Il “colpo di fulmine” diventa un’ossessione: legittima l’applicazione della libertà vigilata

Riflettori puntati su una donna, indagata per i comportamenti ossessivi tenuti nei confronti di un militare di cui si è invaghita. Per i Giudici è evidente la sua pericolosità, anche alla luce del disturbo delirante e paranoide che l'affligge.

Per lei il fatidico ‘colpo di fulmine’. Per lui, invece, un incubo in piena regola, tale da costringerlo a fare i conti con un costante stato d’ansia. Logico parlare di stalking, visti i comportamenti ossessivi verso l’uomo tenuti dalla donna, affetta da disturbo delirante e paranoide”. E legittima è, secondo i Giudici, l’applicazione della libertà vigilata Cassazione, sentenza n. 645/18, sez. V Penale, depositata il 10 gennaio . Attenzioni non pericolose. Linea di pensiero comune per il GIP e per il Giudice del riesame non in discussione la misura di sicurezza della libertà vigilata applicata a una donna, finita sotto accusa per lo stalking sentimentale messo in atto ai danni di un Ufficiale della Guardia di Finanza. Questa visione viene ovviamente contestata dall’avvocato dell’indagata. Secondo il legale, innanzitutto le condotte addebitate alla sua cliente sono consistite semplicemente in attenzioni di ben poca rilevanza . Allo stesso tempo, il legale manifesta forti perplessità sulla natura della malattia psichica diagnosticata alla donna dal perito. Su questo fronte l’avvocato spiega che non emerge una situazione di pericolosità , anche tenendo presente che la sua cliente è in cura presso un terapeuta . Lo stato d’ansia. Le obiezioni difensive vengono però ritenute non rilevanti dai Giudici della Cassazione, che confermano perciò l’applicazione della libertà vigilata . Nessun dubbio sul fatto che la donna, affetta da disturbo delirante e paranoide , si sia completamente invaghita del militare, perdendo la testa e rendendosi protagonista di un corteggiamento vissuto dall’uomo come una vera e propria persecuzione. I comportamenti ossessivi di lei, difatti, hanno provocato uno stato d’ansia nell’Ufficiale della Guardia di Finanza. Ma a rendere necessaria la libertà vigilata è, secondo i Magistrati, la pericolosità sociale della donna, che, viene osservato, non presenta coscienza della malattia e necessita di interventi farmacologici, psicoterapeutici e riabilitativi .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 6 dicembre 2017 – 10 gennaio 2018, n. 645 Presidente Bruno – Relatore Morosini Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del riesame, ha respinto l'istanza di riesame presentata dall'indagata Sc. Sa. avverso l'ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari di Torino, aveva applicato nei suoi confronti, in via provvisoria, la misura di sicurezza della libertà vigilata. Il titolo cautelare era relativo al reato di cui all'art. 612 bis cod. pen. 2. Avverso il provvedimento ricorre l'indagata, per il tramite del proprio difensore, articolando un unico motivo, con il quale lamenta violazione di legge e vizio di motivazione sotto plurimi profili. 2.1 Innanzitutto deduce l'insussistenza di gravi indizi di commissione del fatto, poiché le condotte a lei addebitate sarebbero consistite in attenzioni di ben poca rilevanza, cui non sarebbe conseguito nessuno degli eventi tipizzati dalla norma incriminatrice. 2.2 In secondo luogo rileva l'assenza del requisito della pericolosità sociale, alla luce delle conclusioni raggiunte dal proprio consulente tecnico che avrebbe nutrito perplessità riguardo alla natura della malattia psichica diagnosticata dal perito, e che avrebbe prospettato la necessità di un percorso psicoterapeutico e riabilitativo. Nel medesimo senso deporrebbero, secondo la ricorrente, le relazioni in atti del responsabile A.S.L e le osservazioni del perito, da cui non emergerebbe una situazione di pericolosità dell'imputata, immune da precedenti penali, e in cura presso un terapeuta. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Gli argomenti coltivati dalla ricorrente sono privi di fondamento. L'ordinanza impugnata, che si salda con quella, conforme, resa dal giudice per le indagini preliminari, contiene una motivazione non illogica né contraddittoria, ma anzi ampia e persuasiva. I giudici di merito rilevano che l'indagata è affetta da disturbo delirante a tratti paranoide ripercorrono le condotte persecutorie dell'indagata osservano che le stesse si sono protratte per anni, in quanto l'indagata ricade periodicamente nei medesimi atteggiamenti ossessivi evidenziano che ne è derivato uno stato d'ansia nella vittima, ufficiale della guardia di finanza, di cui l'indagata si sarebbe invaghita recepiscono la conclusione, raggiunta dagli esperti tecnici, circa l'incapacità dell'indagata di intendere e di volere al momento del fatto individuano la pericolosità sociale nella circostanza che l'indagata non presenta coscienza di malattia e necessita di interventi farmacologici, psicoterapeutici e riabilitativi, come ritenuto anche dallo stesso consulente tecniche di parte. A fronte di tale motivazione, la ricorrente si limita a ribadire la propria soggettiva interpretazione degli elementi d'accusa sulla base di una lettura soltanto parziale degli atti che, come si legge nell'ordinanza impugnata, hanno fornito elementi valutativi opposti a quelli prospettati in ricorso. 3. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali. 4. L'inerenza della vicenda a rapporti familiari impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento al pagamento delle spese processuali.