Il convivente scacciato di casa: cambiare la serratura della porta d'ingresso è reato?

La commissione del reato di turbativa violenta del possesso di cose immobili non presuppone necessariamente che la disponibilità del bene immobile sia di esclusiva pertinenza della persona offesa, potendosi ravvisare il reato anche nei casi di compossesso.

Così ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Seconda Penale, con la sentenza n. 610 depositata il 10 gennaio 2018. Vai subito fuori da qui! L'imperativo categorico, accompagnato dall'indice inesorabilmente puntato verso l'uscio, costituisce l'icona – verbale e gestuale – con cui un familiare viene espulso dalle mura domestiche. Statisticamente, fare fagotto tocca all'uomo che, con la coda tra le gambe, viene bruscamente cacciato da casa. La causale più frequente è, tutti lo sanno, la scoperta di un tradimento. Ma i fattori eziologici di fenomeni del genere, per usare un termine caro ai penalisti, sono molteplici e coincidono con tutti quelli che possono comportare la fine di una relazione affettiva. Il passaggio successivo, per suggellare formalmente l'espulsione casalinga, è quello della sostituzione della serratura della porta d'ingresso, che renderà impossibile il rientro – più o meno clandestino – dell'escluso. Tutto ciò, sotto il profilo penale, che rilevanza ha? Ce lo dice la Cassazione, che si è dovuta interessare – in sede cautelare – di una vicenda del genere. Impedire il reingresso nell'appartamento posseduto da entrambi è reato? Nel caso che ci occupa, una donna aveva impedito al proprio convivente di fare rientro a casa. Non soltanto erano state sostituite le serrature dell'uscio, ma l'indagata si era spinta ben oltre, bersagliando il proprio ex” con una gragnuola di oggetti, ingiuriandolo e minacciandolo. Il poveretto, così, era stato costretto ad allontanarsi. Il fatto veniva denunciato all'autorità giudiziaria e, in fase di indagini preliminari, il pubblico ministero aveva chiesto ed ottenuto il sequestro preventivo dell'immobile. Proposto riesame, quest'ultimo veniva revocato sul presupposto che il reato di turbativa violenta non sussisterebbe nei casi di compossesso e che, nell'ipotesi concreta, non ricorrerebbe l'elemento costitutivo della violenza o della minaccia poiché la norma incriminatrice – questa è la lettura che ne dà il Tribunale del Riesame – richiederebbe, a tal fine, la commissione del fatto da più di 10 persone. Da qui, il ricorso per cassazione, proposto dal pubblico ministero e accolto, per le ragioni che vedremo, dagli Ermellini. La minaccia può provenire anche da un singolo soggetto. La norma di cui ci occupiamo ha una struttura che, ad una lettura veloce, può in effetti generare qualche perplessità la turbativa, per assumere rilevanza penale, deve essere posta in essere con violenza alla persona o minaccia. Questo è il contenuto del primo comma. Il secondo, poi, precisa che il fatto si considera compiuto con violenza o minaccia quando è commesso da più di 10 persone. Chiaramente, dicono gli Ermellini, ciò non significa che la turbativa violenta monosoggettiva non sia ipotizzabile il disposto del secondo comma, ci spiegano, è una finzione giuridica”, nel senso che se più di 10 soggetti turbano l'altrui pacifico possesso di un bene immobile – per il solo dato numerico – si deve per legge presumere che l'abbiano fatto violentemente o minacciosamente. Intuitiva la ratio di una simile previsione normativa una calca di almeno 11 persone non può non suscitare, in chi ne subisce l'impatto, effetti intimidatori assimilabili a quelli di chi riceve una minaccia. Possesso esclusivo o compossesso poco importa. L'altro aspetto analizzato è quello riguardante la configurabilità del reato nelle ipotesi in cui il bene immobile sia posseduto da più soggetti. Secondo il tribunale del riesame, il compossesso sarebbe impeditivo della astratta sussumibilità della turbativa nell'ipotesi delittuosa in esame. Non è così, afferma la Suprema Corte la norma incriminatrice persegue l'obiettivo di tutelare in ogni caso il pacifico possesso – cioè una relazione di fatto con un bene immobile – senza che rilevi, ai fini della inquadrabilità della turbativa nella ipotesi prevista dal codice penale, il numero dei compossessori. Prendiamo atto dell'intervento ermeneutico della Suprema Corte abbiamo trovato finalmente un piccolo appiglio difensivo per tutti coloro che – a torto o a ragione – vengono invitati a non mettere più piede a casa. Ci piacerebbe poter leggere, in questa interpretazione, un sottile consiglio per le coppie dialogare per risolvere civilmente ogni contrasto e, se alla separazione non c'è proprio rimedio, che almeno avvenga in maniera pacifica!

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 4 dicembre 2017 – 10 gennaio 2018, n. 610 Presidente Fiandanese – Relatore Pacilli Ritenuto in fatto Con decreto del 4.2.2017 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sassari ha disposto il sequestro preventivo dell’alloggio popolare di proprietà dell’ente pubblico Area , occupato dall’indagata e dal proprio convivente M.C. , ritenendo che l’indagata aveva impedito al M. l’accesso all’abitazione, attraverso la sostituzione della serratura della porta di ingresso, e lo aveva aggredito con lancio di oggetti, ingiurie e minacce, così da indurlo ad allontanarsi dall’immobile e non farvi rientro. Tali fatti, integranti le ipotesi delittuose di cui agli artt. 634 co. 1, 61 nn. 5, 8 e 11, c.p., giustificavano il sequestro, qualificato dal concreto pericolo che la libera disponibilità dell’alloggio in capo all’indagata potesse portare a conseguenze ulteriori il reato o comunque alla protrazione dell’occupazione e alla reiterazione del reato. In data 22 maggio 2017 il Tribunale del riesame di Sassari ha revocato il menzionato decreto di sequestro, affermando sia che era pacifico il compossesso esercitato sull’immobile da entrambi i conviventi e, quindi, anche dall’indagata sia che non poteva ritenersi sussistente l’elemento costitutivo della violenza o della minaccia richiesti dall’art. 634 cpv. c.p., atteso che il fatto si considera compiuto con violenza o minaccia quando è commesso da più di dieci persone inoltre, il Tribunale del riesame ha ritenuto che, sulla scorta degli elementi offerti dalla difesa, l’allontanamento del M. sembrerebbe precedente rispetto ai fatti d’accusa e originato dalla cessazione dei rapporti affettivi entro il nucleo familiare. Ha poi escluso il periculum in mora sia perché era in discussione il fumus commissi delicti sia perché difettavano fatti e circostanze esterne alla realizzazione della condotta, quali l’aggravamento delle conseguenze del reato attraverso l’alterazione o il danneggiamento dello stesso bene o dei beni mobili in esso riposti. Contro l’ordinanza del Tribunale del riesame il PM presso il Tribunale di Sassari ha proposto ricorso per cassazione, deducendo la violazione o l’erronea applicazione dell’art. 634 c.p. e dell’art. 321 c.p.p., avendo il Tribunale del riesame ritenuto in astratto configurabile il reato solo nei casi in cui la minaccia o la violenza sia commessa da più di dieci persone ed avendo escluso la turbativa violenta, atteso che vi era stato il compossesso della persona offesa e dell’indagata. Il Tribunale del riesame, poi, avrebbe ritenuto inesistente il periculum in mora , non essendo ravvisabile il fumus commissi delicti ma, secondo il ricorrente, l’errore sul fumus vizierebbe anche la valutazione sul periculum , per l’appunto fondata sull’esclusione del fumus . All’odierna udienza camerale è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all’esito, questa Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 1.1 Deve premettersi che questa Corte Suprema ha già chiarito che, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di violazione di legge per la quale soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, c.p.p. rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, non anche l’illogicità manifesta e la contraddittorietà, le quali possono denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, lett. e , c.p.p. così Sez. U., sentenza n. 5876 del 28 gennaio 2004, P.c. Ferazzi in proc. Bevilacqua, CED Cass. n. 226710 ss. conforme, Sez. V, sentenza n. 35532 del 25 giugno 2010, Angelini, CED Cass. n. 248129 . 1.2 Tanto premesso, rileva il Collegio che l’ordinanza in scrutinio è inficiata da plurime violazioni di legge, oltre che da motivazione apparente. Va in primo luogo osservato, infatti, che il reato di cui all’art. 634 c.p. consiste nel fatto di turbare, con violenza alla persona o con minaccia, l’altrui pacifico possesso. Il comma 2 equipara la violenza e la minaccia al fatto commesso da più di dieci persone si tratta, come risulta evidente dallo stesso tenore letterale della disposizione de qua, di una finzione giuridica, fondata sull’oggettiva capacità intimidatrice data dall’elevato numero dei partecipanti. Deve, quindi, ritenersi che la presenza di un tale numero di persone rende il fatto punibile, anche se non siano state poste in essere violenza o minaccia. Nel caso in esame, invece, il Tribunale del riesame ha ritenuto che non vi sarebbero violenza o minaccia, stante la commissione del fatto ad opera di una sola persona, con ciò incorrendo in una chiara violazione di legge, non avendo considerato che il secondo comma dell’art. 634 c.p. si limita a prendere in considerazione un caso particolare, in presenza del quale il legislatore ritiene già di per sé integrato il requisito della violenza alla persona o della minaccia. 1.3 Peraltro, l’ordinanza impugnata ritiene che, avendo anche l’indagata il compossesso dell’immobile, non potrebbe configurarsi il reato ascrittole provvisoriamente. L’assunto è erroneo. Premesso che con il termine possesso l’art. 634 c.p. fa riferimento a qualsiasi situazione di potere di fatto esercitato da un soggetto su una res in modo corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale, ossia a ciò che l’art. 1140 definisce possesso , nonché a situazioni inquadrate in ambito civile nella detenzione qualificata di un bene, deve rilevarsi che la commissione del reato previsto dal menzionato articolo non necessariamente postula una situazione di possesso esclusivo in capo alla persona offesa ma può ravvisarsi anche nel caso in cui uno dei compossessori turbi il compossesso esercitato sul medesimo bene da altri. L’art. 634 c.p., difatti, mira a tutelare il pacifico godimento esercitato da un soggetto sul bene, senza che rilevi se tale situazione di vantaggio si estrinsechi in modo esclusivo o congiuntamente ad altri. Non si ravvisa infatti ragione per distinguere la posizione del possessore esclusivo da quella del compossessore, essendo entrambi titolari di una medesima situazione di vantaggio sulla res. Per di più, l’art. 634 c.p. dispone che chiunque può essere autore del reato, con ciò dunque ammettendo che il compossessore di un bene può commettere il reato de quo . Del resto, la dottrina che ha studiato la disposizione in esame, di scarsa applicazione invero da parte della giurisprudenza, ha rimarcato che le forme di realizzazione della fattispecie corrispondono alle tipologie di aggressioni per le quali il codice civile riconosce le azioni possessorie. Deve allora evidenziarsi che le azioni di spoglio e di manutenzione, disciplinate rispettivamente dall’art. 1168 e dall’art. 1170 c.c., tutelano anche il compossessore che venga privato o molestato del potere di fatto, esercitato sul bene, ad opera dell’altro compossessore. Si è ritenuto, infatti, in sede civile, che, in una situazione di compossesso, il godimento del bene da parte dei singoli compossessori assurge ad oggetto di tutela possessoria quando uno di essi abbia alterato e violato senza il consenso e in pregiudizio degli altri partecipanti lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o restringere il godimento spettante a ciascun compossessore sulla cosa medesima, o in modo apprezzabile ne modifichi le modalità di esercizio in questi termini, ex multis, Cass. civ., Sez. 2, 30 luglio 2001, n. 10406 . 1.4 Per di più, la ritenuta dismissione del compossesso da parte della persona offesa in data antecedente ai fatti di causa, che lo stesso Tribunale prospetta quale situazione che sembrerebbe desumersi dagli elementi addotti dalla difesa, si risolve in una motivazione apparente, perché non solo non indica quali fossero gli elementi offerti dalla difesa ma nemmeno prospetta la valenza degli stessi a fronte di quelli presi in considerazione dal giudice di prime cure. 1.5 Anche le argomentazioni sul periculum in mora sono viziate. Il Tribunale del riesame, sul presupposto del perdurante godimento del bene da parte dell’indagata, ha escluso un concreto ed attuale pericolo di deterioramento del bene immobile o dei mobili. La motivazione si fonda su un errato presupposto, non considerando che oggetto della tutela apprestata dall’art. 634 c.p. è il godimento dell’immobile da parte della persona offesa, sicché è rispetto a tale interesse tutelato che andava parametrata la sussistenza del periculum in mora . 1.6 In definitiva l’ordinanza impugnata, viziata da errori di diritto e da motivazione apparente, va annullata e gli atti vanno trasmessi per un nuovo esame al Tribunale di Sassari - Sezione per il riesame delle misure cautelari reali, perché valuti la ricorrenza dei presupposti idonei all’applicazione del sequestro preventivo con riferimento al reato di cui all’art. 634 c.p. o, eventualmente, laddove dovesse emergere il fine di esercitare un preteso diritto, al reato di cui all’art. 393 c.p P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sassari, Sezione per il riesame delle misure cautelari reali.