Nessun supporto morale alla compagna malata: condannato

La donna, preda di depressione e alcolismo, ha dovuto affrontare anche una patologia oncologica. E il convivente non le ha offerto sostegno, ma l’ha sottoposta a vessazioni fisiche e psichiche.

Lei depressa e preda dell’alcolismo. Lui pensa bene di risolvere quei problemi con modi maneschi. Inevitabile, e legittima, la sua condanna per i maltrattamenti cui ha sottoposto la convivente, che, dal canto proprio, essendo affezionata al compagno, ha atteso parecchio tempo prima di sporgere denuncia Cassazione, sentenza n. 55386/17, sezione sesta penale, depositata il 12 dicembre . Racconto. Linea di pensiero comune per i giudici del Tribunale e per quelli della Corte d’Appello l’uomo va condannato per i delitti di maltrattamenti in famiglia e lesioni aggravate , e la vittima, la sua ex convivente, ha diritto a un ristoro economico, oltre a recuperare una vita normale. Il legale dell’uomo contesta però le decisioni sfavorevoli al suo cliente, e propone ricorso in Cassazione. Obiettivo è mettere in discussione la credibilità dei racconti fatti dalla donna, evidenziandone i problemi di depressione e di alcool . A questo proposito, peraltro, l’avvocato sostiene che sono venuti alla luce episodi in cui l’uomo ha inteso risolvere il problema della dipendenza della compagna da sostanze alcoliche e quello legato al disturbo ossessivo-compulsivo cronico di cui ella soffriva . Sostegno. Ogni obiezione difensiva viene però respinta dai Giudici della Cassazione. A loro parere, innanzitutto, non vi sono dubbi sul fatto che la condizione di vita e lo stato di salute della donna non possono influire sulla attendibilità della sua deposizione . Identica certezza viene mostrata sulla gravità dei comportamenti tenuti dall’uomo. Dalla ricostruzione della vicenda è emerso difatti che l’intera vita della donna era stata segnata dall’atteggiamento offensivo, prevaricatore e violento del compagno, cui non nondimeno ella non aveva mai reagito, in quanto pur sempre legata all’uomo e timorosa di procurargli conseguenze dannose . Non a caso, ella era incline a minimizzare coi familiari il comportamento dell’uomo , osservano i giudici, e solo al dibattimento era riuscita ad esprimere la realtà del rapporto, a distanza di tempo dall’interruzione della convivenza . Per rendere ancora più chiaro il terribile quadro familiare, viene evidenziato, infine, che la donna non aveva trovato nel compagno alcun supporto morale, neppure nel momento in cui si era trovata a fronteggiare anche patologie di tipo oncologico e anzi aveva dovuto sopportare vessazioni fisiche e psichiche . Impossibile perciò mettere in discussione la condanna dell’ex convivente.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 26 ottobre – 12 dicembre 2017, n. 55386 Presidente Ippolito – Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 3/6/2016 la Corte di appello di Bari ha confermato quella in data 14/12/2012 con cui il Tribunale di Foggia ha riconosciuto Ca. Ge. colpevole dei delitti di maltrattamenti in famiglia e di lesioni aggravate in danno della convivente Pa. Lu., condannandolo alla pena di giustizia e al risarcimento del danno in favore della parte civile. 2. Ha presentato ricorso il Ca. tramite il suo difensore. 2.1. Con il primo motivo deduce violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine alla valutazione di attendibilità della persona offesa. Erano state segnalate con i motivi di appello le numerose contraddizioni e divergenze emergenti dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, fra l'altro in merito alla correlazione tra le percosse e i problemi di depressione e di alcool da cui la Pa. era affetta, avendo comunque la predetta affermato in sede di sommarie informazioni di non voler denunciare il Ca., e in merito alla datazione dell'episodio di lesioni, ma la Corte si era limitata a rilevare l'attendibilità della dichiarante senza dar rilievo alle segnalate problematiche di salute della Pa., indebitamente operando una valutazione frazionata delle relative dichiarazioni. 2.2. Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 572 cod. pen. e mancanza di motivazione in relazione ai temi sollevati nell'atto di appello. Era stato dedotto che in base al verbale di sommarie informazioni rese dalla Pa. in data 2 gennaio 2009 non si sarebbe potuto desumere che le condotte violente erano destinate a sottoporre la persona offesa a maltrattamenti, essendo semmai venuti in evidenza episodi nei quali l'uomo aveva inteso risolvere il problema della dipendenza della Pa. da sostanze alcooliche e quello legato al disturbo ossessivo compulsivo cronico di cui soffriva. La Corte aveva del tutto omesso di rispondere in ordine alla configurabilità dei profili oggettivi e soggettivi del delitto di maltrattamenti incorrendo in omessa motivazione. 2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione dell'art. 582 cod. pen. e vizio di motivazione in relazione al tema dedotto nell'atto di appello. Era stato segnalato che non vi erano prove dell'episodio di lesioni, in quanto la persona offesa aveva fornito versioni diverse e incompatibili in ordine alla datazione dello stesso, senza che fosse stata mai modificata la data del 18 novembre 2008. La Corte aveva sul punto omesso qualsivoglia motivazione, limitandosi a ritenere attendibile la persona offesa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo in particolare deduce assenza di motivazione in ordine all'attendibilità della persona offesa in relazione alle osservazioni formulate nell'atto di appello. Va sul punto rilevato che la Corte di appello, pur con motivazione sintetica, ha tuttavia richiamato la motivazione del primo Giudice, osservando che il relativo tema era stato vagliato in modo puntuale e circostanziato, in assenza di emergenze di segno contrario e anzi in presenza di plurimi elementi di conferma, e aggiungendo che erano stati considerati anche la condizione di vita e lo stato di salute della persona offesi, ritenuti non influenti sull'attendibilità della deposizione. Il ricorrente ripropone la tesi dell'inattendibilità della persona offesa, alla luce di plurime contraddizioni e discrepanze nonché in ragione dell'assunzione di bevande alcooliche e delle condizioni di salute. Ma in realtà non considera che le deduzioni difensive avevano trovato idoneo vaglio, attraverso il richiamo della puntuale motivazione del primo Giudice, che le censure difensive erano radicalmente inidonee a confutare. In particolare il Tribunale, con analisi attenta di tutti gli elementi valutabili, aveva osservato che l'intera vita della persona offesa era stata segnata dall'atteggiamento offensivo, prevaricatore e violento del ricorrente, cui nondimeno la donna non aveva mai reagito, in quanto pur sempre legata all'uomo e timorosa di procurargli conseguenze dannose e dunque incline piuttosto a minimizzare con il resto dei familiari, che pur si erano resi conto della drammatica situazione, il comportamento dell'uomo e a non rivelare le pur intuibili cause dei vistosi segni sul volto e agli arti che ogni tanto la donna presentava. In tale quadro il Tribunale aveva rilevato come anche le dichiarazioni rese dalla persona offesa il 2/1/2009 risentissero di quell'intendimento di non arrecare all'ex compagno conseguenze pregiudizievoli e fossero dunque ispirate anche dalla volontà di ridimensionare la portata delle accuse. Per contro, secondo il Tribunale, solo al dibattimento la donna era riuscita ad esprimere, a distanza di tempo dall'interruzione della convivenza, la realtà del rapporto. D'altro canto il Tribunale aveva anche rilevato come non avessero alcuna influenza né le condizioni di salute della donna -pur vittima di uno stato depressivo conseguente sia alle patologie anche gravi di cui soffriva sia al sistematico assoggettamento da parte del ricorrente ad un comportamento violento e prevaricatore né l'uso di sostanze alcooliche, fermo restando che la persona offesa non aveva manifestato né astio né animosità e che le sue dichiarazioni avevano ricevuto plurime conferme sia dalla documentazione medica attestante altre gravi lesioni personali subite sia dalle dichiarazioni di numerosi testi, a cominciare da D’El. Do. e D’El. An Tale analisi risulta pienamente rispondente ai canoni richiesti per la valutazione dell'attendibilità della persona offesa, la quale deve riguardare sia la complessiva credibilità del dichiarante sia l'attendibilità del narrato e in taluni casi può esigere la verifica di riscontri che valgano a suffragarla sul punto Cass. Sez. U. n. 41461 del 19/7/2012, dell'Art. rv. 253214 il Tribunale aveva, a ben guardare, esaminato tutti gli aspetti, dando ragione dei profili di solo apparente ma spiegabile contraddittorietà, a fronte di un essenziale nucleo di verità, inerente alla sostanza del regime di vita instaurato dal ricorrente, confermato da numerosi elementi probatori. Non si era trattato dunque di una valutazione frazionata, ma di una valutazione complessiva dell'attendibilità, che era stata avvalorata da numerose testimonianze. La Corte di appello in tale quadro ha preso atto della adeguatezza e completezza di quella valutazione, che l'appellante non aveva affatto scalfito, deducendo profili che nell'analisi del Tribunale già trovavano compiuta risposta e che inoltre non si confrontavano adeguatamente con le numerose conferme del narrato. In ogni caso la Corte ha osservato anche che le discrasie e imprecisioni dedotte nell'atto di appello inerivano a profili marginali, imputabili a errori percettivi e vuoti mnemonici, giustificati dall'ampiezza temporale degli episodi di vessazione e dalla loro reiterazione. Può dirsi dunque che la Corte, nel richiamare la motivazione del primo Giudice, ha dato modo di comprendere di aver ponderato i motivi di appello e di averli ritenuti in radice inidonei a sovvertire le valutazioni del primo Giudice, dovendosi in tale ottica ribadire il principio per cui è consentita la motivazione per relationem nel caso in cui le censure dell'appellante non contengano elementi di novità rispetto a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata Cass. Sez. 2, n. 30838 del 19/3/2013, Au., rv. 257056 . Va aggiunto che sul punto il motivo di ricorso sostanzialmente consiste nella generica reiterazione delle censure formulate in grado di appello, il che, alla luce di quanto osservato, dà luogo all'inammissibilità del motivo Cass. Sez. 3, n. 35964 del 4/11/2014, dep. nel 2015, B., rv. 264879 . Ciò vale anche con riguardo alla collocazione temporale dell'episodio di lesioni, di cui al capo B , in ordine al quale, secondo quanto ricostruito dal primo Giudice, in assenza di risultanze diverse, la persona offesa ha dichiarato costantemente di aver ricevuto un calcio dal convivente, in conseguenza del quale ella avverti dolore al costato e successivamente, in occasione di un ricovero programmato, fu sottoposta a visita, che portò alla luce le significative lesioni subite dalla donna nell'occorso. E' di tutta evidenza come il nucleo dell'episodio sia rimasto immutato, essendo stato ritenuto irrilevante dal Tribunale il fatto che il ricovero fosse stato in precedenza programmato per altra causa. Altrettanto deve dirsi infine per la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, volta ad esplorare il tema delle condizioni di salute e mentali della persona offesa, dovendosi ritenere che sul punto la valutazione della Corte, che ha ritenuto quell'integrazione non necessaria, sia coerente con l'assenza di lacune correlate alla ricostruzione della vicenda, alla luce sia delle dichiarazioni della persona offesa sia degli altri testi che le hanno in varia guisa confermate. 3. Altrettanto inammissibile è il secondo motivo. In questo caso il richiamo della motivazione della sentenza di primo grado era di per sé sufficiente a dar conto della concreta configurabilità di quel sistema abituale di vessazioni fisiche e psichiche cui il ricorrente aveva sottoposto nel corso degli anni la persona offesa, che non aveva trovato nel compagno alcun vero supporto morale neppure nel momento in cui era si era trovata a fronteggiare anche patologie di tipo oncologico. Il Tribunale sul punto ha dato conto della consapevole e volontaria reiterazione di condotte vessatorie da parte del ricorrente, protrattesi per molti anni e indipendenti dall'eventuale assunzione da parte della persona offesa di sostanze alcooliche, vessazioni tradottesi anche in aggressioni fisiche, produttive di lesioni personali o in tumefazioni al volto, confermate da vari testi escussi. In assenza di puntuali censure sul punto, diverse da quelle di carattere generale, inerenti all'attendibilità della persona offesa, peraltro neanch'esse connotate da specificità, la Corte si è legittimamente limitata a richiamare la sentenza di primo grado, quale espressione di un quadro ricostruttivo ritenuto ineccepibile e non scalfito dalle deduzioni difensive. 4. E' infine inammissibile il terzo motivo. Ancora una volta va rimarcato come l'episodio di lesioni abbia avuto idonea trattazione nella sentenza di primo grado la ricostruzione della vicenda, consistita nel calcio inferto alla vittima e nel successivo accesso in ospedale, ha dato luogo a quell'apparente incoerenza del racconto, che nella sostanza risulta caratterizzato dalla puntuale individuazione della condotta lesiva e delle fasi successive, fino al momento dell'effettiva diagnosi, avvenuta dopo che, in conseguenza degli attriti insorti in relazione alla vendita di un immobile della Pa., il ricorrente si era rifiutato di accogliere la predetta in casa, rimasta ospite di sua sorella fino al ricovero programmato. A fronte di ciò la deduzione difensiva era da ritenersi originariamente aspecifica e immeritevole di puntuale trattazione in grado di appello, al fine di una rivalutazione del tema della concreta configurabilità del reato sub B , dovendosi sul punto reputare non idoneamente censurate le argomentazioni del Tribunale. 5. Di qui la necessità di ribadire l'inammissibilità del ricorso, che priva di rilievo il tempo trascorso dopo la sentenza di primo grado e preclude la verifica della prescrizione Cass. Sez. U. n. 33542 del 27/6/2001, Ca., rv. 219531 , peraltro non ancora maturata alla data della sentenza di appello, in conseguenza del periodo di sospensione intercorso dal 12 maggio al 20 ottobre 2011. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell'inammissibilità, a quello della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.