Affidamento allargato e sospensione della pena fino a 4 anni: in attesa del legislatore si divide la giurisprudenza

Deve ritenersi che il limite previsto in astratto per la sospensione della esecuzione, ai sensi dell'art. 656, comma 5, c.p.p., sia quello della pena, anche residua, non superiore ad anni 4, quando la sospensione sia richiesta ai sensi dell'art. 47, comma 3-bis, ord. penit., cioè in correlazione con una istanza di affidamento in prova c.d. allargato. Il richiamo dell'art. 656 comma 5, c.p.p., secondo periodo, all'art. 47 ord. penit. nella sua interezza, consente, infatti, di interpretare la prima norma avvalendosi del criterio sistematico e di quello evolutivo, pur in mancanza del dato formale di una sua esplicita modifica che, tenendo conto del recente inserimento dell'art. 47, comma 3-bis, ord. penit., introduca il richiamo specifico dell'ipotesi prevista da tale nuovo comma nel testo letterale della disposizione del codice di rito.

Affermando tale principio, il Tribunale di Bergamo, quale giudice dell’esecuzione, in tale pregevole pronuncia ordinanza 15 dicembre 2017 , ha dichiarato la nullità dell’ordine di esecuzione per la carcerazione disposto dal PM, ordinando l’immeditata scarcerazione del ricorrente, condannato a tre anni e quattro mesi di reclusione in relazione ai reati di omicidio e omissione di soccorso stradale dalla Corte di Appello di Brescia che diminuì la pena, di anni 4 e mesi 4 inflitta in primo grado dal Tribunale di Bergamo . Disallineamento sistematico. È stato accolto l’incidente di esecuzione proposto dal difensore del condannato, premettendo l’esistenza di un evidente disallineamento sistematico tra l’art. 656, comma 5, c.p.p., che prescrive al PM di sospendere l’esecuzione dell’ordine di carcerazione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggior pena, soltanto nei casi di pena non superiore a tre anni per consentire al condannato di poter accedere alla misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali e l’art. 47, comma 3- bis , ord. penit., introdotto dal d.l. n. 146/2013 sullo svuota carceri convertito in l. n. 10/2014 che prevede la possibilità di concedere l’affidamento in prova ai servizi sociali al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a 4 anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione pena, in esecuzione di misura cautelare ovvero in libertà un comportamento tale da consentire il giudizio di ritenere la misura dell’affidamento in prova, attraverso le sue prescrizioni, idonea a contribuire la rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. Intrpretazione estensiva-evolutiva. Il Tribunale di Bergamo ritiene che l’art. 656, comma 5, c.p.p., al di là del suo tenore letterale, vada interpretato estensivamente in modo da ricomprendere nel suo ambito applicativo anche delle ipotesi di affidamento allargato previste dallo svuota carceri . Ciò in virtù di un criterio sistemativo ed evolutivo che tenga conto delle norme da coordinare, in conformità al dettato costituzionale. Sia la norma sull’affidamento allargato che quella sulla sospensione dell’ordine di carcerazione hanno infatti come finalità quella di impedire l’ingresso in carcere di condannati che hanno i presupposti per accedere alla misura alternativa, in quanto si presumono abbiano una ridotta pericolosità, mirando alla deflazione intramuraria e alla funzione rieducativa della pena. Per evitare un’ingiustificata disparità di trattamento. Seguire la diversa interpretazione della normativa – basata su un disallineamento sistematico, non colmato in sede di conversione del d.l. n. 146/2013, con la l. n. 10/2014, mediante la modifica dell’art. 656, comma 5, c.p.p. – ad avviso del Tribunale di Bergamo, determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, censurabile sotto il duplice profilo della lesione dei parametri costituzionali degli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. tra chi risulti condannato ad una pena inferiore ai tre anni e quindi rientrante nel perimetro applicativo dell’affidamento in prova ordinario e chi risulti condannato ad una pena inferiore ai quattro anni ed essere nelle condizioni per essere ammesso all’affidamento allargato nonostante le condizioni soggettive di accesso ai due affidamenti sono del tutto identiche, in quanto l’ammissione alla misura alternativa ad entrambi i casi è subordinata ad un periodo di osservazione del condannato. Possibile una lettura costituzionalmente orientata? L’orientamento garantista – e ossequioso del diritto inviolabile della libertà personale ex art. 13 Cost. – della pronuncia in commento si accoda alla lettura costituzionalmente orientata seguita dal Tribunale di Milano Sez. fer., 24 agosto 2017 31 marzo 2017 . Pur condividendo tale interpretazione sistematica ed evolutiva della disciplina normativa, il Tribunale di Lecce ha sollevato con ordinanza del 13 marzo 2017 la questione di legittimità costituzionale dell’art. 656 comma 5, c.p.p. nella parte in cui non consente che l’ordine di esecuzione debba essere sospeso anche nei casi di pena non superiore a 4 anni di detenzione. Per il Giudice dell’esecuzione salentino poiché l’elemento condizionante il meccanismo sospensivo dell’ordine di esecuzione risulta fondato su un limite numerico, esso, per sua intrinseca natura, appare insuscettibile di modifiche in via interpretativa, e dunque ostativo ad una interpretazione adeguatrice del dettato normativo in scrutinio ai principi costituzionali. E neppure la disapplicazione diretta della disposizione reputata illegittima consentirebbe di pervenire ad una lettura costituzionalmente orientata della norma, salvo a volerla ricongiungere ad una inammissibile interpretazione additiva. E la Cassazione? La Suprema Corte sembrava in un primo momento avere accolto la lettera seguita dal Tribunale di Bergamo ritenendo che la distonia che si registra fra il limite per l'ottenimento dell'affidamento in prova anche da libero, elevato a 4 anni ex art. 47, comma 3-bis, ord. penit., e quello di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p., riguardante la sospensione dell'esecuzione e rimasto fermo a 3 anni di reclusione, vada risolta necessariamente nel senso che il limite di 3 anni non possa mai pregiudicare il diritto riconosciuto dall’art. 47, comma 3- bis , ord. penit. anche al soggetto libero, se non nelle eccezioni apprezzabili secondo criteri rigorosamente tassativi e secondo il relativo dato letterale, non suscettibile di analogia in malam partem . Altrimenti opinando, si perverrebbe inevitabilmente ad una interpretazione abrogante del disposto dell'art. 47, comma 3- bis , ord. penit., nella parte in cui consente la concessione del beneficio dell'affidamento in prova anche al soggetto che sia stato condannato ad una pena superiore a 3 anni, ma contenuta nei 4 anni, che si trovi in stato di libertà Cass. sez. I, n. 51864/16, n. 37848/16 . Veniva pertanto autorizzata una interpretazione adeguatrice” dell’art. 656 c.p.p., consentendo di mantenere il parallelismo con i più ampi limiti di pena dell’art. 47, comma 3- bis Sez. I, n. 39889/2017 . Il revirement della Cassazione. L’orientamento recentissimo è di contrapposto avviso, aprendo così un conflitto di legittimità. Si ritiene così che in tema di esecuzioni di pene detentive brevi, ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione correlata ad un’istanza di affidamento in prova ai servizi sociali ai sensi dell’art. 47, comma 3- bis , ord. penit., il limite edittale cui il pubblico ministero deve fare riferimento per l’emissione dell’ordine di carcerazione è quello di 3 anni, essendo rimessa al Tribunale di sorveglianza ogni valutazione circa l’istanza di affidamento in prova nel caso di pena espianda, anche residua non superiore a 4 anni Sezione I, n. 54128 del 30 novembre 2017 e n. 46562 del 10 ottobre 2017 . Obiezione superabile. Si sostiene dagli Ermellini che la discrezionalità del provvedimento giurisdizionale, agganciata ad elementi valutativi compendiati in relazioni di osservazione o informazioni di polizia, è di ostacolo anche ad una sommaria delibazione da parte dell’organo dell’esecuzione all’atto dell’emissione dell’ordine di carcerazione poiché il potere di sospenderne l’esecuzione, in vista della decisione del giudice competente è di stretta interpretazione. Pertanto, il PM non potrebbe sospendere di sua iniziativa l’ordine di esecuzione non rientrando tra i suoi poteri quello di anticipare la valutazione discrezionale riservata alla magistratura di sorveglianza. A tale ultima obiezione risponde condivisibilmente il Tribunale di Bergamo, osservando come tale valutazione rimane comunque affidata al Tribunale di sorveglianza, mentre al PM compete unicamente di verificare, allorché dispone la sospensione dell’ordine di carcerazione, se sussistano i dati formali per l’accesso all’affidamento in prova. La legge delega conferita al governo. Nell’accogliere l’interpretazione meno garantista, la recente giurisprudenza di legittimità ritiene che ad avvalorare la tesi restrittiva vi sia la recente delega al governo, contenuta nell’art. 85 l. n. 103/2017, tra cui spicca, alla lettera c , la revisione della disciplina di accesso alle misure alternative, prevedendo che il limite di pena che impone la sospensione dell’ordine di esecuzione sia fissato in ogni caso a quattro anni . È evidente infatti che il criterio di delega, volto ad elevare a quattro anni il limite di pena sarebbe superfluo nell’ottica dell’interpretazione evolutiva respinta. Anche a tale argomentazione risponde, ribaltandola, il Tribunale di Bergamo ritenendo de iure condendo come l’interpretazione che eleva e quattro anni il tetto di pena sospendibile sia confermata dall’orientamento espresso dal legislatore nella legge delega che pertanto si limita a prendere atto della precedente svista in sede di conversione del d.l. n. 146/2013 , e appoggiando la precedente interpretazione costituzionalmente orientata. Del resto, nella legge delega l’elevazione del limite di pena non riguarda l’affidamento in prova ma le misure alternative” e si precede che il limite di pena sia fissato in ogni caso” a 4 anni. In sostanza, il legislatore sembra che, ben lungi dal prevedere l’innalzamento del limite di pena per accedere all’affidamento in prova ordinario limite già enucleabile nel sistema, come sostiene il Tribunale di Bergamo ha voluto superare un'altra palese disparità di trattamento tra l’affidamento in prova al servizio sociale e la detenzione domiciliare ordinaria e non umanitaria in quanto, pur essendo quest’ultima misura più afflittiva della prima e che quindi nella progressione rieducativa venire prima dell’affidamento in prova è subordinata ad un limite di pena di soli due anni mentre più elevato è il residuo di pena per poter accedere all’affidamento . Con la conseguenza irragionevole che il condannato che ha seguito un percorso risocializzante avviato anche se non al punto di usufruire dell’affidamento in prova, ma che tuttavia gli consentirebbe di poter accedere, nell’ottica della progressione dei benefici penitenziari con finestre di libertà sempre più ampie partendo dal lavoro all’esterno, ai permessi premio, alla semilibertà per poi arrivare alla detenzione domiciliare, se si trova a dover scontare più di due anni non potrà usufruirne mentre, invece, al’affidamento in prova potrebbe astrattamente accedervi prima. Sancendo la possibilità di sospendere l’ordine di esecuzione della pena anche per la detenzione domiciliare e per le altre misure alternative in ogni caso” a 4 anni, allineandole a quanto già previsto per l’affidamento in prova, si renderebbe la disciplina dell’art. 656, comma 5, c.p.p. in armonia con la funzione rieducativa della pena, eliminando irragionevoli disparità tra condannati.

Tribunale di Bergamo, sez. Penale, ordinanza 15 dicembre 2017 Giudice Petillo Rilevato che nei confronti di omissis , nato a omissis venne emessa la sentenza numero 2285 del 18 luglio 2014 con la quale il Giudice del Tribunale di Bergamo lo condannò alla pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione in ordine ai reati di cui agli articolo 589 C.p. e 189 C.d.s. rilevato con sentenza numero 3131 dell'11 novembre 2016 la C.d.A. di Brescia riformò parzialmente la suddetta sentenza, riducendo la pena inflitta all'imputato ad anni 3 omissis e mesi 4 di reclusione rilevato che la sentenza della C.d.A. è divenuta irrevocabile dal 25 febbraio 2017 rilevato che il P.M., con provvedimento in data 4 ottobre 2017, emise l'ordine di esecuzione per la carcerazione, ex articolo 656 C.p.p., determinando in anni 3 e mesi 4 omissis la pena da espiare, senza procedere alla sospensione dell'efficacia dell'ordine rilevato che l'avv. omissis , difensore di fiducia di omissis ha proposto incidente di esecuzione, chiedendo la declaratoria di inefficacia dell'ordine di esecuzione emesso dal P.M., disponendo nel contempo la trasmissione al Tribunale di Sorveglianza della domanda di concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale, allegata al ricorso ritenuto, all'esito dell'udienza camerale, che la doglianza del difensore deve ritenersi fondata ed invero, se da un lato, il 5. comma dell'articolo 656 C.p.p. prescrive che il Pubblico Ministero sospenda l'esecuzione dell'ordine di carcerazione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggior pena, soltanto nei casi di pena non superiore a 3 anni per consentire al condannato di poter accedere alla misura-alternativa dell'affidamento ai servizi sociali di cui all'articolo 47 O.P. , ovvero non superiore a 4 anni al fine di consentire al condannato di usufruire della detenzione domiciliare cd. umanitaria di cui all'articolo 47 ter, 1. comma o, infine, non superiore a 6 anni nei casi previsti gli articoli 90 e 94 D.P.R. numero 309/90 al fine di consentire al condannato di usufruire della sospensione e dell'affidamento in prova ed terapeutico , non si può ignorare che l'articolo 47, comma 3 bis, O.P., introdotto con D.L. 146/2013, prevede la possibilità di concedere l'affidamento in prova ai servizi sociali al condannato che deve espiare una pena, ariette residua, non superiore a quattro anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell'anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di peno, in esecuzione di misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2 ovvero di ritenere che la misura dell'affidamento in prova ai Servizi Sociali, anche attraverso le sue prescrizioni, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati . Orbene, occorre evidenziare che al momento in cui il P.M. ha emesso l'ordine di esecuzione per la carcerazione ovvero in data 4 ottobre 2017 , era sussistenti le condizioni di legge sopra riportate, dal momento che il condannato era in stato di libertà, con pena residua da espiare contenuta nel limite di pena previsto dall'articolo 47, comma 3. bis, O.P. ovvero anni 3 e mesi 4, vi era stato un comportamento, tenuto in stato di libertà nell'anno precedente alla presentazione della richiesta di affidamento in prova, apparentemente compatibile con un giudizio positivo ai sensi del 2 comma dell'art 47 O.P. , condizioni in virtù delle quali, astrattamente fetta salva la valutazione di competenza della magistratura di sorveglianza , avrebbe potuto accedere alla misura alternativa del cosiddetto affidamento in prova allargato . Inoltre, l'articolo 656, comma 5. C.p.p., al di là del suo tenore letterale, va interpretato in senso estensivo in modo tale da ricomprendere nell'ambito della sua applicazione anche tale ulteriore ipotesi e ciò in virtù di un criterio sistematico ed evolutivo che tenga conto della ratio delle norme da coordinare, in conformità col dettato costituzionale. A tal proposito si osserva che l'istituto del cd. affidamento in prova allargato ha chiaramente come finalità quella di impedire l'ingresso in carcere ai condannati in grado di ottenere l'ammissione alla detta misura alternativa alla detenzione in carcere, così come tale finalità è quella posta alla base del meccanismo di cui all'articolo 656, comma 5. C.p.p., norma che prevede la sospensione automatica dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione per poter richiedere e beneficiare delle misure alternative dell'affidamento in prova ordinario articolo 47 O.P. , terapeutico art 94 D.P.R. numero 309/90 ovvero della detenzione domiciliare cd. umanitaria articolo 47 ter, comma 1., O.P. . Entrambi gli istituti ovvero la sospensione automatica dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione e le misure alternative alla detenzione carceraria , inoltre, da un lato, si fondano sulla presunzione di una ridotta pericolosità del condannato e, dall'altro, mirano al duplice obiettivo della deflazione carceraria e della funzione rieducativa della pena. Si rileva pertanto come una diversa interpretazione della normativa in esame basata su un disallineamento sistematico, non colmato in sede di conversione del D.L. 14672013 con la legge numero 10/2014, mediante una modifica dell'articolo 656 comma 5. C.p.p. determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, rilevante ex articolo 3 e 27, comma 3. Cost., tra chi risulti condannato a pena inferiore ai tre anni in quanto tale suscettibile di essere ammesso all'affidamento in prova ordinario e chi risulti condannato a pena inferiore ai quattro anni nelle condizioni di poter essere ammesso all'affidamento in prova cd. allargato , disparità derivante dal fatto che le condizioni soggettive utili all'accesso alla misura dell'affidamento in prova ai servizi sociali ordinario o allargato sono del tutto simmetriche, posto che in entrambi i casi la concreta ammissione alla misura alternativa è subordinata ad un periodo di osservazione del reo. All'obiezione che potrebbe muoversi all'accoglimento, di una tale interpretazione della norma, ossia che il P.M. non potrebbe di sua iniziativa sospendere l'ordine di esecuzione per la carcerazione, non rientrando nei suoi poteri quello di anticipare una valutazione discrezionale al altri riservata in merito al comportamento del condannato, può rispondersi osservando come tale valutazione rimane comunque affidata al Tribunale di Sorveglianza, mentre al P.M compete unicamente di verificare, allorché dispone la sospensione dell'efficacia dell'ordine di esecuzione, se sussistano i dati formali per l'accesso al beneficio di cui sopra si è detto. Quella proposta e, del resto, una lettura della disposizione operata anche dalla giurisprudenza di legittimità cfr. sentenze Cass. penumero Sez. 1 numero 51864/2016 e numero 37848/2016 . Significativo, infine, che, in un ottica de iure condendo, questo sia anche l'orientamento espresso dal legislatore attraverso la legge delega conferita al governo con l'articolo 85, lett c , L. numero 103/2017. Da quanto sopra esposto consegue raccoglimento dell'incidente di esecuzione proposto con declaratoria di nullità dell'ordine di esecuzione emesso dal P.M. Va, infine, disposta l'immediata scarcerazione di omissis , se non detenuto per altra causa. P.Q.M. visti gli articolo 665 e segg. c.p.p. Dichiara la nullità dell'ordine di esecuzione per la carcerazione disposto dal P.M., con provvedimento in data 4 ottobre 2017 nei confronti di omissis Ordina l'immediata scarcerazione di omissis , se non detenuto per altra causa. Manda alla Cancelleria di per quanto di competenza.