Comportamento ineccepibile ai domiciliari: non basta per la liberazione condizionale

Respinta la richiesta presentata da un collaboratore di giustizia. Significativo ma non decisivo il rispetto delle prescrizioni. Necessaria, invece, la dimostrazione di un concreto ravvedimento.

Protezione per il collaboratore di giustizia, che ottiene il beneficio della detenzione domiciliare. Successiva è la sua richiesta di vedersi riconosciuta la liberazione condizionale. Ma dai giudici arriva una risposta negativa insufficienti, difatti, la buona condotta tenuta e il rispetto delle prescrizioni impostegli. Tali elementi non bastano per considerare concreto e certo il ravvedimento del condannato Cassazione, sentenza n. 54505/2017, Sezione Prima Penale, depositata il 4 dicembre 2017 . Prescrizioni”. A respingere la domanda presentata dal detenuto è il Tribunale di sorveglianza. Niente liberazione condizionale per lui, che ha commesso reati gravissimi, anche contro la vita e che, pur avendo organizzato in modo regolare la sua esistenza in detenzione domiciliare , non ha offerto elementi certi di un sicuro ravvedimento . Significativo, secondo i Giudici, il fatto che il detenuto non svolgeva attività lavorativa , e irrilevante il richiamo a una imprecisata attività di volontariato . Nessun dubbio, sia chiaro, sulla puntuale osservanza delle prescrizioni , ma questo elemento non è ritenuto sufficiente per la concessione della liberazione condizionale . Ravvedimento. La posizione assunta dal Tribunale di Sorveglianza viene ritenuta legittima e, quindi, condivisa dalla Corte di Cassazione. I Giudici del ‘Palazzaccio’ annotano, innanzitutto, che anche per il soggetto ammesso allo speciale programma di protezione il ravvedimento non può identificarsi tout court con il pentimento o il riconoscimento dei propri errori, ma postula una valutazione globale della condotta del soggetto, in modo da accertare se l’azione rieducativa, complessivamente svolta, abbia prodotto il risultato del compiuto ravvedimento . E in questa ottica sono sicuramente rilevanti, osservano i magistrati, gli elementi richiamati dal Tribunale di sorveglianza, ossia il mancato svolgimento di un lavoro e il presunto svolgimento di una attività di volontariato . In conclusione, il rispetto delle prescrizioni imposte non è sufficiente, osservano i giudici della Cassazione, per ottenere la liberazione condizionale . E, ampliando l’orizzonte, i magistrati tengono anche a fissare un ulteriore paletto non basta aver maturato le condizioni abilitanti all’accesso alla liberazione condizionale per far insorgere, in via automatica, il diritto ad essa , bensì occorre un completamento del percorso trattamentale che conferisca certezza alla ipotesi di ravvedimento .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 settembre – 4 dicembre 2017, n. 54505 Presidente Cortese – Relatore Minchella Rilevato in fatto Con ordinanza in data 04.11.2016 il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava l'istanza di liberazione condizionale avanzata da To. Ma. Ce., collaboratore di giustizia fruente della detenzione domiciliare dall'anno 2011. Rilevava il giudice che il beneficio richiesto richiedeva il concreto ravvedimento del condannato, ma che le condizioni di accesso non potevano che essere lette in armonia con il complessivo sistema dell'esecuzione penale e con il principio della gradualità dell'accesso ai benefici, nel senso che la detenzione domiciliare doveva costituire il banco di prova dell'indagine sul ravvedimento, il quale non poteva consistere in una mera buona condotta. Osservava ancora il Tribunale di Sorveglianza che il condannato aveva commesso reati gravissimi anche contro la vita e che, sebbene avesse sicuramente organizzato in modo regolare la sua esistenza in detenzione domiciliare, non aveva offerto elementi certi di un sicuro ravvedimento, giacché comunque non svolgeva attività lavorativa e non aveva precisato in cosa consistesse una imprecisata attività di volontariato peraltro svolta da tempo breve , per cui residuava soltanto la puntuale osservanza delle prescrizioni. Avverso detto provvedimento propone ricorso l'interessato a mezzo del difensore, deducendo erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione si sostiene che il principio della gradualità dell'accesso ai benefici non implicava che la liberazione condizionale richiedesse una valutazione ulteriore di un presupposto più impegnativo poiché ciò avrebbe aggirato la norma derogatoria di cui all'art. 16 nonies delle Legge n. 82/1991, che ravvisava nella leale collaborazione con la giustizia il presupposto del beneficio più ampio, tanto è vero che venivano richiesti i pareri delle Autorità inquirenti in ogni caso, il giudice stesso aveva sottolineato la regolarità del percorso espiativo, il rispetto delle prescrizioni e l'affidabilità dimostrata, salvo poi ritenere che tutto ciò non fosse sufficiente per valutare il ravvedimento e denotasse soltanto un formale rispetto di obblighi. Il P.G. chiede il rigetto del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso deve essere rigettato. La liberazione condizionale, introdotta nel nostro ordinamento quale strumento utile a contribuire alla gestione degli stabilimenti penitenziari, costituiva l'unica possibilità per il detenuto di ottenere la scarcerazione prima del termine finale della pena tuttavia, dopo l'entrata in vigore dell'ordinamento penitenziario del 1975, la liberazione condizionale si affianca ai nuovi istituti in quanto strumento atto a determinare la prosecuzione della pena in un regime di libertà vigilata che si contrappone comunque alla condizione di detenuto. L'evoluzione giurisprudenziale, dopo avere inteso questo istituto non configurandolo come misura alternativa dal momento che essa muove dal presupposto indefettibile del sicuro ravvedimento del condannato , è poi pervenuta ad una sorta di parificazione alle altre misure alternative, sia pure con la precisazione del non essere essa un semplice modo alternativo di espiazione della pena tendenzialmente volto al reinserimento sociale. Va poi fatta menzione della novità legislativa apportata con l'art. 16 nonies del D.L. n. 8/1991 con detta norma la liberazione condizionale diviene uno dei percorsi più agevolmente accessibili per i collaboratori di giustizia, cui si prospetta, come unico presupposto formale di ammissibilità, l'avvenuta espiazione di una parte della pena un quarto della pena in caso di condanna alla reclusione o dieci anni di pena espiata in caso di condanna all'ergastolo . Tuttavia, nonostante l'agevolazione ora menzionata, la concedibilità del beneficio non si sottrae al criterio della valutazione discrezionale da parte del giudice, che deve riguardare, al di là dell'indefettibile accertamento delle condizioni soggettive di ammissibilità, l'opportunità del trattamento alternativo che, come per ogni altra misura della stessa categoria, deve concernere le premesse meritorie e l'attingibilità concreta del beneficio, in relazione alla personalità del condannato in altri termini, pur se la richiesta provenga da persona ammessa a speciale programma di protezione, la facoltà di ammettere al beneficio detti soggetti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, riguarda soltanto le limitazioni in tema di condizioni di ammissibilità, ma non si estende ai presupposti relativi all'emenda di tali soggetti e alle finalità di conseguire la loro stabile rieducazione. Il ricorrente ha opposto una censura di presunta illogicità del giudizio negativo espresso, rispetto al riconoscimento di una rilevante collaborazione nei procedimenti penali ed al riconoscimento della collaborazione con l'attività di trattamento ma, così opinando, all'infuori di una generica adesione alle regole espiative, verrebbe a mancare qualsiasi criterio di valutazione e si dovrebbe pervenire all'aberrante conclusione secondo cui, trattandosi di soggetto sottoposto a programma di protezione, la concessione del beneficio verrebbe a risultare obbligatoria, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale da parte del giudice Sez. 1, n. 5753 del 31.01.1997, Co. . Anche per il soggetto ammesso allo speciale programma di protezione, il ravvedimento non può identificarsi tout court con il pentimento o il riconoscimento dei propri errori, ma postula una valutazione globale della condotta del soggetto, in modo da accertare se l'azione rieducativa, complessivamente svolta abbia prodotto il risultato del compiuto ravvedimento del reo è noto che il ravvedimento è un elemento di difficile verifica, essendo esso legato al mondo interiore del soggetto condannato. In genere, si intende per ravvedimento un riscatto morale nel reo, colto da una valutazione globale della personalità del condannato che consideri tutti gli atti o le manifestazioni di condotta, di contenuto materiale e morale, tali da assumere un valore sintomatico. Occorre cioè cogliere un comportamento attivo di pronta e costante adesione alle regole, un riguardoso e consapevole rispetto verso gli operatori penitenziari, una collaborazione spontanea verso il personale del Servizio Centrale di Protezione e verso le attività di investigazione e quelle dibattimentali, con assenza di rifiuti di sottoporsi ad interrogatori ed esami o qualsiasi altra attività di indagine. Così, tra i vari elementi di valutazione del sicuro ravvedimento del reo e del suo riscatto morale vanno presi in considerazione infatti i rapporti con i familiari, il personale carcerario e i compagni di detenzione, nonché lo svolgimento di un'attività lavorativa o di studio. Tutti questi principi sono stati correttamente richiamati dal Tribunale di Sorveglianza, che ha posto in evidenza come non risultava, da parte dell'instante, lo svolgimento di un'attività di lavoro e che parimenti appariva molto generica l'indicazione del breve svolgimento di una imprecisata attività di volontariato pertanto, esclusi questi due elementi, il giudice ha sottolineato che residuava soltanto il rispetto delle prescrizioni imposte, fattore che, di per se stesso, non può essere valutato come sufficiente a costituire il quid pluris richiesto dalla normativa. Di conseguenza, il Tribunale di Sorveglianza lungi dall'aver rinviato sine die la valutazione del ravvedimento prospettato dal richiedente, ha invece fatto applicazione, anche con riguardo alla condizione del collaboratore di giustizia del principio per il quale il giudizio prognostico di ravvedimento deve essere formulato sulla base di un completato percorso trattamentale di rieducazione e recupero che sia in grado di sostenere la previsione, in termini di certezza, di una conformazione al quadro ordinamentale e sociale a suo tempo violato. Nessuna erroneità né manifesta illogicità si annida, dunque, nella chiara motivazione dell'impugnata ordinanza, bensì la corretta valutazione per la quale non basta aver maturato le condizioni abilitanti all'accesso alla liberazione condizionale per far insorgere, in via automatica, il diritto ad essa, ma occorre un completamento del percorso trattamentale che conferisca certezza alla ipotesi di ravvedimento prospettata, certezza che il giudice ha allo stato escluso di poter ravvisare. Il ricorso va dunque rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.