con quelle previste in Italia per reati simili, la Corte d’appello deve procedere al loro adattamento, senza che la pena o la misura di sicurezza previste dalla legge italiana possano essere inferiori alla pena o alla misura di sicurezza previste dalla legge italiana per reati simili né più gravi di quelle previste dallo Stato di emissione con la sentenza di condanna. I criteri da seguire. La Corte di Cassazione indica e dettaglia i criteri da seguire enucleando veri e propri principi di diritto. La Corte territoriale deve - procedere in modo autonomo con riferimento alle specifiche e concrete connotazioni del fatto accertato ed in relazioni alle pertinenti norme interne, dar luogo a sussunzione in fattispecie astratta, - valutare quale pena sia applicabile alla fattispecie concreta ai sensi dell’ordinamento interno, - considerare che la durata della pena o la misura di sicurezza previste dalla legge italiana possano essere inferiori alla pena o alla misura di sicurezza previste dalla legge italiana per reati simili né più gravi di quelle previste dallo Stato di emissione con la sentenza di condanna, - verificare, anche se del caso a mezzo di chiarimenti richiesti all’Autorità richiedente il riconoscimento della sentenza, se vi siano periodi in cui il condannato sia stato sottoposto, nello Stato richiedente, alla misura della custodia cautelare in carcere ovvero ad altra assimilabile agli arresti domiciliari presso un luogo pubblico di curo o di assistenza, al fine di detrarre detti periodi, se esistenti, dalla durata della pena detentiva da infliggersi ai sensi dell’ordinamento interno.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 novembre 2017 – 23 gennaio 2018, n. 3075 Presidente Paoloni – Relatore Mogini Ritenuto in fatto 1. C.A. ricorre avverso la sentenza in epigrafe, che ha disposto il riconoscimento, a fini di esecuzione in Italia ex art. 4 della Decisione Quadro del Consiglio Europeo 2008/909/MIA del 27/11/2008, della sentenza penale straniera pronunciata il 21/6/2015 dalla omissis , irrevocabile il 23/7/2015, con la quale il ricorrente, cittadino italiano, è stato dichiarato colpevole del delitto di manslaughter nella nota di trasmissione del certificato datata 5/1/2017 le Autorità del Regno Unito traducono il termine come omicidio preterintenzionale e, a lui riconosciuto il vizio parziale di mente, è stato condannato alla pena dell’ergastolo discretionary life sentence , con pena minima da scontare pari a sei anni di reclusione. La sentenza impugnata afferma che il fatto per il quale il ricorrente è stato condannato all’estero è punito con pena detentiva anche in Italia e che la pena principale dell’ergastolo non è vincolante in sede di esecuzione e appare conforme ai principi dell’ordinamento italiano, che prevede la conversione dell’ergastolo in una pena detentiva con termine minimo superiore a sei anni, lasciando in tal modo spazio all’applicazione degli istituti che prevedono la riduzione della pena e misure alternative in relazione alle condizioni del detenuto e alla sua risposta al trattamento rieducativo. La stessa sentenza segnala che il ricorrente versa attualmente in condizioni di salute incompatibili con l’ordinario regime carcerario e per tale ragione si trova in Inghilterra ricoverato presso un centro specializzato per il trattamento delle malattie mentali, atteso che i sanitari inglesi hanno formulato nei suoi confronti diagnosi di schizofrenia, già insorta al momento della commissione del fatto oggetto della suddetta condanna. Sicché il ricorrente dovrà, al suo arrivo in Italia, essere inserito in un istituto di pena dotato di idonea articolazione per la tutela della salute mentale o di un reparto di osservazione della morbilità psichiatrica, essendo ogni altra iniziativa di competenza del Magistrato di sorveglianza. 2. Il ricorrente censura la sentenza impugnata per i seguenti motivi. 2.1. Motivazione manifestamente illogica laddove la Corte territoriale ha disposto il riconoscimento della sentenza straniera nonostante l’ordinamento italiano non preveda la pena dell’ergastolo per il delitto di omicidio preterintenzionale al quale si riferisce la condanna. Non rileva al riguardo che la pena dell’ergastolo sia in concreto suscettibile di modifica per via degli istituti che prevedono la riduzione della pena e le misure alternative alla detenzione. La motivazione della sentenza impugnata si palesa inoltre solo apparente allorché ricorda che nell’ordinamento italiano l’ergastolo può essere convertito a pena detentiva superiore nel minimo ad anni sei. In Italia, in realtà, in caso di condanna all’ergastolo i benefici penitenziari sono in astratto fruibili trascorso un periodo ben più lungo dei sei anni previsti dalla sentenza inglese. Di più, in Italia non è in alcun modo previsto che la pena dell’ergastolo possa avere durata minima di sei anni. Sicché la sentenza inglese è riconoscibile nell’ordinamento italiano solo a condizione che si proceda ai necessari adattamenti di pena ex art. 10, comma 5, D. L.vo 161/2010. 2.2. Violazione dell’art. 10, comma 5, D. L.vo 161/2010. Accertata l’incompatibilità della pena inglese con quella prevista in Italia, la Corte territoriale avrebbe dovuto procedere all’adattamento della pena ai sensi della norma testé citata a tramutando l’ergastolo in reclusione, per sua natura temporanea, posto che nell’ordinamento inglese la pena denominata life imprisonment non si riferisce alla reclusione a vita, bensì alla reclusione per un tempo indeterminato che di regola non supera i dieci anni e la cui durata è rimessa al giudizio discrezionale dell’Home Secretary, salvo che il giudice nella sentenza di condanna - come avvenuto nel caso di specie - raccomandi un periodo minimo di detenzione si tratta dunque di un ergastolo del tutto teorico poiché, terminato il periodo minimo di detenzione e cessata la pericolosità, il reo recupera la libertà b determinando la durata della pena della reclusione tenendo conto del fatto che il titolo di reato per il quale il C. è stato condannato manslaughter , prevede nell’ordinamento inglese una pena che, pur se indeterminata nella durata, consente nel caso di specie il riacquisto della libertà dopo sei anni una volta accertato il venir meno della pericolosità sociale, e riconoscendo al ricorrente tanto le attenuanti generiche, già concesse dal giudice inglese in ragione dell’ammissione di colpevolezza dell’imputato, quanto la seminfermità di mente, accertata nel processo inglese in forza della diagnosi di schizofrenia espressa dal collegio degli psichiatri forensi e ribadita nella cartella clinica predisposta per il rimpatrio dal centro di salute mentale presso il quale il ricorrente attualmente si trova ricoverato. 2.3. Violazione dell’art. 10, comma 1, lett. f D. L.vo 161/2010, in quanto la Corte territoriale ha riconosciuto la compatibilità con l’ordinamento italiano della natura e della durata della sanzione oggetto della sentenza inglese, condannando peraltro il ricorrente alla pena dell’ergastolo senza tener conto dell’indicazione nel dispositivo della sentenza straniera della reclusione minima di sei anni, allorché l’effetto più favorevole conseguibile in Italia in fase esecutiva per la condanna all’ergastolo sarebbe l’ammissione alla liberazione condizionale dopo ventisei anni di carcere, eventualmente riducibili di un quarto per effetto della liberazione anticipata. 2.4. Erronea applicazione della legge penale per avere la sentenza impugnata proceduto al riconoscimento di una condanna alla pena dell’ergastolo, non prevista dall’ordinamento italiano per l’omicidio preterintenzionale in ordine al quale sono state concesse le attenuanti generiche e la seminfermità mentale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, nei limiti e termini di seguito indicati. Il Collegio osserva preliminarmente che per procedere al riconoscimento della sentenza di condanna emessa in un altro Stato membro dell’Unione Europea, ai fini della sua esecuzione in Italia, la Corte territoriale deve, tra l’altro, accertare che la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza applicate nello Stato di emissione siano compatibili con quelle previste in Italia per reati simili art. 10, commi 1, lett. f, e 5, D.Lvo n. 161 del 2010 . Per individuare il tipo di pena o di misura di sicurezza applicabile nell’ordinamento italiano al fatto ritenuto nella sentenza oggetto di riconoscimento, e la relativa cornice edittale, la Corte di appello deve quindi necessariamente determinare a quale fattispecie astratta di reato sia nell’ordinamento interno riconducibile quel fatto, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione così, testualmente, l’art. 10, comma 1, lett. e, D.Lvo 161/2010 . Se la durata e la natura della pena e della misura di sicurezza applicate con la sentenza di condanna sono incompatibili con quelle previste in Italia per reati simili, la Corte di appello procede al loro adattamento. In tal caso, la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza adattate non possono essere inferiori alla pena o alla misura di sicurezza previste dalla legge italiana per reati simili, né più gravi di quelle applicate dallo Stato di emissione con la sentenza di condanna art. 10, comma 5, D.Lvo n. 161 del 2010 . Orbene, la Corte territoriale non ha dato corretta applicazione alle norme testé richiamate. In primo luogo, essa non ha proceduto a verificare a quale fattispecie astratta di reato sia nell’ordinamento interno riconducibile, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione art. 10, comma 1, lett. e, D.Lvo 161/2010 il fatto per il quale è intervenuta la sentenza di condanna oggetto di riconoscimento. Tale sentenza riguarda infatti il delitto di manslaughter, che nella nota di trasmissione in lingua italiana del certificato datata 5/1/2017 le Autorità del Regno Unito traducono come omicidio preterintenzionale . Si tratta peraltro di una mera traduzione, che non rappresenta una qualificazione giuridica vincolante per l’Autorità giudiziaria italiana, la quale deve al riguardo procedere in modo autonomo con riferimento alle specifiche e concrete connotazioni del fatto accertato ed in relazione alle pertinenti norme penali interne. Il termine manslaughter comprende in vero diverse fattispecie, che vanno dall’omicidio volontario a imputabilità ridotta per vizio parziale di mente, all’omicidio volontario con dolo d’impeto e/o attenuante della provocazione, al vero e proprio omicidio preterintenzionale, nel quale la morte della vittima consegue ad atti diretti a commettere delitti di percosse o lesioni personali art. 584 cod. pen. . Nel caso di specie, il provvedimento oggetto di riconoscimento procede ad una minuziosa descrizione della condotta omicidiaria là dove, tra l’altro, afferma che senza dubbio si è trattato di un attacco sostenuto e furioso attuato con un’arma mortale e che, anche se il C. era in stato maniacale, egli aveva l’intenzione di uccidere la vittima. Ciò determina con chiarezza la qualificazione giuridica del fatto in diritto italiano nell’ambito della fattispecie di omicidio volontario di cui all’art. 575 cod. pen Per tale fatto-reato, non sono state contestate al C. , o ritenute nella sentenza oggetto di riconoscimento, aggravanti di sorta. Risulta al contrario che l’attuale ricorrente era al momento del fatto affetto da schizofrenia, manifestatasi in maniera repentina e inaspettata, senza alcun contributo dello stesso ricorrente all’insorgenza di tale stato psicotico acuto, sicché solo la malattia mentale da cui è affetto ha determinato la condotta per la quale ha riportato condanna Sez. 1, n. 33268 del 13/06/2013, Arba, Rv. 256993 . Ciò che ha determinato il giudice inglese a riconoscere al C. una capacità di intendere e volere grandemente scemata nel momento in cui ha commesso il fatto in ragione della malattia mentale da cui era affetto corrispondente al vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod. pen. , nonché le ulteriori attenuanti correlate al corretto comportamento post factum dell’imputato, che si è tra l’altro da subito sottoposto regolarmente e attivamente alle necessarie cure farmacologiche e psicologiche, e alla sua scelta di dichiararsi colpevole, riconducibili nell’ordinamento interno agli artt. 62 bis cod. pen. e 444 cod. proc. pen È del tutto evidente, dunque, che in Italia per il richiamato reato di cui all’art. 575 cod. Jen., non aggravato e anzi connotato da imputabilità ridotta e dalle indicate attenuanti, nonché dalla riduzione di pena riconosciuta dall’Autorità giudiziaria inglese in ragione della scelta del rito Sez. 4, n. 10885 del 09/02/2012, Marsalone e altro, Rv. 252025 , è prevista unicamente la pena della reclusione art. 23 cod. pen. e non già quella dell’ergastolo art. 22 cod. pen. . La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano, che dovrà verificare la possibilità e le eventuali modalità di adattamento nell’ordinamento interno della dicretionary life sentence con termine minimo di sei anni di reclusione applicata al ricorrente dal Giudice F. della omissis . A tal fine, la Corte di rinvio dovrà considerare che la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza adattate non possono essere inferiori alla pena o alla misura di sicurezza previste dalla legge italiana per reati simili, né più gravi di quelle applicate dallo Stato di emissione con la sentenza di condanna art. 10, comma 5, D.Lvo n. 161 del 2010 . Nella determinazione del primo parametro, la Corte di rinvio dovrà in particolare tenere conto, a partire dal limite edittale pari a 21 anni di reclusione previsto dall’art. 575 cod. pen., delle successive riduzioni di pena conseguenti all’avvenuto riconoscimento da parte del giudice inglese del vizio parziale di mente e delle attenuanti generiche, nonché quelle conseguenti alla scelta del rito. Dovrà inoltre accertare, anche se del caso mediante apposita richiesta di chiarimenti all’Autorità richiedente il riconoscimento, il periodo nel quale il C. è stato eventualmente sottoposto nel Regno Unito, in relazione al fatto per il quale ha riportato condanna, a misura della custodia cautelare in carcere ovvero ad altra assimilabile agli arresti domiciliari presso un luogo pubblico di cura o di assistenza art. 284 cod. proc. pen. , con la conseguenza che il relativo periodo di privazione della libertà va integralmente detratto, secondo le regole dell’ordinamento interno, dalla durata della pena detentiva da scontare, posto che costituisce principio fondamentale dell’ordinamento giuridico dello Stato quello secondo cui la custodia cautelare deve essere sempre computata nella pena da espiare relativa allo stesso fatto Sez. 6, n. 46451 del 17/09/2004, Iute, Rv. 233519 Sez. 6, n. 1279 del 28/11/2013, Jakovljevic, Rv. 257749 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, Legge n. 69/2005.