In caso di prescrizione del reato, se l’imputato è condannato solo al risarcimento del danno non può chiedere la revisione del processo

Ai sensi dell’art. 6 CEDU, per sentenza di condanna deve intendersi ogni provvedimento, con il quale il giudice, al di là del nomen iuris, nella sostanza, infligga una sanzione che abbia comunque natura punitiva e deterrente, e non meramente riparatoria o preventiva. Di conseguenza, non è suscettibile di revisione la sentenza di proscioglimento dell’imputato per estinzione del reato per prescrizione dalla quale consegua la sola conferma delle statuizioni civili, in quanto la condanna al risarcimento del danno, avente natura riparatoria, non può essere considerata sanzione punitiva e, quindi, latamente penale.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 53678/17, depositata il 28 novembre u.s., è stata chiamata a rispondere su un quesito ben specifico, cioè se, in caso di sentenza passata in giudicato con la quale l’imputato sia stato prosciolto per prescrizione del reato ascrittogli, ma condannato al risarcimento dei danni a favore della parte civile costituita, sia o no ammissibile il giudizio di revisione. Il fatto. La Corte d’Appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale palermitano ed appellata dal Procuratore Generale, acclarava la penale responsabilità di tre imputati accusati di circonvenzione di incapace, dichiarando di non doversi procedere per essersi il reato ormai prescritto e, al contempo, condannando i prevenuti al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili. Avverso siffatto provvedimento veniva proposto ricorso per cassazione che, tuttavia, veniva dichiarato inammissibile. Dopo circa un anno dall’intervenuta irrevocabilità della sentenza de qua , i difensori dei soggetti condannati proponevano istanza di revisione della sentenza pronunciata dalla Corte territoriale sicula, deducendo che, a seguito della pronuncia di secondo grado, sarebbero intervenute nuove prove che, unitamente a quelle già acquisite, non avrebbero potuto che condurre al giudizio assolutorio dei tre imputati. Tuttavia, siffatta istanza di revisione veniva dichiarata inammissibile dalla Corte d’Appello di Caltanissetta, sulla scorta del principio di diritto pronunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 2656/17 , a tenore del quale non è suscettibile di revisione la sentenza che dichiari l’estinzione del reato per prescrizione confermando le statuizioni civili della sentenza impugnata . Contro questa sentenza reiettiva il difensore degli istanti propone ricorso per Cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 629 c.p.p. con riferimento ad altro e diverso principio enucleato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 46707/16 , secondo cui è ammissibile l’istanza di revisione della sentenza che dichiari l’estinzione del reato per prescrizione confermando le statuizioni civili della sentenza impugnata . Il concetto di condanna”. I Giudici di Legittimità, con la pronuncia in commento, rappresentano che la questione posta al vaglio è stata oggetto di un contrasto interpretativo all’interno della stessa Corte. Da un lato, difatti, si è formato un indirizzo – maggioritario - del tutto contrario alla tesi dell’ammissibilità della revisione in caso di proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione pur in pendenza delle scure delle statuizioni civili. Al contrario, in posizione isolata, si pone la sentenza 46707/16, che – come sostenuto dalla difesa nel caso di specie, in virtù di una lettura più elastica dell’accezione giuridica del termine condanna” – sostiene l’ammissibilità della revisione anche nel caso in cui l’imputato sia prosciolto solo in ragione della maturata prescrizione ma, al contempo, condannato al risarcimento dei danni. Nell’ipotesi in disamina, tuttavia, gli Ermellini affermano di aderire all’orientamento maggioritario formatosi sul punto non è possibile, infatti, attribuire la qualità ontologica di condanna” al capo della sentenza che statuisce sulla responsabilità civile in ossequio a quanto statuito dalle norme sovranazionali ai sensi dell’articolo 6 CEDU, infatti, per sentenza di condanna deve intendersi ogni provvedimento, con il quale il giudice, al di là del nomen iuris , nella sostanza, infligga una sanzione che abbia comunque natura punitiva e deterrente, e non meramente riparatoria o preventiva. Di conseguenza, non è suscettibile di revisione la sentenza di proscioglimento dell’imputato per estinzione del reato per prescrizione dalla quale consegua la sola conferma delle statuizioni civili, in quanto la condanna al risarcimento del danno, avente natura riparatoria, non può essere considerata sanzione punitiva e, quindi, latamente penale”. Alla stregua di tale ricostruzione, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso con condanna al pagamento delle spese processuali a carico dei ricorrenti.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 25 ottobre – 28 novembre 2017, n. 53678 Presidente Fumu – Relatore Rago Ritenuto in fatto 1. Con atto depositato in data 23 ottobre 2015, i difensori di R.M. , R.A. e P.E. proponevano istanza di revisione della sentenza n. 1795/2014 emessa dalla seconda sezione penale della Corte di Appello di Palermo, in data 14 aprile 2014, e divenuta irrevocabile a seguito della sentenza n. 47419/2014 con la quale questa Corte Suprema di Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dagli imputati. La Corte di Appello, accogliendo l’appello del Procuratore Generale, aveva riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Palermo che aveva assolto tutti gli imputati dal reato di circonvenzione di persone incapaci loro in concorso ascritto e, pur ritenendo accertata la penale responsabilità degli imputati, aveva dichiarato di non doversi procedere nei loro confronti per essere il reato loro ascritto estinto per intervenuta prescrizione e li aveva condannati al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili B.F. e M.V. . La difesa, nel proporre l’istanza di revisione, deduceva che, a seguito della pronuncia di secondo grado, erano state scoperte delle prove nuove che unite a quelle già valutate avrebbero condotto all’assoluzione degli istanti. Con sentenza del 05/04/2016, la Corte di Appello di Caltanissetta dichiarava inammissibile l’istanza di revisione facendo proprio il principio di diritto enunciato da questa Corte di legittimità Cass. 2656/2017 Rv. 269528 secondo il quale non è suscettibile di revisione la sentenza che dichiari l’estinzione del reato per prescrizione confermando le statuizioni civili della sentenza impugnata . 2. Contro la suddetta sentenza, R.M. , R.A. e P.E. , a mezzo del comune difensore, hanno proposto un unico ricorso per cassazione deducendo la violazione dell’art. 629 cod. proc. pen. nella parte in cui non consente, secondo l’interpretazione fatta propria dalla Corte Territoriale, la revisione della sentenza conclusasi con il proscioglimento per prescrizione sebbene ad essa sia conseguita la conferma delle statuizioni a favore delle costituite parti civili. I ricorrenti, hanno invocato, a loro favore, la sentenza n. 46707/2016 rv. 269939 con la quale, questa Corte di legittimità, ponendosi in consapevole contrasto con la maggioritaria e consolidata giurisprudenza di legittimità, ha affermato che è ammissibile l’istanza di revisione della sentenza che dichiara l’estinzione del reato per prescrizione confermando le statuizioni civili della decisione impugnata . Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. La questione che è sottoposta a questa Corte, può essere enunciata nei seguenti termini se, in caso di sentenza passata in giudicato con la quale l’imputato sia stato prosciolto per prescrizione del reato ascrittogli, ma condannato al risarcimento dei danni a favore della parte civile costituita, sia o no ammissibile il giudizio di revisione . Sulla suddetta questione, si è, di recente, formato un contrasto all’interno di questa Corte che può essere riassunto nei termini di seguito indicati. 2. La tesi contraria alla revisione è quella sicuramente maggioritaria ex plurimis, Cass. 4231/1992 Cass. 1672/1992 Cass. 15973/2004 Cass. 2393/2011 Rv. 249781 Cass. 24155/2011 Rv. 250631 Cass. 2656/2017 Rv. 269528. Gli argomenti che vengono addotti sono i seguenti - la revisione è configurata dal codice di rito come un mezzo di impugnazione straordinario preordinato al proscioglimento della persona già condannata in via definitiva presupposto indefettibile per esperire il rimedio straordinario della revisione di cui all’articolo 629 cod. proc. pen. è, per espressa previsione normativa, l’esistenza di una sentenza di condanna o di un decreto penale di condanna ovvero di una sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 cod. proc. pen., e non, quindi, di una sentenza di proscioglimento come, peraltro, si trova scritto nella Relazione al cod. proc. pen. - l’art. 629 cod. proc. pen. prevede la revisione anche se la pena è già eseguita o estinta il che significa che il concetto di pena implica una condanna e il rifermento all’estinzione riguarda appunto la pena inflitta e non già il reato atteso che la dichiarazione di estinzione esclude, ovviamente, ogni pena - la revisione è finalizzata a prosciogliere il soggetto condannato non può, quindi, ritenersi ammissibile rispetto ad una sentenza di proscioglimento, quale quella in forza della quale sia stata dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione art. 531 cit. , sia pure accompagnata da una statuizione di condanna a carico dell’imputato ai soli fini civilistici, ostandovi, valutato il complessivo sistema normativo, il principio di tassatività di cui all’art. 568, primo comma, cod. proc. pen. e non essendo, pertanto, possibile una applicazione in termini analogici alla ipotesi della sola condanna civile. 3. La tesi favorevole alla revisione è sostenuta, invece, sia pure isolatamente, dalla sentenza n. 46707/2016 cit. con la cui motivazione la Corte mostra di condividere l’opinione secondo la quale la revisione sia un mezzo, sia pur straordinario, di impugnazione e che essa sia dunque soggetta al principio di tassatività di cui all’art. 568 comma 1 c.p.p. Ed è altrettanto indiscutibile che, riguardando l’art. 629 c.p.p. soltanto le sentenze di condanna e di patteggiamento, quelle di proscioglimento non siano suscettibili di revisione, come per l’appunto costantemente ribadito da questa Corte . Il dissenso con l’opinione maggioritaria, invece, è relativo al significato da attribuire al sintagma sentenze di condanna art. 629 c.p.p. e al lemma condannato ossia al soggetto legittimato, ex art. 632 cod. proc. pen. a proporre l’istanza e di cui il legislatore non ha fornito una precisa definizione. Secondo la suddetta tesi, infatti, poiché non sarebbe dubitabile che la soccombenza dell’imputato nei confronti della parte civile venga veicolata da una pronunzia di condanna che presuppone l’accertamento della colpevolezza dell’imputato per il fatto di reato, come espressamente stabilito dagli artt. 538 e 539 c.p.p. ne deriverebbe che lo stesso imputato sia condannato alle restituzioni ed al risarcimento del danno. In definitiva, le locuzioni che delimitano soggettivamente ed oggettivamente la sfera di applicabilità del rimedio straordinario di cui si tratta, non possono allora essere arbitrariamente scandite in ragione del tipo di condanna subita dall’imputato, giacché l’essere stato costui convenuto in giudizio tanto sulla base della azione penale quanto in forza della azione civile esercitata nel processo penale, non può che comportare una ontologica identità di diritti processuali, a meno che la legge espressamente non distingua i due profili. Ma di tale distinzione non v’è traccia nel testo dell’art. 629 c.p.p., né può dirsi ricavabile una qualsiasi incompatibilità logica o strutturale della norma a consentire la revisione al condannato solo per gli interessi civili. In definitiva non è necessario ricorrere all’analogia od evocare la potenziale incoerenza costituzionale del dettato normativo di riferimento per ammettere che la condanna per la responsabilità civile pronunziata nel processo penale sia assoggettabile a revisione secondo le regole del rito penale, atteso che tale eventualità già discende dalla stessa lettera della legge processuale . Ulteriore argomento, infine, è tratto dalla sentenza n. 28719/2012 rv 252695 con la quale le Sezioni Unite hanno affermato la legittimazione del prosciolto condannato agli effetti civili ad esperire il ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p., disposizione che parimenti evoca, per l’appunto, la figura del condannato senza precisare oltre. 4. Questa Corte ritiene di aderire alla tesi maggioritaria che, nella fattispecie in esame, nega l’ammissibilità della revisione. Le ragioni formali per le quali non è ammessa la revisione sono state illustrate con la sentenza n. 2656/2017 cit. che questo Collegio condivide e alla quale, quindi, si rinvia. Questa Corte, invece, intende portare la propria attenzione su quello che appare essere il punto nodale intorno al quale ruota tutta la questione e sul quale ha fatto leva la sentenza n. 46707/2016 cit. per sostenere l’ammissibilità della revisione. Si tratta, infatti, di stabilire cosa si debba intendere per sentenza di condanna ex art. 629 cod. proc. pen. e per condannato ossia il soggetto al quale l’art. 632 cod. proc. pen. accorda la legittimazione a chiedere la revisione. Sul punto, è ben noto che questi due concetti hanno assunto - a seguito dell’evoluzione giurisprudenziale della Corte Costituzionale e della Corte EDU un significato ben più ampio di quello strettamente letterale. 5. La giurisprudenza della Corte EDU, fin dagli anni settanta del secolo scorso, con la storica sentenza Engel 8 giugno 1976, Engel contro Paesi Bassi § 82 e, successivamente, con la sentenza Ozteirk c. Germania del 21/02/1984, § 50 ss ed altre elaborò i criteri in base ai quali, una pronuncia, ai sensi dell’art. 6 CEDU, deve ritenersi comunque di natura penale al di là del dato formale con quale sia stata emessa, indicando tre alternativi criteri, ossia la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultima, e la natura e il grado di severità della sanzione . 6. Anche la giurisprudenza costituzionale, nel porsi in chiara ed esplicita linea di continuità con quella Cedu, ha adottato una nozione di sentenza di condanna ben più ampia di quella meramente formale, avendo ritenuto come sentenze di condanne tutte quelle sentenze che, in un modo o nell’altro, arrechino all’imputato significativi pregiudizi, sia di ordine morale che di ordine giuridico Corte Cost. n. 85/2008. Concetti, questi, ribaditi nelle successive sentenze n. 239/2009 e 49/2015 aventi ad oggetto la tormentata vicenda dell’ammissibilità della confisca urbanistica a seguito di una sentenza di proscioglimento per prescrizione. Infatti, il Giudice delle Leggi, in specie nella sentenza n. 49/2015 - nel richiamare i principi enunciati dalla cit. sentenza Engel - ribadì che nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione di un reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilità e che il sintagma sentenza di condanna va inteso, al di là del dato formale, in senso sostanziale e cioè come una pronuncia a seguito della quale sia inflitta all’imputato una sanzione, dovendosi valutare non la forma della pronuncia, ma la sostanza dell’accertamento. 7. Anche la giurisprudenza di questa Corte, nella sua massima espressione, ha recepito il suddetto concetto, come risulta, ad es. dalla sentenza n. 31617/2015 rv. 264434 con la quale le SSUU stabilirono, proprio recependo il concetto di pronuncia avente carattere sostanziale di condanna, che il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240, comma secondo, n. 1 cod. pen., la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato . In motivazione, si legge, a proposito dei criteri Engel, che da un lato, sottolinea infatti la Corte EDU, occorre verificare la natura della violazione, desunta in particolare dal suo ambito applicativo - che deve essere generale, e non limitato agli appartenenti ad un ordinamento particolare, dal momento che in tal caso la violazione assumerebbe caratteristiche di tipo disciplinare - e dagli scopi di tipo punitivo e deterrente, e non meramente riparatorio o preventivo per i quali la sanzione è prevista. Dall’altro lato - ed è questo il criterio sul quale assai spesso ha finito per misurarsi la valutazione dei giudici di Strasburgo occorre aver riguardo alla natura ed alla gravità delle conseguenze che l’ordinamento fa scaturire dalla specifica violazione contestata . 8. Questo breve e notorio excursus, consente, quindi, di affermare che va considerata sentenza di condanna non solo quel provvedimento con il quale sia inflitta una sanzione strettamente penale ma, anche quel provvedimento che, al di là del dato meramente formale con il quale è denominato, nella sostanza, contenga una sanzione latamente penale e cioè una sanzione punitiva e deterrente come ad es. la confisca ma non quando da esso conseguano effetti meramente riparatori o preventivi, proprio perché tali conseguenze, non rientrando nell’ambito delle sanzioni punitive, si pongono al di fuori del perimetro latamente penale. Questa fondamentale precisazione consente, quindi, di affermare che la sentenza di prescrizione, laddove si concluda solo con la conferma delle statuizioni civili che presuppone un accertamento sulla responsabilità penale, va ritenuta, pur sempre, non solo formalmente ma anche sostanzialmente, una sentenza di proscioglimento perché da essa non consegue alcun effetto di natura sanzionatoria o latamente penalistica. Infatti, la condanna al risarcimento del danno a favore della costituita parte civile va ritenuta una semplice conseguenza di natura riparatoria che, quindi, nulla ha a che vedere con gli effetti sanzionatori di natura latamente penalistici. Se, quindi, la sentenza di proscioglimento per prescrizione - nel caso in cui contenga un giudizio sulla colpevolezza dal quale derivino conseguenze ai soli fini civilistici - non può essere considerata una sentenza di condanna, ne consegue che, neppure l’imputato, prosciolto per essere il reato estinto per prescrizione, può essere ritenuto - alla stregua dei criteri sostanzialistici della giurisprudenza Edu e Costituzionale - un condannato che, pertanto, abbia la legittimazione a proporre istanza di revisione. Per completezza, è opportuno precisare che, in ordine al concetto di condannato , di recente, si sono pronunciate le SSUU sentenza n. 13199/2017 rv. 269788 le quali, nell’osservare che la nozione di condannato , di cui all’articolo 625-bis cod. proc. pen., ricomprende anche il soggetto titolare della facoltà di chiedere la revisione della condanna, in quanto il rigetto o la dichiarazione di inammissibilità del ricorso contribuisce alla stabilizzazione del giudicato, hanno affermato il seguente principio di diritto il ricorso straordinario di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen. può essere proposto dal condannato anche per la correzione dell’errore di fatto contenuto nella sentenza con cui la Corte di cassazione dichiara inammissibile o rigetta il ricorso contro la decisione della Corte d’appello che, a sua volta, abbia dichiarato inammissibile ovvero rigettato la richiesta di revisione dello stesso condannato . La suddetta decisione, tuttavia, pur dando atto dell’ampliamento del concetto di condannato , non solo non ha alcuna influenza sulla presente problematica ma, al contrario, conferma la soluzione qui sostenuta. Le suddette SSUU, infatti, pur ritenendo che la nozione di condannato superi il riferimento oggettivo ai soli provvedimenti della Cassazione che determinino, per la prima volta, la formazione del giudicato , hanno chiaramente affermato che, come sottolineato da una attenta dottrina, il richiamo al condannato sta a significare che possono essere impugnate con il ricorso straordinario le decisioni della Corte di cassazione che rendano incontrovertibile l’accertamento del dovere di punire , essendo evidente il collegamento con il giudicato sostanziale il che conferma che il prosciolto per prescrizione, anche se le statuizioni civili nei suoi confronti sono state confermate, non può essere considerato, agli effetti penali - sia pure nell’ampia accezione ritenuta dalla Corte Edu - un condannato . 9. Quanto appena illustrato, rende poco proficuo il tentativo di attribuire la condanna al capo della sentenza che statuisce sulla responsabilità civile e, per questa via, tentare di veicolare l’ammissibilità della revisione a ciò vi osta, innanzitutto, quel compatto ed univoco coacervo normativo evidenziato da questa Corte con la sentenza n. 2656/2017 cit In secondo luogo, in questa sede, è opportuno ribadire che, impropriamente, è invocata, a sostegno della tesi qui non condivisa, la sentenza n. 28719/2012 con la quale le SSUU hanno ritenuto ammissibile, da parte del prosciolto condannato agli effetti civili, il ricorso straordinario ex art. 625 bis cod. proc. Pen Il parallelismo fra il ricorso straordinario ex art. 625 bis cod. proc. pen. e la revisione non è corretto perché i due istituti sono profondamente diversi fra di loro sia nell’oggetto il ricorso straordinario si può proporre solo contro le sentenze di cassazione, nel mentre la revisione ha ad oggetto la sentenza di merito che nella finalità l’uno è limitato esclusivamente alla mera correzione di un errore materiale o di fatto l’altra, invece, è tesa a sovvertire la condanna passata in giudicato al fine di ottenere, all’esito di un nuovo processo, l’assoluzione . Ed è in tale ottica, innanzitutto, che si spiega l’invocata sentenza delle SSUU la cui ratio decidendi è racchiusa nell’affermazione § 4 secondo la quale una preclusione del ricorso per errore di fatto al prosciolto per prescrizione ma condannato agli effetti civili, offrirebbe il destro per avanzare fondati dubbi di legittimità costituzionale - ove il sistema prefigurasse un rimedio per un tipo solo di condanna e lo precludesse per l’altro, per di più a differenza di quanto è previsto al riguardo nel processo civile. Si assisterebbe, infatti, ad una irragionevole disparità di trattamento, giacché mentre, ove l’azione di danno fosse stata esercitata in sede propria, la parte sarebbe ammessa a far valere l’errore di fatto della Corte di cassazione attraverso i rimedi previsti dal codice di procedura civile ndr art. 395/1 n. 4 cpc , lo stesso diritto non sarebbe esercitabile in caso di azione civile esercitata nel processo penale . Le cit. SSUU, quindi, hanno, expressis verbis, inteso colmare, con un’interpretazione costituzionalmente orientata, una lacuna al fine di evitare la disparità di trattamento fra quanto previsto in sede civile e quanto stabilito in sede penale. La suddetta situazione, invece, non è ipotizzabile per l’istituto della revisione che ha, in sede civile, il suo pendant, nella revocazione, sicché, si spiega il motivo per cui il legislatore non ha inteso ammettere la revisione contro sentenze di proscioglimento che - seppure contengano un giudizio di colpevolezza - non arrechino all’imputato alcun pregiudizio di natura sanzionatoria o latamente penalistica. Se così non fosse e si accedesse alla tesi del ricorrente, la revisione istituto di netta ed esclusiva rilevanza penalistica - si trasformerebbe, di fatto, in una surrettizia ed anomala revocazione art. 395 c.p.c. del capo riguardante le statuizioni civili con la paradossale conseguenza che il prosciolto, come nel caso in esame, potrebbe ottenere la revisione del processo per una ipotesi nuove prove non prevista e, quindi, inammissibile in ambito civilistico ove il processo per la responsabilità civile si fosse svolto in quella sede infatti, la revocazione della sentenza civile può essere ammessa, fra l’altro, o per falsità delle prove riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza art. 395/1 n. 2 c.p.c. ed è pacifico che la falsità dev’essere accertata con sentenza passata in giudicato o sulla base di documenti decisivi art. 395/1 n. 3 c.p.c. , ossia solo per fattispecie molto più restrittive di quelle previste per la revisione della sentenza penale. La revisione, quindi, sarebbe strumentalizzata non per conseguire un beneficio di natura penalistica ossia l’eliminazione di una sanzione sia pure latamente penalistica ma un semplice beneficio di natura civilistica. Né varrebbe obiettare che il prosciolto non avrebbe altro modo per rimediare ad una sentenza ingiusta che lo pregiudichi sia pure sotto solo il profilo civilistico, essendo costretto a subire l’insindacabile scelta processuale della persona offesa che, invece di far valere le proprie ragioni in sede civile, preferisca tutelarle nel processo penale costituendosi parte civile. In realtà, a tale obiezione, in astratto fondata, si deve replicare osservando che l’eventuale declaratoria di prescrizione è la conseguenza di una precisa scelta processuale dell’imputato che, pur avendo interesse ad ottenere una sentenza di merito, non ritenga di rinunciare alla prescrizione. Infatti, laddove l’imputato rinunci alla prescrizione, potrebbe conseguire un duplice risultato nel caso di assoluzione per insussistenza del fatto e per non averlo commesso , anche le pretese della parte civile sarebbero respinte in caso di condanna, invece, avrebbe la possibilità, in presenza dei requisiti di legge, di promuovere istanza di revisione e, conseguentemente, travolgere, in caso di accoglimento, anche le statuizioni civili. Il sistema, ha, quindi, una sua intrinseca coerenza nel non consentire la revisione di una sentenza penale a chi sia stato prosciolto per prescrizione del reato e da questa sentenza - che avrebbe potuto evitare rinunciando alla suddetta causa estintiva - non abbia subito alcuna conseguenza di natura sanzionatoria o latamente penalistica, tale non potendosi considerare, per le ragioni esposte, la condanna al risarcimento dei danni a favore della parte civile. 10. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, alla stregua del seguente principio di diritto Ai sensi dell’art. 6 CEDU per sentenza di condanna deve intendersi ogni provvedimento con il quale il giudice, al di là del nomen iuris, nella sostanza, infligga una sanzione che abbia comunque natura punitiva e deterrente, e non meramente riparatoria o preventiva. Di conseguenza, non è suscettibile di revisione la sentenza di proscioglimento dell’imputato per estinzione del reato per prescrizione dalla quale consegua la sola conferma delle statuizioni civili, in quanto la condanna al risarcimento del danno, avente natura riparatoria, non può essere considerata sanzione punitiva e, quindi, latamente penale . P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.