Patologie serie per la detenuta: confermato il carcere

Respinta l’ipotesi di un differimento nell’esecuzione della pena. A fronte del quadro clinico della donna, i Giudici ritengono non ci sia un effettivo pericolo di vita.

Situazione clinica difficile. Molteplici e complicate le patologie lamentate, tra cui Aids, epatite B e carcinoma. Ciò nonostante, non può essere messo in discussione il carcere Corte di Cassazione, sentenza n. 56734/17, sez. I Penale, depositata oggi . Condizioni per la richiesta dei domiciliari. Riflettori puntati sulle precarie condizioni di una donna, costretta dietro le sbarre. Alla luce del proprio stato di salute, ella punta al differimento della pena o alla detenzione domiciliare . Negativa è però la risposta del Tribunale di sorveglianza, che, pur confermando le gravi patologie che hanno colpito la donna, ne evidenzia la natura non acuta . Per chiudere il cerchio, poi, viene anche sottolineata l’adeguatezza delle cure praticate e degli accertamenti diagnostici periodici, svolti in carcere o all’esterno . Pericolo di vita. L’ultima carta per la donna è il ricorso in Cassazione, accompagnato anche da una memoria in cui ella certifica di essere affetta da Aids, epatite B, epilessia, tubercolosi, carcinoma . Ai Giudici spiega che quelle patologie, pur non avendola condotta in imminente pericolo di vita , comunque la condurranno a morte certa in carcere tra atroci sofferenze fisiche e morali e senza poter fruire del supporto dei propri familiari . Queste osservazioni non convincono però i Giudici del ‘Palazzaccio’, che condividono la decisione del Tribunale di sorveglianza e confermano perciò il carcere per la donna. In sostanza, pare evidente, secondo i Magistrati, la stabilizzazione delle condizioni della detenuta, che non versa in imminente pericolo di vita e non presenta patologie non trattabili in costanza di detenzione . E a questo proposito viene anche osservato che, nonostante i seri problemi di salute, la donna partecipa attivamente al trattamento rieducativo mediante frequenza di un corso formativo e svolgimento di attività lavorativa inframuraria . Di conseguenza, viene esclusa l’ipotesi della incompatibilità dello stato clinico della donna col regime detentivo . Ciò significa, ovviamente, zero possibilità di disporre il rinvio dell’esecuzione della pena, anche nella forma della detenzione domiciliare .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 novembre – 19 dicembre 2017, numero 56734 Presidente Di Tomassi – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 24 gennaio 2017 il Tribunale di sorveglianza di Torino respingeva la richiesta, proposta dalla condannata Mo. Sc., diretta ad ottenere il differimento facoltativo dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 147 cod. penumero per grave infermità ed il differimento dell'esecuzione nella forma della detenzione domiciliare, sul rilievo che gli atti acquisiti, pur confermando le gravi patologie dalle quali l'istante risulta affetta, indicavano la loro natura non acuta, l'adeguatezza delle cure praticate e degli accertamenti diagnostici periodici, svolti in carcere o all'esterno, la possibilità di una adeguata partecipazione all'opera tratta mentale. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'interessata a mezzo del suo difensore di fiducia, chiedendone l'annullamento per erronea applicazione della legge penale e mancanza assoluta, ed illogicità e contraddittorietà della motivazione per avere il Tribunale di sorveglianza respinto le richieste di differimento pena, senza avere previamente proceduto all'espletamento della perizia medico-legale, volta a accertare le condizioni di salute della detenuta e la loro compatibilità con la detenzione. Anche la considerazione della sua situazione clinica non è del tutto corretta, posto che la patologia dell'HBV non è stata soppressa e la Sc. soffre di una grave forma di epatopatia, per la quale non è più stata sottoposta ad alcuna visita sanitaria da parte dell'infettivologa, come rilevato dal dr. Or., le cui conclusioni sul punto paiono deporre in senso contrario a quanto indicato nell'ordinanza e per la incompatibilità con il regime detentivo. 3. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, dr. Antonio Mura, con requisitoria scritta ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. 4. Con memoria sottoscritta personalmente la ricorrente ha rappresentato di essere affetta da AIDS conclamato, stadio C1, HBV, epilessia, TBC, carcinoma ed altre patologie che, se non l'hanno condotta in imminente pericolo di vita, la condurranno a morte certa in carcere tra atroci sofferenze fisiche e morali senza poter fruire del supporto dei propri familiari. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va dunque respinto. 1. E' noto che l'istituto del differimento dell'esecuzione della pena, secondo la disciplina prescritta dagli artt. 146 e 147 cod.penumero , deve essere applicato, oppure può essere accordato in via facoltativa e discrezionale sulla base di distinti requisiti la prima norma, per quanto qui rileva, impone l'obbligatorio rinvio dell'esecuzione della pena quando debba procedersi nei confronti di donna incinta, di madre di prole di età inferiore ad un anno, oppure di persona affetta da AIDS conclamato o da grave deficienza immunitaria accertata ai sensi dell'art. 286 bis cod.proc.penumero , comma 2, ovvero da altra malattia particolarmente grave a causa della quale le sue condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione o quando lo stadio evolutivo, raggiunto dalla malattia, sia tale da non consentire ai trattamenti disponibili ed alle terapie praticabili di sortire effetto, ossia da postulare l'insensibilità alle cure sperimentabili in quel contesto detentivo o in altro diverso. In presenza di altra malattia particolarmente grave , per accordare il differimento obbligatorio dell'esecuzione deve altresì sussistere l'incompatibilità dello stato morboso con l'espiazione carceraria inframuraria, mentre non riveste rilievo la pericolosità sociale del detenuto, intesa quale condizione negativa ostativa all'applicazione dell'istituto, che tutela, non già la collettività, quanto i beni primari della persona quali il diritto alla salute, il diritto alla vita, il divieto di sottoposizione a trattamenti detentivi contrari al senso di umanità. 1.1 L'istituto del differimento facoltativo dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell'art. 147 cod. penumero , numero 2, così come la misura alternativa della detenzione domiciliare di cui alla L. 26 luglio 1975, numero 354, art. 47 ter, traggono, invece, fondamento dal contemperamento dei principi costituzionali, egualmente riconosciuti e protetti, che assicurano l'uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali e di salute l'esecuzione delle pene in modo tale da non tradursi in trattamenti contrari al senso di umanità la salute dell'individuo quale suo diritto fondamentale. L'interpretazione offertane dalla giurisprudenza di questa Corte al fine di bilanciare tali contrapposti interessi, -da un lato quello dell'ordinamento statuale all'esecuzione delle pene legittimamente inflitte, dall'altro quello del condannato a non essere sottoposto a trattamenti non tollerati dalle sue condizioni di salute e contrari alla dignità della persona-, sostiene che lo stato morboso del condannato non è in assoluto ostativo all'esecuzione della pena detentiva, ma legittima il temporaneo differimento dell'espiazione in condizioni di restrizione carceraria quando le patologie autorizzino una prognosi infausta quoad vitam , oppure il soggetto in stato di libertà possa accedere a cure e trattamenti indispensabili, ma non praticabili in stato di detenzione nemmeno presso centri clinici dell'amministrazione penitenziaria, ovvero in condizioni di ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura, oppure ancora l'espiazione in ambiente carcerario, per effetto della particolare serietà delle malattie o per le condizioni complessive del detenuto, risulti in contrasto con il senso di umanità e non possa sortire alcun effetto risocializzante e rieducativo. Attraverso la previsione del requisito della grave infermità fisica la disposizione di cui all'art. 147 cod. penumero per consentire il rinvio dell'esecuzione presuppone che il condannato sia affetto da patologie di qualificata serietà, tali da esporre a pericolo la sua vita o da provocare altre rilevanti conseguenze pregiudizievoli o, comunque, da esigere cure inattuabili nel circuito carcerario, la cui valutazione va condotta mediante bilanciamento tra le sue esigenze personali e l'interesse di sicurezza e prevenzione della collettività, tanto che il giudizio di perdurante pericolosità sociale del condannato autorizza il rigetto della richiesta di differimento dell'esecuzione sez. 1, numero 17947, 30/03/2004, Vastante, rv. 228289 sez. 1, numero 972 del 14/10/2011, Fa., rv. 251674 sez. 1, numero 26136 del 6/6/2012, Sc., rv. 253087 . 1.2 Oltre a tali principi ermeneutici è opportuno ricordare che la Corte Costituzionale con la sentenza nr. 264 del 23/9/2009 ha dichiarato manifestamente infondata la questione di incostituzionalità dell'art. 146 cod. penumero , primo comma, numero 3 , proposta in riferimento agli articoli 2, 3, 27, primo e terzo comma, della Costituzione, offrendo utili indicazioni per l'applicazione della norma scrutinata. Ha in particolare affermato che tale disposizione non introduce nell'ordinamento una presunzione assoluta di incompatibilità tra detenzione in carcere e stato di malattia da AIDS conclamato o da grave deficienza immunitaria e quindi non impone in via automatica l'esclusione del detenuto che ne sia affetto dal circuito carcerario, ma richiede una verifica casistica del livello di gravità raggiunto dalla patologia in modo da acquisire la prova che la stessa sia giunta alla sua fase terminale, così da escludere, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, la rispondenza del soggetto ai trattamenti disponibili o alle terapie curative. In tali situazioni la fuoriuscita dal regime detentivo inframurario si giustifica per ragioni umanitarie, secondo quanto imposto dall'art. 27 Cost., comma 3, e garantisce il contemperamento tra il diritto alla salute del condannato e le esigenze di espiazione della pena, tanto che in presenza delle condizioni per il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 146 cod. penumero , il tribunale di sorveglianza può comunque disporre, anche d'ufficio, l'applicazione della detenzione domiciliare per garantire la collettività dal pericolo di reiterazione di altre condotte criminose. 2. Alla luce di tali premesse in punto di diritto, va rilevato che il Tribunale di sorveglianza nel caso in esame ha dato atto delle plurime e serie patologie dalle quali è affetta la ricorrente, comprese quelle infettive AIDS e HVB, del trattamento antiretrovirale in atto sperimentato col raggiungimento di esiti positivi per il compenso di entrambe le affezioni e la scomparsa di replicazione HVB-DNA, dell'assenza di fasi acute in tutte le malattie accertate, della sua sottoposizione ad accertamenti diagnostici strumentali ed a visite specialistiche con cadenza periodica, attuati in ambiente carcerario e presso presidi sanitari esterni. Ha quindi concluso per la stabilizzazione delle condizioni della detenuta, che non versa in imminente pericolo di vita e non presenta patologie non trattabili in costanza di detenzione, tanto da consentirle anche di partecipare attivamente al trattamento rieducativo mediante frequenza di un corso formativo e svolgimento di attività lavorativa inframuraria e per l'assenza dei presupposti per disporre il rinvio obbligatorio dell'esecuzione anche nella forma della detenzione domiciliare. 2.1 Ebbene, la motivazione, pur sinteticamente articolata, non è affatto carente, poiché l'ordinanza presenta la considerazione delle patologie riscontrate nella detenuta, del loro grado di sviluppo, delle terapie necessarie, degli effetti prodotti e delle indagini diagnostiche cui ella deve periodicamente sottoporsi, nonché della loro gravità ed incidenza sulle sue condizioni generali e sulla possibilità di fruire dell'offerta trattamentale, che non hanno eliminato. 2.2 Per contro il ricorso e la successiva memoria oppongono soltanto una diversa valutazione dello stato clinico della Sc. e la pretesa incompatibilità dello stesso col regime detentivo, ma da un lato non censurano con argomenti specifici il diverso giudizio espresso dal Tribunale, dall'altro richiamano accertamenti imprecisati e considerazioni espresse da un sanitario in senso difforme da quelle rassegnate nell'ordinanza senza al contempo precisare in quale contesto le diagnosi divergenti siano state formulate e in quali precisi termini siano favorevoli all'assunto difensivo, né, infine, produrre tali atti ad offrirvi riscontro documentale. In altri termini, per quanto dedotto in ricorso, si ignorano le conclusioni del dr. Or., ma anche chi sia costui e quale ruolo rivesta nella vicenda di conseguenza non è possibile nemmeno apprezzare l'incidenza sulla decisione dell'omessa valutazione di tali accertamenti. 2.3 Inoltre, l'impugnazione omette di specificare quali trattamenti e quali accertamenti diagnostici non fornitele in ambiente carcerario potrebbero giovare alla ricorrente ed essere praticati in strutture ospedaliere esterne, accessibili soltanto se non ristretta per tali carenze deduttive, questa Corte non è posta nella condizione di poter riscontrare i vizi denunciati, né l'indispensabilità di una perizia, che avrebbe potuto e dovuto essere espletata soltanto qualora fosse stato espresso dai sanitari occupatisi della Sc., oppure fosse emerso dalla documentazione clinica, un giudizio di incompatibilità tra il suo grave stato di salute e la carcerazione. Solo a fronte di tali emergenze si sarebbe posta la necessità di un approfondimento tecnico mediante cognizioni medico-legali, non in possesso dei giudici di sorveglianza sez. 1, numero 54448 del 29/11/2016, Mo., rv 269200, in motivazione . Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.