Resistere a due poliziotti: un solo reato o concorso formale? La parola alle Sezioni Unite

Va rimessa alle Sezioni Unite la questione relativa alla individuazione del numero dei reati commessi dal soggetto che si oppone con una sola azione a più pubblici ufficiali mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio.

Così ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione, sez. VI Penale, con l'ordinanza n. 57249/17 depositata il 21 dicembre. Lasciatemi andare che vi ammazzo! . Questo è il minaccioso monito rivolto dal protagonista dell'ordinanza, che oggi commentiamo, ai due poliziotti che volevano impedirgli di aggredire un terzo soggetto. Alle frasi minacciose si accompagnavano strattonamenti e, a quanto leggiamo, persino un tentativo di prendere a cazzotti i due agenti. Processato per resistenza a pubblico ufficiale continuata, veniva condannato in primo e secondo grado. Il ricorso per cassazione si incentra principalmente proprio sull'erroneo riconoscimento, nella condotta dell'imputato, della continuazione nel reato non una, ma due violazioni della stessa norma incriminatrice avvinte dal medesimo disegno criminoso. La tesi difensiva, evidentemente, è quella della violazione singola del precetto penale. La giurisprudenza ondivaga. La Suprema Corte è sincera riconosce che al proprio interno non c'è unanimità di vedute su come considerare l'atto di resistenza compiuto contemporaneamente ai danni di più pubblici ufficiali. Secondo l'indirizzo interpretativo fatto proprio nella sentenza impugnata, l'ipotesi considerata integrerebbe gli estremi del concorso formale omogeneo, cioè della commissione di più reati con la medesima azione. Questo filone interpretativo, dobbiamo osservare, non è particolarmente recente - si conoscono precedenti di trent'anni fa – ma è stato ripreso anche nel 2017 da un'altra decisione della VI Sezione. La ragione che lo giustifica è sostanzialmente una. Si rileva che la resistenza a più pubblici ufficiali, di fatto, interferisce con il libero espletamento delle funzioni di ciascuno di essi, nonostante il bene giuridico leso sia – in realtà – unico, il normale funzionamento della pubblica amministrazione. Irrilevante è il numero dei pubblici ufficiali coinvolti dalla resistenza. Secondo un opposto indirizzo interpretativo, invece, nel caso in esame si integrerebbe una sola violazione della norma incriminatrice, indipendentemente dal numero dei pubblici ufficiali nei confronti dei quali si esplica la condotta dell'agente. Questa opzione ermeneutica, seguita anche recentemente dalla giurisprudenza di legittimità vi è una decisione in questo senso datata luglio 2017 si appoggia al rilievo dell'obiettivo dell'azione criminosa. Quest'ultimo è l'atto del pubblico ufficiale, non la persona che lo esegue quindi, anche se il numero dei soggetti passivi è plurimo, l'azione criminosa rimane unica. La saldatura del contrasto. Sulla base della persistenza di un recente – e niente affatto sopito - contrasto interpretativo la scelta della Sesta Sezione è quella di investire le Sezioni Unite del compito di risolvere il dubbio la pluralità di pubblici ufficiali genera necessariamente pluralità di reati, nel caso in cui taluno decida di opporvi resistenza? Attendiamo con interesse il verdetto, e nel frattempo possiamo limitarci ad una breve osservazione. Il diritto penale moderno incentra la propria attenzione sulla condotta antigiuridica se questa è decisamente unitaria e non frazionata – né naturalisticamente, né temporalmente – la soluzione più coerente con il sistema è quella della unicità del reato. L'individuazione di due distinte violazioni della stessa norma in una sola condotta, a ben guardare, cozza contro un dato obiettivo, già peraltro posto in risalto dalla giurisprudenza la direzione finalistica dell'azione è quella di opporsi ad un atto, non all'individuo che lo esegue.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, ordinanza 12 dicembre – 21 dicembre 2017, n. 57249 Presidente Petruzzellis – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Ancona, a seguito di gravame interposto dall’imputato A.R. avverso la sentenza emessa il 6.9.2010 dal locale Tribunale, ha confermato la decisione con la quale il predetto è stato riconosciuto responsabile e condannato a pena di giustizia in ordine al reato di cui agli artt. 81,337 cod. pen. per aver rivolto minacce di morte ed usato violenza contro l’assistente F. e l’Ispettore L. dicendo loro Ti ammazzo, sono di , quanto siete voi io vi ammazzo tutti , lasciatemi andare che vi ammazzo strattonandoli e tentando di prenderli a pugni per opporsi mentre i predetti pubblici ufficiali intervenivano per impedirgli di aggredire P.D. . 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che, con atto a mezzo del difensore, deduce 2.1. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 337 cod. pen. e 81 cod. pen. e vizio della motivazione in ordine all’applicazione dell’aumento di pena per la continuazione. La Corte di merito ha erroneamente giustificato l’applicazione della disciplina della continuazione del reato con riferimento al reato di resistenza a pubblico ufficiale contestato in considerazione della pluralità dei soggetti nei confronti dei quali la condotta è stata tenuta, dovendosi tenere conto dell’opposto orientamento di legittimità espresso da Sez. 6 n. 37727 del 15.9.2014 secondo il quale, individuandosi il bene tutelato dalla norma nella regolare attività della Amministrazione, è irrilevante il numero dei pubblici ufficiali intervenuti, essendo necessaria una pluralità di processi volitivi affinché si abbia pluralità di reati, mentre se l’azione è unica e unico l’atteggiamento psicologico - come nel caso di specie, dove il ricorrente aveva la sola volontà di opporsi all’atto dei pubblici ufficiali - unico è il reato commesso. Si censura, inoltre, l’insufficiente motivazione in ordine all’aumento dato per la ritenuta ricorrenza della continuazione. 2.2. Inosservanza dell’art. 62 bis cod. pen. in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche sulla base dei soli precedenti penali del ricorrente, non essendosi tenuto conto della risalenza dei detti precedenti di diversa natura e del successivo comportamento, ammissivo e resipiscente, tenuto dallo stesso ricorrente. Considerato in diritto 1. Osserva il Collegio che, in relazione al primo motivo di ricorso, sussiste un consapevole contrasto interpretativo nella giurisprudenza di questa Corte sulla sussistenza di una o più violazioni dell’art. 337 cod. pen. nel caso in cui l’azione minacciosa o violenta è realizzata nei confronti di una pluralità di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio o, ancora, di soggetti che, richiesti, vi prestino assistenza. 2. La sentenza impugnata ha ritenuto correttamente applicata la continuazione considerando la duplicità del reato di cui all’art. 337 cod. pen. in ragione dell’esistenza di due pubblici ufficiali nei confronti dei quali è stata tenuta l’azione minacciosa e violenta contestata. A sostegno di tale decisione la Corte di merito ha richiamato l’orientamento espresso da Sez. 6, n. 26173 del 17/05/2012, Momodu, Rv. 253111 secondo il quale la resistenza o la minaccia adoperate nel medesimo contesto fattuale per opporsi a più pubblici ufficiali non configura un unico reato di resistenza ai sensi dell’art. 337 cod. pen., ma tanti distinti reati - eventualmente uniti dal vincolo della continuazione - quanti sono i pubblici ufficiali operanti, giacché la condotta criminosa si perfeziona con l’offesa al libero espletamento dell’attività di ciascuno di essi . 3. L’orientamento fatto proprio dalla sentenza impugnata si pone nell’alveo di una più risalente giurisprudenza, secondo la quale, qualora la funzione pubblica sia esercitata da una pluralità di pubblici ufficiali attraverso azioni che si integrano a vicenda, la pluralità delle contrapposte reazioni - minacciose o violente - con cui l’autore della resistenza intenda bloccare le predette complesse funzioni rientra nel paradigma del reato continuato v. mass. n. 171756 v. mass. n. 152871 Sez. 6, n. 3546 del 07/04/1988, Grazioso, Rv. 180728 . Orientamento che è stato, da ultimo, confermato da Sez. 6, n. 35227 del 25/05/2017, Provenzano, Rv. 270545, secondo la quale decisione la resistenza o la minaccia adoperate nel medesimo contesto fattuale per opporsi a più pubblici ufficiali non configura un unico reato di resistenza ai sensi dell’art. 337 cod. pen., ma un concorso formale omogeneo di reati e dunque tanti distinti reati quanti sono i pubblici ufficiali operanti, giacché la resistenza, pur ledendo unitariamente il pubblico interesse alla tutela del normale funzionamento della pubblica funzione, si risolve in distinte offese al libero espletamento dell’attività funzionale di ciascun pubblico ufficiale. La decisione ha osservato che l’opposto indirizzo, che sostiene l’unicità del reato in presenza di una pluralità di pubblici ufficiali, svaluta la tutela della libertà di azione del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio e trascura che la pubblica amministrazione è un’entità astratta, che agisce per mezzo di persone fisiche, ciascuna delle quali, pur operando come organo della stessa, conserva una distinta identità, suscettibile di offesa , e si fonda, inoltre, su un argomento testuale, in quanto, pur costituendo delitto contro la pubblica amministrazione, il reato di resistenza a pubblico ufficiale è connotato, nella sua esplicazione tipica, da violenza o minaccia alla persona, condotta che conferisce centralità all’opposizione violenta all’azione del singolo pubblico ufficiale e consente di individuare l’interesse protetto in quello della pubblica amministrazione a non subire intralci nel momento in cui, per assolvere ai compiti istituzionali, deve attuare la sua volontà tramite i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio e per tale ragione, cioè per garantire la sicurezza e la libertà di azione dei singoli contro fatti di opposizione violenta, la norma assicura tutela al pubblico ufficiale, soggettivamente individuato . Si è, quindi, ritenuto ravvisabile il concorso formale omogeneo di reati se l’agente, con un’unica azione, ha deliberatamente commesso più violazioni della medesima disposizione di legge nella consapevolezza di contrastare l’azione di ciascun pubblico ufficiale. 4. A questo orientamento si oppone quello, emerso più recentemente, secondo il quale in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra un unico reato, e non una pluralità di reati avvinti dalla continuazione, la violenza o la minaccia posta in essere nel medesimo contesto fattuale per opporsi al compimento di uno stesso atto di ufficio o di servizio, anche se nei confronti di più pubblici ufficiali od incaricati di pubblico servizio Sez. 6, n. 37727 del 09/05/2014, Pastore, Rv. 260374 . Nel giustificare il discostamento dal precedente orientamento si osserva che la diversa soluzione trova ragione nella stessa struttura del reato secondo la formulazione letterale della disposizione, la dove focalizza quale obiettivo della condotta criminosa l’opposizione all’atto piuttosto che la violenza o minaccia nei confronti del singolo in quanto tale, essendo il bene espressamente tutelato dall’art. 337 cod. pen. rappresentato dalla regolare attività dell’Amministrazione rispetto alla quale l’offesa al pubblico ufficiale rappresenta un danno collaterale . Nell’alveo di questo orientamento si è posta Sez. 6, n. 4123 del 14/12/2016, Mozzi, Rv. 269005 che, nel contrastare l’opposta conclusione, ha osservato che esso perde di vista il bene indiscutibilmente oggetto della salvaguardia apprestata dall’art. 337 cod. pen., che è rappresentato dal regolare svolgimento dell’attività della P.A., per effetto della sanzione apprestata avverso l’opposizione ad un atto d’ufficio o di servizio che sia connotato da modalità violente o minatorie ed il carattere meramente strumentale dell’offesa rispetto all’interesse tutelato, senza che la prima rimanga priva di risposta da parte dell’ordinamento, posto che, nel momento in cui essa supera lo stadio minimale delle percosse o della minaccia semplice - che vale ad integrare l’elemento costitutivo della violenza o minaccia di cui al più volte citato art. 337 cod. pen., essendo pertanto ivi assorbita - entrano in gioco anche le norme poste a presidio dell’integrità fisica dell’individuo. Quanto all’elemento psicologico, ha evidenziato che la giurisprudenza di legittimità che ha affrontato il tema del concorso formale c.d. omogeneo, ha posto l’accento, al fine di differenziare il caso dell’unicità da quello della pluralità di violazioni, sul diverso atteggiarsi del dolo in capo al soggetto agente, a tal fine significando che Perché si abbia concorso formale di reati è necessario che l’azione unica sia accompagnata e sorretta dall’elemento soggettivo tipico proprio di ciascuna fattispecie criminosa. Ciò significa che non potendosi la pluralità di violazioni farsi puramente e semplicemente derivare dalla pluralità delle persone offese è necessario un quid pluris , consistente nella riconoscibile esistenza di uno specifico atteggiamento psicologico diretto a realizzare l’evento tipico previsto dalla norma incriminatrice nei confronti di ciascuna, distintamente, di dette persone. così Cass. Sez. 2, sent. n. 12027 del 23.09.1997, Rv. 210458 conf. Sez. 1, sent. n. 5016 del 07.12.1987 - dep. 23.04.1988, Rv. 178225 . Da ultimo, nel ribadire questo orientamento Sez. 6, n. 39341 del 12/07/2017, Damiani, Rv. 270939, ha osservato che l’uso della violenza o della minaccia considerato dall’art. 337 cod. pen. per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, non si identifica necessariamente nella minaccia o violenza contro la persona del pubblico ufficiale potendosi manifestare anche in forme diverse da quelle riconducibili alle previsioni degli artt. 610 o dell’art. 612 cod. pen. esplicandosi anche mediante una violenza o minaccia cosiddetta impropria, che, pur non aggredendo direttamente il pubblico ufficiale, riverbera negativamente sull’esplicazione della sua funzione, impedendola o ostacolandola. 5. L’attualità del contrasto esposto - la cui soluzione è dirimente ai fini della decisione sul motivo proposto dal ricorrente - giustifica ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen. la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite in ordine alla seguente questione di diritto se commetta più violazioni dell’art. 337 cod. pen. l’agente che, con una sola azione usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o a più incaricati di pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza . P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.