Restituzione nel termine per l’impugnazione della sentenza contumaciale e prova circa la conoscenza dell’atto

In tema di restituzione nel termine per proporre impugnazione, la previgente formulazione dell’art. 175, comma 2, c.p.p., avendo previsto una sorta di presunzione iuris tantum di mancata conoscenza da parte dell’imputato della pendenza del procedimento, ha posto a carico del giudice l’onere di reperire in atti l’esistenza di una eventuale prova positiva da cui possa desumersi l’effettiva conoscenza del provvedimento di condanna, con la conseguenza che la mera regolarità formale della notifica, eseguita ex art. 161 c.p.p., presso il difensore d’ufficio nominato all’imputato, non può essere considerata dimostrativa della conoscenza del giudizio o rivelatrice della volontà del destinatario di non impugnare la sentenza contumaciale o di non opporre il decreto penale di condanna .

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 2061/18, depositata il 18 gennaio u.s., è stata chiamata a pronunciarsi circa una richiesta di restituzione nel termine per impugnare una sentenza di condanna. Il fatto. Un soggetto imputato dei reati di cui agli artt. 81, 477 e 482 c.p. proponeva rituale ricorso per ottenere la restituzione nel termine, ex art. 175, comma 2, c.p.p. Restituzione nel termine al fine di impugnare la sentenza ormai irrevocabile con cui la Corte d’Appello di Venezia aveva confermato la condanna alla pena ritenuta di giustizia già pronunciata in primo grado. Il Procuratore Generale chiede anche che il ricorso in tal senso proposto sia accolto. Il ricorso è sorretto da motivi fondati. I Giudici di Legittimità accolgono la richiesta di restituzione nel termine. Preliminarmente, giova precisare che, nel caso in esame, è incontestabile l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 175, comma 2, c.p.p. nel testo novellato dalla l. n. 60/2005, antecedete al successivo intervento normativo di cui alla l. n. 67/2014 Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio , atteso che l’imputato, nel corso del giudizio di primo grado, veniva dichiarato contumace all’udienza del 4 novembre 2013, per poi essere dichiarato assente ai sensi dell’art. 420- bis c.p.p. sia alla successiva udienza del 20 giugno 2014, che nel giudizio di appello, nell’erroneo convincimento che trovasse applicazione il regime contemplato a seguito della novella legislativa intervenuta con la l. n. 67/2014. Invero, come statuisce l’art. 15- bis , comma 1, l. n. 67/2014, inserito dalla l. n. 118/2014, con decorrenza dal 22 agosto 2014 le disposizioni vigenti prima dell’entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l’imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso decreto di irreperibilità . Prova delle conoscenza dell’atto. In effetti, nell’ipotesi in disamina, l’imputato veniva dichiarato contumace nel corso del giudizio di primo grado. Ciò posto, gli Ermellini nella sentenza in commento rilevano, altresì, la tempestività dell’istanza ex art. 175, comma 2, c.p.p., richiamando il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità a tenore del quale in tema di restituzione nel termine per proporre impugnazione, la previgente formulazione dell’art. 175, comma 2, c.p.p., avendo previsto una sorta di presunzione iuris tantum di mancata conoscenza da parte dell’imputato della pendenza del procedimento, ha posto a carico del giudice l’onere di reperire in atti l’esistenza di una eventuale prova positiva da cui possa desumersi l’effettiva conoscenza del provvedimento di condanna, con la conseguenza che la mera regolarità formale della notifica, eseguita ex art. 161 c.p.p., presso il difensore d’ufficio nominato all’imputato, non può essere considerata dimostrativa della conoscenza del giudizio o rivelatrice della volontà del destinatario di non impugnare la sentenza contumaciale o di non opporre il decreto penale di condanna . Non essendovi, pertanto, la prova di atti interlocutori tra il difensore d’ufficio e l’imputato ristretto presso la Casa Circondariale di Venezia, né tantomeno altra prova positiva circa la conoscenza o conoscibilità della sentenza, l’imputato merita di essere rimesso in termini ai fini dell’impugnazione del provvedimento di condanna. Alla stregua di tale ricostruzione, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso disponendo la rimessione dell’imputato nel termine per impugnare la sentenza, ordinandone la scarcerazione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 2 ottobre 2017 - 18 gennaio 2018, n. 2061 Presidente Vessichelli – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con ricorso del 29.12.2016 M.M. formulava richiesta di restituzione nel termine, ex art. 175, co. 2, c.p.p., al fine di impugnare la sentenza divenuta irrevocabile il 16.11.2016 , con cui la corte di appello di Venezia, in data 13.6.2016, aveva confermato la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata nei confronti del suddetto M. , in data 3.4.2015, dal tribunale di Treviso, in relazione al reato di cui agli artt. 81, 477, 482, c.p., in rubrica ascrittogli. 2. Con requisitoria depositata l’8.9.2017, il pubblico ministero, nella persona del sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. Piero Gaeta, chiede che il ricorso venga accolto. 3. Il ricorso va accolto, essendo sorretto da motivi fondati. Preliminarmente si osserva che nel caso in esame appare incontestabile l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 175, co. 2, c.p.p., nel testo novellato dal d.l. n. 17 del 2005 convertito, con modificazioni, nella I. n. 60 del 2005 , antecedente al successivo intervento normativo di cui alla I. n. 67 del 2014, e non l’istituto della rescissione del giudicato di cui all’art. 625 ter, c.p.p. cfr. Cass., Sez. U., 17.7.2014, n. 36848, rv. 259992 , posto che l’imputato, nel corso del giudizio di primo grado, veniva dichiarato contumace all’udienza del 4.11.2013, per poi essere dichiarato assente, ai sensi dell’art. 420 bis, c.p.p., sia alla successiva udienza del 20.6.2014, che nel giudizio di appello, nell’erroneo convincimento che trovasse applicazione la nuova disciplina di cui alla l. 28 aprile 2014, n. 67. Erroneo, perché, a norma dell’art. 15 bis, co. 1, l. 28 aprile 2014, n. 67, inserito dalla l. 11 agosto 2014, n. 118, con decorrenza dal 22 agosto 2014, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l’imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso decreto di irreperibilità . Ed effettivamente il M. , come si è detto, è stato dichiarato contumace dal giudice di primo grado all’udienza del 4.11.2013, prima che si concludesse il dibattimento, senza che nei suoi confronti sia stato emesso decreto di irreperibilità. Una volta chiarito il perimetro normativo di riferimento, va, innanzitutto, rilevata la tempestività della richiesta di restituzione nel termine, che l’imputato ha presentato alla corte di appello di Venezia la quale correttamente ha trasmesso gli atti a questa Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 175, co. 4, c.p.p., quale giudice che sarebbe competente sull’impugnazione , con dichiarazione resa all’autorità della casa di reclusione di dove è detenuto, sette giorni dopo la notifica dell’ordine di esecuzione per la carcerazione, con cui veniva reso edotto del passaggio in giudicato della menzionata sentenza della corte di appello di Venezia, quindi nel rispetto del termine, previsto dal citato art. 175, c.p.p., a pena di decadenza, di trenta giorni dalla effettiva conoscenza della sentenza che si intende impugnare cfr. Cass., sez. V, 31.3.2010, n. 19072, rv. 247510 . Ciò posto va applicato nel caso in esame il consolidato principio della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di restituzione nel termine per proporre impugnazione, la previgente formulazione dell’art. 175, co. 2, c.p.p., avendo previsto una sorta di presunzione iuris tantum di mancata conoscenza da parte dell’imputato della pendenza del procedimento, ha posto a carico del giudice l’onere di reperire in atti l’esistenza di una eventuale prova positiva da cui possa desumersi la effettiva conoscenza del provvedimento di condanna, con la conseguenza che la mera regolarità formale della notifica, eseguita, ai sensi dell’art. 161, c.p.p., presso il difensore d’ufficio nominato all’imputato, non può essere considerata dimostrativa della conoscenza del giudizio o rivelatrice della volontà del destinatario di non impugnare la sentenza contumaciale o di non opporre il decreto penale di condanna cfr., ex plurimis, Cass, sez. II, 15/04/2015, n. 21393, rv. 264219 . Nel caso in esame, infatti, come correttamente rilevato dal pubblico ministero nella sua requisitoria, il M. nel giudizio di primo grado venne assistito da un difensore di ufficio, avv. Marco Furlan, che lo difese anche nel giudizio di secondo grado, da quest’ultimo attivato con la redazione dell’atto di appello, dopo che l’avv. Mariarosa Cozza, originario difensore di fiducia domiciliatario dell’imputato, in data 7.2.2014, aveva rinunciato al mandato fiduciario, comunicando la sua decisione al M. , attraverso lettera raccomandata, che, tuttavia, non raggiunse mai il destinatario, risultando quest’ultimo, all’indirizzo presso il quale fu spedita, trasferito . Orbene, tenuto conto che il rapporto fiduciario del M. con il proprio difensore si è sicuramente interrotto, senza che vi sia prova certa dell’avvenuta conoscenza da parte dell’imputato dell’intervenuta rinuncia al mandato dell’avv. Cozza che, al tempo stesso, non vi è prova agli atti di un’interlocuzione effettiva tra l’imputato ed il difensore di ufficio, nominatogli, peraltro, poco prima che il ricorrente venisse tratto in arresto per altra causa, dovendo scontare una serie di numerosissime condanne divenute definitive, con scadenza pena il 5 marzo 2029 che non risulta agli atti prova positiva da cui possa desumersi la effettiva conoscenza delle sentenze di condanna che, giova ricordare, essendo stato egli dichiarato assente non gli sono state notificate nella forma dell’estratto contumaciale , non può ritenersi che la semplice regolare notifica degli atti processuali al difensore di ufficio possa essere considerata dimostrativa della conoscenza del giudizio o rivelatrice della volontà del destinatario di non impugnare la sentenza di secondo grado. L’imputato, pertanto, in accoglimento della sua richiesta, va rimesso in termini, al fine di impugnare la sentenza della corte di appello di Venezia del 13.6.2016, con conseguente scarcerazione dello stesso, se non detenuto per altra causa, ai sensi del disposto dell’art. 175, co. 7, c.p.p P.Q.M. Rimette M.M. nel termine per impugnare la sentenza della corte di appello di Venezia in data 13.6.2016. Ordina la scarcerazione del M. se non detenuto per altro. Manda alla cancelleria per la comunicazione ex art. 626, c.p.p