La memoria depositata a mezzo PEC è inammissibile nel giudizio penale di legittimità

Dopo aver depositato il ricorso per cassazione, il ricorrente ha presentato successiva memoria pervenuta in cancelleria della Suprema Corte a mezzo PEC. Inevitabile l’inammissibilità della memoria in quanto nel processo penale non valgono le stesse regole civili per il deposito telematico.

Sulla questione la Cassazione con sentenza n. 1568/18, depositata il 16 gennaio. Il fatto. La vicenda oggetto di ricorso per cassazione trae origine da un procedimento penale nel quale il ricorrente veniva condannato per il reato di cui all’artt. 146 e 181, comma 1- bis d.lgs. n. 42/2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio per aver realizzato un manufatto senza autorizzazione paesaggistica. Dopo aver proposto il ricorso in Cassazione, avverso la condanna, il ricorrente ha presentato successiva memoria pervenuta a mezzo PEC alla cancelleria della Suprema Corte, illustrando ulteriormente le ragioni dell’impugnazione. L’uso della PEC nel processo penale. Prima di entrare nel merito della vicenda, gli Ermellini si sono pronunciati sull’inammissibilità della memoria trasmessa in via telematica, sia per la sua tardività rispetto ai termini perentori ai sensi dell’art. 585, comma 4, c.p.p. sia in quanto nel giudizio penale di cassazione è precluso l’invio di atti a mezzo PEC. Ciò in relazione al fatto che non vi sia nessuna norma che estenda quanto previsto per il deposito telematico in sede civile anche nel rito penale. In ragione di ciò, osserva la Corte, alla parte privata non è conseguentemente consentito nel processo penale l’uso del mezzo telematico per la trasmissione dei propri atti ad altre parti né per il deposito presso gli uffici, restando l’utilizzo della posta elettronica certificata riservato, ai sensi dell’art. 16 del d.l. 179/2012, convertito nella l. n. 221/2012, alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal PM ex art 151 c.p.p. e per notificazioni e gli avvisi ai difensori disposte dall’Autorità giudiziaria, ad eccezione di quelle destinate all’imputato per il quale rimangano ferme le forme di comunicazione tradizionali . Fascicolo telematico inesistente equivale a memoria inammissibile. A sostegno della decisione della Suprema Corte, inoltre, è innegabile l’inesistenza nel procedimento penale di un fascicolo telematico, come strumento di ricezione e raccolta degli atti del processo accessibile e consultabile dalle parti in tempo reale , che rende, altresì, inesistente l’atto depositato a mezzo PEC. In conclusione, secondo i Giudici di legittimità allo stato degli atti deve quindi ritenersi che le parti private, e per esse i propri difensori, possano assumere, quanto all’utilizzo del sistema telematico, soltanto la posizione di soggetti destinatari delle comunicazioni, ma mai di soggetti agenti non essendo loro consentito, in difetto di un’esplicita norma in tal senso, effettuare comunicazioni o deposito di atti a mezzo PEC, le cui forme sono tassativamente disciplinate dal codice di procedura penale . Per questa ragione, in via pregiudiziale, la Corte ha dichiarato inammissibile la memoria presentata dal ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 ottobre 2017 – 16 gennaio 2018, numero 1568 Presidente Savani – Relatore Galterio Ritenuto in fatto 1.Con sentenza in data 22.9.2016 la Corte di Appello di Catania, a parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato P.S. alla pena di sei mesi reclusione ritenendolo colpevole del reato di cui agli artt. 146 e 181, comma 1-bis d. lgs. 42/2004 per realizzato un manufatto costituito da pilastri bullonati e copertura con travi e lamierino zincato superiore ai 1000 mc senza avere ottenuto l’autorizzazione paesaggistica. Avverso la suddetta sentenza l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale deduce in relazione al vizio di violazione di legge processuale riferito all’articolo 192 c.p.p., al vizio di violazione di legge penale riferito all’articolo 181 d. lgs 42/2004 e al vizio motivazionale la mancata dimostrazione della fondatezza delle ipotesi accusatorie avendo la Corte territoriale, a diniego dell’eccepita precarietà dell’opera, sostenutane la destinazione commerciale desunta da una sola fotografia, ed escluso che si trattasse della sostituzione di una tettoia preesistente quantunque al momento del sopralluogo rimanessero in loco le vestigia di quella preesistente, utilizzata dai proprietari a protezione dei materiali utilizzati per l’attività di falegnameria ivi svolta. Contesta inoltre l’assenza di motivazione sulle ragioni che hanno indotto i giudici di appello a dichiarare la mancata ultimazione del manufatto, riformando implicitamente la decisione del giudice di primo grado che aveva dato atto della già avvenuta ultimazione dei lavori sulla base della deposizione resa dal Comandante dei VV.UU. di Scicli, ed omettendo di indicare la diversa epoca in cui i lavori sarebbero stati eseguiti. In relazione infine all’eccepita violazione di legge contesta la riconducibilità del fatto al delitto in luogo della contravvenzione di cui all’articolo 181, 1 comma d. lgs 42/2004 atteso che la sanzione da applicarsi alle violazioni di minore entità, in ragione della completa rimovibilità dell’opera e della sua sostituzione ad altra preesistente era quella dell’arresto o dell’ammenda, tipiche dei reati urbanistici e l’intervenuta prescrizione. Con successiva memoria pervenuta via PEC a questo ufficio in data 3.10.2017 il ricorrente ha ulteriormente illustrato le ragioni del ricorso. Considerato in diritto 1. In via pregiudiziale deve essere dichiarata l’inammissibilità della memoria trasmessa dalla difesa via PEC in data 3.10.2017, in ragione sia della sua tardività rispetto ai termini perentori previsti dall’articolo 585, 4 comma cod. proc. penumero , sia della preclusione nel giudizio penale di cassazione all’inoltro degli atti di parte mediante l’uso della posta elettronica certificata, in difetto di alcuna norma che abbia esteso al suddetto procedimento il deposito telematico, previsto per il giudizio civile di legittimità ai sensi del D.L. numero 179 del 2012, convertito con modifiche in legge numero 221 del 2012, ad eccezione delle sole istanze aventi immediata incidenza sul processo quali, a titolo esemplificativo, richieste di sollecita fissazione o riunione di ricorsi, di differimento della trattazione, di assegnazione alle Sezioni Unite. Sez. 3, numero 48584 del 20/09/2016 - dep. 17/11/2016, Cacciatore, Rv. 268192 . Non essendo stata dettata alcuna analoga disposizione per il procedimento penale, alla parte privata non è conseguentemente consentito nel suddetto processo l’uso di tale mezzo informatico per la trasmissione dei propri atti ad altre parti né per il deposito presso gli uffici, restando l’utilizzo della posta elettronica certificata riservato ai sensi dell’articolo 16 del decreto legge 179/2012, convertito nella legge 221/2012, alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex articolo 151 c.p.p. e per le notificazioni e gli avvisi ai difensori disposte dall’Autorità giudiziaria, ad eccezione di quelle destinate all’imputato per il quale rimangono ferme le forme di comunicazione tradizionali. D’altra parte l’inesistenza nel procedimento penale di un fascicolo telematico, che costituisce il necessario approdo dell’architettura digitale degli atti giudiziari, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti, rende l’atto depositato a mezzo PEC di fatto anch’esso inesistente, necessitando per essere visibile in concreto dell’attività di stampa da parte della cancelleria che dovrebbe comunque inserire il documento nel fascicolo d’ufficio, di formazione e composizione esclusivamente cartacea. Allo stato degli atti deve quindi ritenersi che le parti private, e per esse i propri difensori, possano assumere, quanto all’utilizzo del sistema telematico, soltanto la posizione di soggetti destinatari delle comunicazioni, ma mai di soggetti agenti non essendo loro consentito, in difetto di un’esplicita norma in tal senso, effettuare comunicazioni o deposito di atti a mezzo PEC, le cui forme sono tassativamente disciplinate dal codice di procedura penale. 2. Ciò premesso, il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato in relazione a tutti i profili di censura svolti che cadono, omettendo di confrontarsi con le puntuali argomentazioni offerte dalla Corte distrettuale nel rigettare le medesime doglianze già articolate in appello, nel vizio di aspecificità. È sufficiente la lettura della sentenza impugnata ad escludere il fondamento delle contestazioni riproposte con il presente ricorso, privo di alcuna confutazione specifica o deduzione ulteriore rispetto alle ragioni di fatto e di diritto esposte nel provvedimento. Quanto alla assunta precarietà dell’opera occorre rilevare che in materia edilizia, ai fini del riscontro del connotato della precarietà e della relativa esclusione della modifica dell’assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati o l’agevole rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l’opera eventualmente assolva, desunta non già dalla mera intenzione del costruttore, ma dalle caratteristiche strutturali e funzionali del manufatto che deve perciò essere adibito e volto a sopperire a finalità contingenti e limitate nel tempo ex multis Sez. 3, numero 22054 del 25/02/2009 - dep. 27/05/2009, Frank, Rv. 243710 nessuna inversione dell’onere probatorio è stata effettuata dai giudici catanesi che avendo accertato dai verbali del sopralluogo dei VV.UU. e dalla foto ad essi allegata la destinazione ad uso commerciale della tettoia, uso questo per sua natura privo dei caratteri della provvisorietà e della contingenza, cui si aggiunge l’utilizzo di materiali cementizi per la tamponatura, e dunque di per sé idonei ad uno stabile ancoraggio all’edificio cui accede, hanno correttamente escluso la precarietà del manufatto e conseguentemente ritenuto la penale responsabilità dell’imputato, senza che questi abbia opposto una diversa destinazione dell’opera specificamente determinata per finalità e durata in termini di provvisorietà. Né maggior pregio riveste la contestazione relativa alla sussistenza di una preesistente tettoia, di cui quella contestata avrebbe costituito la sostituzione, non emergendo dal ricorso alcun elemento pretermesso in ordine alla dimostrazione, gravante sull’imputato, di un preesistente manufatto. Del pari generica è la doglianza relativa all’affermata mancata ultimazione dei lavori, che il ricorrente sostiene invece essere stati completati in forza della deposizione resa in dibattimento dal rappresentate dei VV.UU L’eccezione, di cui non è indicata la finalità, risultando per come formulata fine a se stessa, è priva del requisito della decisività e come tale inidonea ad approdare ad alcun risultato utile nella ricostruzione delle ragioni di fatto e di diritto demandata al giudice dell’impugnazione. In difetto di qualsivoglia deduzione al riguardo non può pertanto essere censurata la data indicata dalla Corte distrettuale in coincidenza con la data dell’accertamento da parte della P.G. risalente al 26.1.2010, essendo precluso a questa Corte di legittimità l’esame del merito. La stessa sorte segue la censura relativa alla natura contravvenzionale del reato in esame ed al conseguente più breve termine di prescrizione invocato i giudici catanesi, nel fare puntuale riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale del 23.3.2016 numero 56 che ha ricondotto nell’alveo contravvenzionale i reati paesaggistici previsti dall’articolo 181, comma 1-bis d.lgs 42/2004 che non superino le soglie volumetriche ivi indicate e che dunque non abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi , hanno correttamente ritenuto che il reato in contestazione concernente l’abusiva realizzazione di un manufatto avente una cubatura superiore ai 1.000 metri indicati dalla norma suddetta, rientrasse fra quelli di natura delittuosa previsti dal comma 1-bis, con conseguente assoggettabilità al maggior termine di prescrizione previsto dall’articolo 157 cod.penumero per i delitti. Non avendo il ricorrente indicato una diversa volumetria della tettoia inferiore ai limiti indicati risultante specificamente dagli atti del processo, anche su tale punto la sentenza impugnata deve ritenersi immune da censure. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Segue a tale esito la condanna del ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. penumero , al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.