Se si condanna l’imputato ai lavori socialmente utili, la durata di questi deve essere motivata

Qualora il giudice sospenda il procedimento penale disponendo la messa alla prova dell’imputato e imponendo a questi l’espletamento di lavori di pubblica utilità, deve avere cura di determinare la durata del programma di lavoro, se non stabilita dall’Ufficio di esecuzione penale esterna, o perlomeno di motivare il quantitativo temporale già stabilito.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 55511/17, depositata il 13 dicembre. Il caso. Il Tribunale di Lecce disponeva la sospensione del procedimento penale a carico dell’imputato, ponendolo in stato di messa alla prova e stabilendo che lo stesso dovesse attenersi al programma di lavori di pubblica utilità elaborato a seguito di intesa con l’Ufficio di esecuzione penale esterna UEPE per otto mesi. I difensori dell’imputato impugnavano il provvedimento sostenendo, da un alto, l’assenza di motivazione riguardo la durata del lavoro di pubblica utilità, dall’altro, la particolare tenuità del fatto posto in essere dall’imputato, accusato di detenere quattro tartarughe senza la necessaria documentazione come prevista dall’art. 1 l. n. 150/1992 . Messa alla prova a tempo determinato. Nelle loro considerazioni in diritto gli Ermellini hanno sottolineato come il lavoro di pubblica utilità rappresenti la sanzione tipicamente correlata alla sospensione del procedimento penale con messa alla prova. Proprio per questa sua natura afflittiva, esso deve essere commisurato alla reale gravità del reato e alla colpevolezza del soggetto che lo pone in essere, come emerge dal disposto dell’art. 133 c.p Inoltre, la Cassazione ha evidenziato che il lavoro socialmente utile deve essere delineato con precisione in tutte le sue parti e ciò induce a ritenere che vi sia una lacuna significativa, laddove non siano esplicitati i criteri sulla base dei quali se ne è prevista la durata e l’intensità. In particolare, chiamata a decidere sul ricorso, la Corte ha sancito che, laddove il giudice non disponga il programma di lavori perché esso è già stato disposto dall’UEPE e condiviso dall’imputato, l’obbligo motivazionale sia da ritenersi rispettato anche solo attraverso un richiamo all’adeguatezza del programma. Diverso il caso in cui il giudice apporti delle modifiche integrative al programma laddove si verifichi tale circostanza egli deve dimostrare con adeguata motivazione che la sua decisione è corretta rispetto al caso concreto. Sulla base di quanto espresso, la Corte ha annullato l’ordinanza, disponendo il rinvio al Tribunale di Lecce per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 settembre – 13 dicembre 2017, n. 55511 Presidente Savani – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 17 maggio 2017, il Tribunale di Lecce ha disposto la sospensione del procedimento penale a carico dell’imputato, con messa alla prova, per un periodo di otto mesi, disponendo altresì che lo stesso si attenga al programma elaborato d’intesa con l’Ufficio di esecuzione penale esterna UEPE per un periodo di otto mesi. 2. - Il provvedimento è stato impugnato dai difensori dell’imputato, i quali rilevano, in primo luogo, la mancanza di motivazione in relazione alla determinazione della durata del lavoro di pubblica utilità, da svolgersi presso un Comune, dal lunedì al venerdì, dalle 7.30 alle 9.00. La difesa evidenzia che i fatti oggetto del procedimento penale sono di particolare tenuità, trattandosi della detenzione di quattro tartarughe senza la prescritta documentazione art. 1, comma 1, lettera f , della legge n. 150 del 1992 , e che l’imputato è un soggetto incensurato. In ogni caso, l’obbligo di motivazione incomberebbe sul giudice anche nella determinazione della durata del lavoro di pubblica utilità nell’ambito della messa alla prova. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è fondato. 3.1. - L’art. 464 bis, comma 4, cod. proc. pen. prevede che, alla richiesta formulata dall’imputato di sospensione del procedimento come messa alla prova, è allegato un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, ovvero, nel caso in cui non sia stata possibile l’elaborazione, la richiesta di elaborazione del predetto programma, il quale prevede le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività di volontariato di rilievo sociale. Il successivo art. 464 quater, comma 3, cod. proc. pen., stabilisce che la sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all’art. 133 il codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. Il quadro è completato dall’art. 168 bis, terzo comma, cod. pen., il quale prevede che La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore . Dal complesso di tali disposizioni emerge che la previsione obbligatoria del lavoro di pubblica utilità costituisce il nucleo sanzionatorio del sistema della sospensione con messa alla prova si tratta, cioè, di una sanzione sostitutiva di tipo prescrittivo dotata di una necessaria componente afflittiva. E la connotazione sanzionatoria del lavoro di pubblica utilità induce a rilevare, come una lacuna significativa, la mancata previsione dei criteri cui il giudice deve attenersi nel vaglio di congruità della sua durata complessiva e della sua intensità. Dalle norme sopra richiamate si evincono una durata minima di dieci giorni e una massima che, in mancanza di diverse indicazioni, non può che coincidere con i termini massimi di sospensione del procedimento uno o due anni, a seconda della natura della pena edittale un’intensità massima di otto ore giornaliere, senza indicazione del minimo. Non essendo previsto che la prestazione del lavoro gratuito debba necessariamente coprire l’intero periodo della sospensione - perché non avrebbe senso, altrimenti, la previsione di un limite minimo di dieci giorni - occorre individuare indici di commisurazione sufficientemente certi. Non possono evidentemente trovare applicazione i criteri dettati nei casi in cui il lavoro gratuito è previsto come pena sostitutiva di quella detentiva sia perché la messa alla prova e la prestazione lavorativa che vi è inclusa si applicano anche a reati sanzionati con pena esclusivamente pecuniaria sia perché qui manca, per definizione, una condanna che possa fungere da limite e parametro di ragguaglio v., in tema di art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 Sez. 1, n. 30089 del 26 giugno 2009, Rv. 244812 Sez. 3, n. 40995 del 23 maggio 2013, Rv. 256958 in tema di violazioni del codice della strada Sez. 1, n. 12019 del 1 febbraio 2013, Rv. 255341 . Il criterio più sicuro e dotato di più solidi appigli testuali è, dunque, quello dell’applicazione in via analogica degli indici dettati dall’art. 133 cod. pen. per la commisurazione della pena, con una prospettiva che tenga conto a un tempo della valutazione virtuale della gravità concreta del reato e del quantum di colpevolezza dell’imputato, nonché delle sue necessità di risocializzazione. E, del resto, la necessità di riferirsi, in generale, ai parametri di valutazione di cui all’art. 133 cod. pen. è richiamata anche dalla Corte costituzionale ord. n. 54 del 2017 quale condizione per la compatibilità del sistema della messa alla prova e, nel suo ambito, del lavoro di pubblica utilità con gli artt. 3, 24 e 27 Cost. A queste considerazioni deve aggiungersi che il quadro normativo sopra richiamato non fissa un confine rigido fra il programma di trattamento elaborato dal UEPE di intesa con l’imputato e il provvedimento del giudice con il quale si dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova. Non si prevede, in particolare, se la durata del lavoro di pubblica utilità debba essere fissata dal primo o dal secondo di tali atti, ferma restando -come appena visto - la necessità di un controllo del giudice sulla sua congruità. Evidentemente, un tale controllo non può che comportare oneri motivazionali diversi a seconda che il programma, accettato espressamente dall’imputato, indichi la durata del lavoro di pubblica utilità ovvero non la indichi. Nel primo caso, infatti, la motivazione del successivo provvedimento del giudice potrà limitarsi a un richiamo alla congruità di quanto già previsto di intesa fra l’imputato e l’UEPE nel secondo caso, sarà invece necessaria una motivazione più pregnante. E le considerazioni che precedono valgono per ogni altro aspetto non disciplinato, in tutto o in parte, dal programma di trattamento. Deve essere dunque espresso il seguente principio di diritto Qualora il giudice, nel disporre la sospensione del procedimento penale con messa alla prova, si limiti a recepire il programma di trattamento, l’onere motivazionale su di lui incombente può intendersi soddisfatto anche attraverso un semplice richiamo alla congruità del programma, trattandosi di un elaborato dall’UEPE di intesa con l’imputato e, dunque, conosciuto e condiviso da quest’ultimo. Qualora, invece, il giudice non si limiti a recepire il contenuto del programma ma lo integri ad esempio fissando la durata del lavoro di pubblica utilità, non determinata nel programma , deve fornire una motivazione che non può limitarsi ad un semplice richiamo al programma stesso o, genericamente, ai parametri dell’art. 133 cod. pen., ma deve dare conto delle ragioni delle scelte operate in relazione alle peculiarità del caso concreto . 3.2. - Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui l’imputato ha elaborato il programma di trattamento di intesa con l’UEPE e il programma prevede la necessità dello svolgimento del lavoro di pubblica utilità ma non ne fissa la durata. Di conseguenza risulta insufficiente, perché priva di concreti riferimenti alla fattispecie, la motivazione del provvedimento impugnato, nella parte in cui si limita ad affermare che, sulla scorta dei parametri di cui all’articolo 133 c.p., il programma appare idoneo . E ciò, anche considerate la personalità dell’imputato e la modesta gravità del reato per il quale si procede. 4. - In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Lecce, perché proceda a nuovo esame alla luce dei principi di diritto sopra affermati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Lecce.