Presunti maltrattamenti su un cane denunciati a un settimanale: legittimo diritto di critica

Esclusa l’ipotesi della diffamazione. Cadono le accuse mosse nei confronti del direttore del periodico dal padrone dell’animale. Giusta la scelta di pubblicare la lettera di una lettrice.

Eccessivo l’allarme lanciato da una animalista, che scrive una lettera aperta a un settimanale, denunciando i – presunti – maltrattamenti subiti da un cane e mettendo accusa il padrone. Ciò che emerge, in realtà, è che l’animale è costretto in spazi angusti. E questo dato è sufficiente per considerare la missiva come critica legittima. Esclusa, perciò, l’ipotesi della diffamazione, e salvo il direttore del periodico Cassazione, sentenza n. 55739/17, sez. V penale, depositata il 13 dicembre 2017 . Il caso. Immaginabile la reazione della persona additata nella lettera come assolutamente insensibile alle sofferenze del proprio cane. Smaltita la rabbia, l’uomo decide di chiedere la condanna del direttore del settimanale, ritenendolo colpevole di diffamazione per avere pubblicato la missiva senza verificare la fondatezza dei fatti raccontati. Passaggio centrale dello scritto è quello in cui la lettrice afferma che nell’immobile vi è un cane maltrattato . E rilevante è ritenuto anche il titolo utilizzato per la lettera, cioè Salviamo quel cane”. Se in primo grado il direttore del periodico viene ritenuto colpevole, i Giudici d’Appello si mostrano meno intransigenti, ritenendo priva di fondamento l’ipotesi della diffamazione a mezzo stampa . Diritto di critica. A fare chiarezza provvede ora la Cassazione, che, analizzando la vicenda, prende atto della portata potenzialmente offensiva della lettera pubblicata sul settimanale col titolo Salviamo quel cane” , lettera in cui il proprietario dell’animale è accusato di maltrattarlo, tenendolo per ore custodito in uno spazio angusto . Subito dopo, però, i magistrati osservano che ci si trova a uno scritto da considerare come espressione del diritto di critica . In particolare, i giudizi sulle condizioni dell’animale, tenuto in un piccolo spazio durante le ore lavorative del padrone, sono stati espressi dalla lettrice esercitando il diritto di critica . Non a caso, è proprio l’autrice della lettera a ritenere che le modalità di custodia del cane fossero tali da tradursi in maltrattamenti . Esemplare un passaggio della missiva, in cui si legge nicchia di circa un metro per un metro al cui interno vive un cane. come può vivere questa bestiola, tra i suoi escrementi, senza nemmeno potersi girare, senza poter mai vedere niente . Ci si trova di fronte, osservano i Giudici, a critiche sulle modalità di custodia del cane espresse da parte di una persona particolarmente sensibile alla cura e alla salute degli animali . E il fatto che realmente il padrone lasciasse per ore il suo cane in uno spazio angusto ha sollecitato una cittadina a criticare pubblicamente le modalità di custodia dell’animale, richiamando l’attenzione sulla vicenda ritenuta lesiva della vita e della salute dello stesso animale . Di conseguenza, corretta è valutata la condotta del direttore del settimanale, che ha dato spazio all’esercizio del diritto di critica, pubblicando la lettera, ritenendola evidentemente di interesse per i suoi lettori . Cade perciò definitivamente l’accusa di diffamazione a mezzo stampa .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 settembre – 13 dicembre 2017, n. 55739 Presidente Vessichelli – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19 novembre 2015, la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto con la formula perché il fatto non costituisce reato IA. Iv. nella qualità di direttore responsabile del settimanale Il Granchio dal delitto di diffamazione a mezzo stampa ex art. 57 cod. pen Nell'imputazione si è contestato allo IA. il fatto di aver pubblicato una lettera anonima nella quale si indicava che nell'immobile ove vive il RI. vi era un cane maltrattato, senza verificare preventivamente la fondatezza della lettera e la sua paternità . 2. Avverso tale pronuncia la parte civile Lu. RI. ha proposto ricorso per cassazione per il tramite del proprio difensore munito di procura speciale. 2.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 51 cod. pen. e 21 Cost. Sostiene il ricorrente che la penale responsabilità dell'imputato deriverebbe dall'omesso accertamento da parte del direttore del settimanale della veridicità della notizia riferita da uno sconosciuto lettore. La Corte territoriale avrebbe ritenuto erroneamente sussistente l'esimente del diritto di cronaca in quanto non solo la notizia riportata, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, non corrisponde al vero, ma anche perché, se è vero che essa proveniva da soggetto identificabile, e dunque non anonimo, è altrettanto vero che trattandosi di soggetto del tutto sconosciuto gravava pur sempre sul direttore del settimanale l'onere di accertare l'attendibilità della fonte e la veridicità di quanto narrato. 2.2. Con il secondo motivo si denunzia vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta veridicità della notizia pubblicata. Secondo le argomentazioni della Corte territoriale la mera circostanza della effettiva, seppur momentanea, presenza dell'animale nel sito indicato nella missiva sarebbe di per sé idonea a fondare la veridicità della notizia. Al contrario, il contenuto essenziale della stessa notizia non riguarderebbe il luogo in cui l'animale è collocato, bensì le condizioni di maltrattamento denunciate. Sarebbe tale circostanza, infatti, ad assumere portata propriamente diffamatoria ed è rispetto ad essa, quindi, che il direttore del settimanale avrebbe dovuto accertare, prima della pubblicazione, la veridicità necessaria per l'applicazione dell'esimente del diritto di cronaca. La Corte di Appello, invece, nulla avrebbe detto in proposito. La sentenza impugnata, infine, risulterebbe meritevole di censura per l'evidente contraddittorietà della motivazione laddove, in due passaggi diversi, si legge che la notizia pubblicata non si presenta come gratuitamente denigratoria dell'onore e della reputazione del Ri. e che nonostante la indubbia valenza offensiva della missiva alla reputazione della parte civile, l'operato del direttore Ia. risulta immune da censure . Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato, sebbene debbano essere fatte alcune precisazioni che emendano alcuni profili della motivazione della Corte territoriale. 2. Preliminarmente va evidenziato che, in materia di diffamazione questa Corte può conoscere e valutare l'offensività delle frasi che si assumono lesive dell'altrui reputazione. Ciò in quanto è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie Sez. V, n. 48698 del 19 settembre 2014, P.G., P.C. in proc. De., Rv. 261284 Sez. V, n. 41869 del 14 febbraio 2013, Fabrizio e altro, Rv. 256706 Sez. V, n. 832 del 21 giugno 2005, Travaglio, Rv. 233749 . Nel caso in esame è pacifica la portata potenzialmente offensiva della lettera pubblicata sul settimanale diretto dallo IA., con il titolo Salviamo quel cane , nella quale il proprietario dell'animale il RI. è accusato di maltrattarlo, tenendolo per ore custodito in uno spazio angusto. Nel capo di imputazione la lettera viene indicata come anonima, ma la Corte territoriale ha precisato che la sua provenienza fosse agevolmente accertabile, essendo stata sottoscritta da Amalia A. ed inviata a mezzo di un indirizzo di posta elettronica, intestato ad un soggetto di nome An. Am 3. Il corretto inquadramento della vicenda oggetto di ricorso impone di precisare che, in tema di fattispecie criminosa di cui all'art. 57 cod. pen., il controllo sul contenuto del giornale unitariamente considerato compete in via esclusiva al direttore responsabile, non sussistendo la possibilità della delega ad altri soggetti del potere-dovere di procedere a quell'attività di controllo e di verifica volta ad impedire che, con la pubblicazione, vengano commessi reati al contrario fa capo alla posizione di garanzia esclusiva del direttore responsabile. Detta responsabilità, a titolo di colpa per l'omesso controllo sul contenuto del periodico in riferimento al fatto diffamatorio, può escludersi solo ove si dimostri che il direttore responsabile ha fatto quanto in suo potere per prevenire la diffusione di notizie non rispondenti al vero, prescrivendo e imponendo regole e controlli, anche mediati, di accuratezza, di assoluta fedeltà e di imparzialità rispetto alla fonte-notizia Sez. V, sentenza n. 7407 del 11 novembre 2009, Bianchi ed altri, Rv. 246093 . È di immediata comprensione, infatti, la ragione nella previsione normativa della necessità ed indispensabilità di un'accurata attività di controllo da parte del direttore responsabile di un periodico, in specie ove si tratti di notizia proveniente da fonte rimasta anonima o comunque da persona sconosciuta. Se così non fosse, infatti, si finirebbe evidentemente per consentire un'inaccettabile uso strumentale dello stesso periodico. In assenza di qualsivoglia controllo chiunque potrebbe, per il suo tramite, diffondere ogni sorta di messaggio e di notizia, veritiera oppure no, diffamatoria o meno, con l'assurda conseguenza speculare che chiunque potrebbe diventare vittima del reato di diffamazione a mezzo stampa, fattispecie criminosa che, per le modalità di realizzazione, si rivela particolarmente lesiva per la persona offesa, senza la possibilità di individuare un soggetto responsabile. In tal senso, la responsabilità a titolo di colpa del direttore per l'omesso controllo sul contenuto del periodico in riferimento al fatto diffamatorio a mezzo stampa può dirsi esclusa solo ove si dimostri che il predetto, titolare di una posizione di garanzia, ha fatto quanto in suo potere per prevenire la diffusione di notizie non rispondenti al vero, prescrivendo e imponendo regole e controlli, anche mediati, di accuratezza, di assoluta fedeltà e di imparzialità rispetto alla fonte-notizia Sez. 1, n. 48119 del 15 ottobre 2009, Ci. Sa. e altro, Rv. 245668 4. Infondate nel caso in esame risultano le doglianze del ricorrente in ordine all'erronea applicazione dell'esimente di cui all'art. 51 cod. pen., non nella fattispecie dell'esercizio del diritto di cronaca come sostenuto dai giudici di merito , bensì in quella dell'esercizio del diritto di critica. 4.1. Va qui ricordato che costituisce consolidato orientamento di questa Corte l'affermazione di principio secondo cui l'esercizio del diritto di cronaca ha efficacia scriminante in riguardo al fatto diffamatorio a condizione che la notizia divulgata, oltre che socialmente rilevante e descritta con continenza espressiva, sia vera, il che implica che sia riportata in modo completo Sez. V, n. 44024 del 4 novembre 2010, P.C. in proc. Bi. e altro, Rv. 249126 . Per quanto di interesse in questa sede, non vi è dubbio che la veridicità della notizia, da cui discende l'operatività dell'esimente in parola, deve riguardare il contenuto essenziale della notizia e non, come nel caso in esame, aspetti marginali di essa. In altre parole, se è vero che, come ha affermato la Corte territoriale la circostanza del resto è stata pacificamente ammessa dallo stesso RI. , il cane trascorresse alcune ore della giornata proprio nello spazio ristretto che si descrive nella lettera inviata al periodico, è altrettanto vero che dalla lettura di quest'ultima si comprende immediatamente che, rispetto alla complessiva condizione di maltrattamento denunciata, lo spazio angusto descritto rappresenti addirittura un aspetto marginale e secondario. Si legge, infatti, che il cane vive in tale spazio ma soprattutto che versa in uno stato di totale abbandono ed incuria. Ne consegue, quindi, che al fine di ritenere operante l'esimente costituita dall'esercizio del diritto di cronaca era quest'ultimo aspetto, ovvero il contenuto più propriamente diffamatorio, a dover risultare veritiero, non assumendo alcuna rilevanza, invece, che siano risultati veri alcuni segmenti della notizia pubblicata. In tal senso, infatti, si è da sempre pronunciata questa Corte precisando che in tema di diffamazione a mezzo stampa, per l'operatività della causa di giustificazione di cui all'art. 51 cod. pen. è necessario che la verità oggettiva dei fatti, intesa come rigorosa corrispondenza alla realtà, sia rispettata per tutti quegli elementi che costituiscono l'essenza e la sostanza dell'intero contenuto informativo della notizia riportata. I dati superflui, insignificanti ovvero irrilevanti, ancorché imprecisi, in quanto non decisivi né determinanti, cioè capaci da soli di immutare, alterare, modificare la verità oggettiva della notizia, non possono essere presi in considerazione, per ritenere valicati i limiti dell'esercizio del diritto di informazione ed escludere l'operatività della causa di giustificazione Sez. V, n. 37463 del 21 settembre 2005, Am., Rv. 232324 conf. Sez. V, n. 28258 del 8 aprile 2009, P.C. in proc. Fr. e altro, Rv. 244200 Sez. V, n. 41099 del 20 luglio 2016, Ca. e altro, Rv. 268149 . In conclusione, se è vero che in tema di diffamazione a mezzo stampa eventuali modeste e marginali inesattezze nella descrizione del fatto relative a sue semplici modalità senza modificarne la struttura essenziale non sono idonee a determinare quel superamento della verità che esclude l'operatività dell'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca, è altrettanto vero che lo stesso non può dirsi laddove la veridicità del narrato - da cui discende il tenore diffamatorio - sia da escludersi in relazione agli elementi essenziali del fatto. 4.2. Va detto tuttavia che il tenore della lettera pubblicata sulla rivista diretta dallo IA. consente di affermare che i giudizi sulle condizioni dell'animale, pacificamente tenuto dal RI. in un piccolo spazio durante le sue ore lavorative, sono stati espressi dall'autrice della stessa lettera esercitando il diritto di critica. Invero è l'autrice a ritenere che le modalità di custodia del cane fossero tali da tradursi in maltrattamenti. Si riporta una parte del testo della lettera .nicchia di circa un metro per un metro al cui interno vive un cane. Ebbene considerato come può vivere questa povera bestiola, tra i suoi escrementi, senza nemmeno potersi girare, senza poter vedere mai niente . Si tratta indubbiamente di giudizi ovvero di critiche sulle modalità di custodia del cane, espresse da parte di una persona particolarmente sensibile alla cura e alla salute degli animali. Insomma, il fatto certamente vero che il RI. lasciasse per ore il suo cane in uno spazio angusto ha sollecitato l'autrice della lettera a criticare pubblicamente le modalità di custodia dell'animale, richiamando l'attenzione sulla vicenda ritenuta lesiva della vita e della salute dello stesso animale. E il direttore IA. ha correttamente dato spazio all'esercizio di quel diritto di critica, pubblicando la lettera, evidentemente ritenendola di interesse per i suoi lettori e comunque rispettosa del requisito della continenza, che postula una forma espositiva corretta della critica rivolta - e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione. Tale requisito, d'altronde, non può ritenersi superato per il solo fatto dell'utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo di cui deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato si vedano in tal senso Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016, C, Rv. 26786601 Sez. 5, n. 31669 del 14/04/2015, Ma., Rv. 26444201 si veda in materia di continenza anche Sez. 5, n. 4853 del 18/11/2016, Fava, Rv. 26909301 . Peraltro, va ricordato che, in riferimento all'esercizio del diritto di critica, la verità del fatto assume un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica si vedano in materia, tra le tante, Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, P.C. in proc. Vo., Rv. 27028401 Sez. 5, n. 49570 del 23/09/2014, Na., Rv. 26134001 . 5. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., si impone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.