Condannato (troppo) poco malato per non scontare la pena

Per consentire al condannato un differimento dell’esecuzione della pena per gravi condizioni di salute non è sufficiente che l’infermità fisica menomi la salute del soggetto e sia suscettibile di generico miglioramento mediante il ritorno alla libertà.

Così la Cassazione con sentenza n. 54506/17, depositata il 4 dicembre. La vicenda. Il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato l’istanza di differimento dell’esecuzione per grave infermità avanzata dal condannato, ai sensi dell’art. 147 c.p., in relazione alle pena detentiva in atto. I Giudici avevano rilevato che il condannato era un soggetto recidivo e aveva anche commesso l’ultimo reato nel corso della fruizione di un differimento della pena per motivi di salute. Inoltre, secondo il Tribunale, le condizioni di salute del condannato non erano così gravi, nella specie disturbi di personalità, e, al contrario, la pericolosità sociale dell’interessato impediva la concessione del beneficio richiesto. Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione il condannato lamentando che il Giudice non abbia correttamente preso in considerazione le sue condizioni di salute che, invece, erano tali da imporre il differimento dell’esecuzione della pena. Rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità. La Cassazione ha osservato che per la legittimazione del rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica del condannato devono ricorrere due autonomi presupposti. Il primo è costituto dalla gravità oggettiva della malattia, tale da implicare un serio pericolo di vita per il condannato. Il secondo riguarda la possibilità di fruire di cure e trattamenti diversi e più efficaci in stato di libertà rispetto a quelli che possono essere svolti in regime di detenzione. Quindi secondo la Corte l’infermità necessaria per la concessione del beneficio deve essere tale da far apparire l’espiazione della pena detentiva in contrasto con il senso di umanità . Ciò in attuazione del combinato disposto dei principi costituzionali di certezza dell’esecuzione della pena, uguaglianza davanti alla legge, divieto di trattamenti disumani, legalità delle pena e diritto alla salute. Per questo motivo la S.C. ha ritenuto che il Tribunale di Sorveglianza nella valutazione di gravità dell’infermità del condannato abbia fatto corretto utilizzo di questi principi nel ritenere che le condizioni sanitarie dell’interessato non erano tali da legittimare la concessione del beneficio. Infatti il Giudice ha correttamente riscontrato che le patologie denunziate erano suscettibili di adeguate cure anche all’intero dell’ambiente carcerario. Pericolosità sociale. La Corte ha rilevato, inoltre, che il Giudice di merito nella sua decisione ha considerato anche la pericolosità sociale del soggetto interessato del beneficio. La pericolosità del soggetto, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 147 c.p., comporta l’impossibilità di adottare il provvedimento di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena. Infatti la S.C. ha sottolineato che la pericolosità sociale comporta un giudizio prognostico, dovendo consistere nel valutare la probabilità che il soggetto commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reato . Nella fattispecie il condannato era stato precedentemente condannato per altri reati di rapina aggravata e gli erano stati, inoltre, revocati diversi benefici penitenziari per la sua condotta. In ragione di ciò il Tribunale ha correttamente valutato la sua pericolosità sociale, che in ogni caso esclude la concessione del beneficio. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 settembre – 4 dicembre 2017, n. 54506 Presidente Cortese – Relatore Minchella Rilevato in fatto 1. Con ordinanza in data 22.11.2016 il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava l’istanza di differimento dell’esecuzione per grave infermità avanzata da M.G. in relazione alla pena detentiva in atto. Rilevava il giudice che il condannato annoverava venti sentenze di condanna per lo più per rapina aggravata e che l’ultimo delitto commesso un’ulteriore rapina aggravata era stato posto in essere proprio nel corso della fruizione di un differimento della pena per motivi di salute che egli aveva in passato ottenuto più volte benefici penitenziari poi revocati che la sua specifica posizione detentiva e sanitaria era stata più volte esaminata in tempi recenti dal Tribunale di Sorveglianza con esiti negativi il detenuto, affetto da disturbo borderline di personalità con tratti psicotici, era stato ritenuto parzialmente manipolativo e sostanzialmente compatibile con il regime carcerario che egli era stato recentemente allocato in un istituto dotato di centro clinico per i suoi disturbi alimentari, ma non erano emersi i tratti dell’anoressia né disturbi ideativi né propositi autolesionistici che le condizioni generali del predetto erano mediocri, ma non tali da destare timori peculiari, anche perché i tentativi suicidari non erano collegati ad una grave malattia psichica che la grave pericolosità sociale dimostrata, attestata anche da una recente applicazione di una misura di sicurezza detentiva, impediva la concessione del beneficio richiesto. 2. Avverso detto provvedimento propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore, deducendo, ex art. 606, comma 1 lett. b ed e , cod.proc.pen., erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione si sostiene che il giudice non aveva realmente valutato le relazione sanitarie cui aveva fatto riferimento, che denotavano un netto peggioramento delle condizioni di salute del ricorrente iporessia, epatopatia cronica, anemia, ipocolesterolemia da malnutrizione, gastroduodenite, problematiche psichiatriche , né aveva considerato le ridotte capacità intellettive del medesimo o la possibilità di adeguata cura nel sistema penitenziario. 3. Il P.G. chiede il rigetto del ricorso. 4. Con memoria difensiva il difensore del ricorrente ha replicato alla requisitoria del P.G., sottolineando che la protrazione della detenzione sta causando la violazione del divieto costituzionale di trattamenti contrari al senso di umanità, che deve improntare l’esecuzione penale come configurata intorno alla figura del singolo detenuto e ripercorrendo gli esiti delle relazioni sanitarie che attestano una ingravescenza delle condizioni di salute del ricorrente, la cui restrizione si risolve in una sofferenza aggiuntiva. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere rigettato. Per come sintetizzato nella parte che precede, il ricorrente aveva avanzato istanza di differimento dell’esecuzione per gravi ragioni di salute, ex art. 147 cod.pen. l’istanza ha avuto un esito negativo poiché il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto la richiesta articolando la sua decisione su due versanti e cioè sia sul piano della condizione sanitaria del condannato sia su quello della sua pericolosità sociale. Il ricorso censura in modo specifico il primo insieme di argomentazioni, relativo appunto alla condizione sanitaria del detenuto, sostenendo, sia pure implicitamente, la prevalenza assoluta delle condizioni sanitarie del ricorrente, prospettate come così gravi da non consentire adeguate terapie in ambito penitenziario e da comprimere il diritto alla salute costituzionalmente garantito. Ma entrambe le doglianze non possono trovare accoglimento. 2. Questa Corte ha più volte ribadito che, per legittimare il rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, devono ricorrere due autonomi presupposti. Il primo di essi è costituito dalla gravità oggettiva della malattia, implicante un serio pericolo per la vita del condannato o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose gravità da intendersi in modo particolarmente rigoroso, tenuto conto sia del principio di indefettibilità della pena sia del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzioni di condizioni personali principi che implicano appunto, al di fuori di situazioni eccezionali, la necessità di pronta esecuzione delle pene legittimamente inflitte . Il secondo requisito consiste nella possibilità di fruire, in stato di libertà, di cure e trattamenti sostanzialmente diversi e più efficaci rispetto a quelli che possono essere prestati in regime di detenzione, eventualmente anche mediante ricovero in luoghi esterni di cura. In altri termini, non è sufficiente che l’infermità fisica menomi la salute del soggetto e sia suscettibile di generico miglioramento mediante il ritorno alla libertà, ma è necessario invece che l’infermità sia di tale gravità da far apparire l’espiazione della pena detentiva in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma costituzionale. Questo particolare rigore nella valutazione della gravità della infermità deriva dal combinato disposto dei referenti di rango costituzionale cui la norma si richiama essi sono l’esigenza di certezza dell’esecuzione della pena e l’eguaglianza di fronte alla legge art. 3 Cost. , il divieto di trattamenti disumani art. 27 Cost. , il principio di legalità della pena art. 25 Cost. e il diritto alla salute art. 32 Cost. . Ne consegue la necessità di un bilanciamento degli interessi da parte del Giudice. Il Tribunale di Sorveglianza ha fatto buon governo di questi principi senza trascurare le afflizioni del ricorrente, ha evidenziato che le patologie sussistenti supra riportate nel dettaglio non risultavano determinare un pericolo di vita ed apparivano trattate adeguatamente in ambiente penitenziario così, pur considerando che il ricorrente era in condizioni sanitarie mediocri, si è constatata la sua allocazione in un istituto dotato di centro clinico per i suoi disturbi alimentari e l’assenza di tratti dell’anoressia o di disturbi ideativi o di propositi autolesionistici ponendo, anzi, in evidenza, che l’osservazione della personalità e le visite mediche avevano sottolineato che il ricorrente, affetto da disturbo borderline di personalità con tratti psicotici, mostrava connotazioni parzialmente manipolative . Con motivazione corretta e priva di vizi logici, il giudice non ravvisava alcuna patologia insuscettibile di cura nell’ambito della disciplina di cui all’art. 11 Ord.Pen. così respingeva la richiesta di differimento dell’esecuzione, in linea con il consolidato insegnamento di questa Corte, che ha ribadito che la gravità dell’infermità denunziata dal condannato deve essere provata ovvero, nel caso di infermità accertata, deve essere provata la incompatibilità della terapia con lo stato di detenzione Sez. 1, 01.12.1989 n. 2741 e che non può affermarsi la necessità di un differimento dell’esecuzione quando esista in atti una documentazione dalla quale si deduce fondatamente che le patologie denunziate sono suscettibili di cure adeguate pur nell’ambiente carcerario. Quasi inutile poi sottolineare che non assume rilievo un eventuale carattere cronico della patologia, dato che il requisito della guaribilità dell’infermità non è richiesta dalla norma Sez. 1, 25.01.1991 n. 4363 . 3. Ma il giudice sottolineava anche un aspetto ulteriore della vicenda, e cioè il punto relativo alla pericolosità sociale così, è stato sottolineato che pur in costanza di quelle condizioni sanitarie e persino nel corso di fruizione di un differimento dell’esecuzione concesso nel passato il ricorrente annoverava una rilevante serie di condanne, soprattutto per rapine aggravate parimenti si riportava la recente inflizione di una misura di sicurezza detentiva, frutto di una valutazione di attualità della pericolosità sociale ed infine si rimarcava che il ricorrente aveva ottenuto in passato diversi benefici penitenziari poi revocati a causa della sua condotta. Va rammentato che, a norma dell’art. 147, ultimo comma, cod.pen. aggiunto dalla Legge n 40 del 2001 , il provvedimento di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena non può essere adottato allorquando sussiste un concreto pericolo di commissione di reati il Legislatore, in questo caso, ha evidentemente inteso richiamare il concetto di pericolosità sociale già presente nel nostro ordinamento e definito in particolare nell’art. 203 cod.pen. Da ciò deriva che la valutazione della pericolosità sociale comporta un giudizio prognostico, dovendo consistere nel valutare la probabilità che il soggetto commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reato, nonché nel considerare gli elementi indicati nell’art. 133 cod.pen., richiamato a sua volta dall’art. 203 cod.pen. e l’art. 133 cod.pen., fra gli elementi di valutazione, pone anche quello dei precedenti penali e giudiziari del condannato, così richiedendo che il differimento dell’esecuzione di una condanna penale non possa prescindere da un affievolimento della pericolosità sociale, da una presa di distanza dai reati e da una revisione critica della condotta deviante nonché dalla consapevolezza della necessità di rispettare le leggi penali e di conformare, in generale, il proprio agire ai doveri inderogabili sanciti dall’ordinamento. Il giudice ha correttamente motivato sul punto, richiamando tutti i fattori valutativi di una pericolosità sociale che è preclusiva del beneficio richiesto, rispetto ai quali il ricorrente non muove alcuna censura. Ne deriva che il ricorso deve essere rigettato ed al rigetto consegue, ex art. 616 cod.proc.pen., la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.