Il ricorso tardivo e a mezzo PEC dell’avvocato è inammissibile in Cassazione

Gli Ermellini si esprimono in relazione ai termini per impugnare le sentenze con cui si applica la pena su richiesta delle parti. Inoltre anche la trasmissione del ricorso a mezzo PEC può comportare inammissibilità.

Sul punto la Cassazione con sentenza n. 53561/17, depositata il 27 novembre. Il caso. Il Tribunale di Ancora applicava, ex art. 444 c.p.p., una pena ridotta al condannato per il reato di guida sotto l’influenza di alcool di cui all’art. 186, comma 2, lett. b e 2- sexies del c.d.s Avverso la sentenza di primo grado ha proposto ricorso diretto per cassazione il condannato deducendo un errore del Giudice di merito nella determinazione della durata della pena, nella specie sospensione delle patente per due anni pari al doppio del massimo previsto in relazione alla violazione contesta. Ricorso tardivo. Preliminarmente la Cassazione ha rilevato che il ricorso è inammissibile per tardività. Infatti, da quanto emerge dalla giurisprudenza di legittimità, la sentenza con cui si applica la pena su richiesta della parti è di natura camerale salvo il caso in cui sia emessa dopo che si è proceduto al dibattimento. Inoltre è principio consolidato che con riferimento ai procedimenti emessi in rito camerale devo trovare applicazione la previsione di cui all’art. 585, comma 1, lett. a , c.p.p. secondo cui il termine per impugnare è pari a quindici giorni. La Corte ha quindi osservato che la natura camerale del provvedimento induce poi a ritenere che analogo principio debba essere applicato nell’ipotesi in cui, ancorché della motivazione delle sentenza non si sia data lettura in udienza, la sentenza sia stata depositata entro il termine indicato sia pure ritualmente dal Giudice in dispositivo letto in udienza alla presenza delle parti, ai sensi dell’art. 544, comma 3, c.p.p. . In quanto la scadenza di detto termine corrisponde al dies a quo delle decorrenza del termine di 15 giorni per impugnare. Nel caso di specie il difensore era presente in udienza e veniva a conoscenza del termine di 30 giorni fissato dal Giudice per il deposito della sentenza. Il ricorso è per questo motivo tardivo in quanto l’avvocato lo aveva trasmesso a mezzo PEC ben oltre il termine di 15 giorni. Uso della PEC in Cassazione. Per completezza la Suprema Corte ha poi aggiunto che il ricorso è anche inammissibile rilevato che non è stato proposto personalmente ma depositato a mezzo PEC dall’avvocato che, peraltro, non ha provveduto ad autenticare la sottoscrizione del ricorrente. Infatti la Corte ha ribadito che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto utilizzando la posta elettronica certificata in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 c.p.c., sono tassative ed inderogabili e nessuna norma prevede la trasmissione mediante uso della PEC . La S.C. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 8 – 27 novembre 2017, n. 53561 Presidente Romis – Relatore Tanga Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza n 88/17 del 30/01/2017, il Tribunale di Ancona applicava ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen. a G.L. la pena di mesi 2 di arresto ed Euro 2.100,00 di ammenda, con la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per anni 2, per il reato di cui all’articolo 186, commi 2, lett. b , e 2-sexies del c.d.s 2. Avverso tale sentenza propone ricorso immediato per cassazione G.L. , personalmente, lamentando in sintesi giusta il disposto di cui all’articolo 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. I violazione di legge in relazione all’articolo 186, comma 2, lett. b , c.d.s. Deduce che la durata della sospensione della patente disposta 2 anni è pari al doppio del massimo previsto in relazione alla violazione contestati, e che comunque il giudice non ha tenuto conto che è stata già scontata la sospensione della patente per sei mesi. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile per tardività. 3.1. Osserva il Collegio, nel procedere alla verifica del rispetto dei termini stabiliti a pena di decadenza per l’impugnazione, ex articolo 585, ultimo comma, cod. proc. pen., che l’orientamento espresso da questa Suprema Corte che è venuto consolidandosi, muovendo dalle indicazioni offerte dalle Sezioni Unite sulla natura della sentenza resa ai sensi dell’articolo 444, comma 2, cod. proc. pen. considera che la sentenza con cui si applica la pena su richiesta delle parti deve ritenersi di natura camerale tranne il caso in cui sia emessa dopo che si è proceduto a dibattimento. Ed invero, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno da tempo chiarito che, a parte il caso in cui all’applicazione della pena si addivenga all’esito del dibattimento, previa valutazione della mancanza di giustificazione del dissenso del pubblico ministero alla richiesta tempestivamente presentata dall’imputato, la sentenza di patteggiamento non può essere assimilata alla sentenza dibattimentale v. Sez. Un., n. 295 del 12/10/1993, dep. 17/01/1994, Rv. 195617 . 3.2. Ciò posto, si osserva -altresì che con riferimento alla individuazione degli specifici termini per l’impugnazione dei provvedimenti emessi in seguito a procedimento camerale, sia che essi abbiano natura di sentenza o di ordinanza o decreto, il prevalente orientamento espresso dalla Corte regolatrice è nel senso di ritenere che deve, in ogni caso, trovare applicazione la previsione di cui all’articolo 585, comma 1, lett. a , cod. proc. pen., di talché il termine per impugnare risulta pari a quindici giorni cfr. Sez. 1, n. 5496 del 03/02/2010, dep. 11/02/2010, Rv. 246125 . 3.3. Orbene, le considerazioni sin qui svolte inducono a ritenere che il termine per l’impugnazione delle sentenze rese ai sensi dell’articolo 444, comma 2, cod. proc. pen. -a parte il caso di sentenza emessa all’esito del dibattimento, qualora il pubblico ministero non abbia ingiustificatamente aderito alla richiesta di applicazione della pena formulata dalla parte, come sopra chiarito sia pari a giorni quindici, ai sensi dell’articolo 585, comma 1, lett. a , cod. proc. pen., atteso che la sentenza di patteggiamento non può essere assimilata alla sentenza dibattimentale cfr. Sez. 4, n. 27578 del 11/05/2017 -dep. 01/06/2017- . 3.4. La considerazione assorbente del predetto rilievo, che muove dalla natura camerale del provvedimento, induce poi a ritenere che analogo principio debba essere applicato nell’ipotesi in cui, ancorché della motivazione della sentenza non si sia data lettura in udienza, la sentenza sia stata depositata entro il termine indicato sia pure irritualmente dal giudice, in dispositivo letto in udienza alla presenza delle parti, ai sensi dell’articolo 544 c.p.p., comma 3, essendo la scadenza di detto termine il dies a quo della decorrenza del termine di 15 giorni per impugnare, sempre che -come nel caso che occupa il deposito della sentenza sia intervenuto entro la data stabilita nel dispositivo cfr. Sez. 4, n. 18081 del 24/03/2015 Ud. -dep. 29/04/2015 Rv. 263595 Sez. 6, n. 46291 del 09/10/2014, Altobelli, Rv. 261523 . Deve rilevarsi che, nella specie, il difensore fiduciario era presente in udienza e, pertanto, a seguito della lettura del dispositivo da parte del giudice, era a conoscenza del termine di trenta giorni fissato da questi per il deposito della sentenza. 3.5. Il ricorso, quindi, è stato tardivamente proposto, ben oltre il termine di quindici giorni decorrenti dal 01/03/2017, secondo i principi sopra enunciati posto che la trasmissione a mezzo PEC posta elettronica certificata dell’avv. Andrea Rosati risulta effettuata il 18/04/2017 mentre il termine indicato dal giudice 30 giorni decorrenti dal 30/01/2017 era spirato il 01/03/2017. 4. Per mera completezza argomentativa deve, inoltre, rilevarsi che il ricorso risulta proposto personalmente ma depositato a mezzo posta elettronica certificata PEC dell’avv. Andrea Rosati -per altro non cassazionista che non ha neppure provveduto ad autenticare la sottoscrizione del ricorrente. 4.1. Va, perciò, anche riaffermato che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto mediante l’uso della posta elettronica certificata PEC , in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’articolo 583 cod. proc. pen., sono tassative ed inderogabili e nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC cfr. Sez. 4, n. 18823 del 30/03/2016 Cc. dep. 05/05/2016 Rv. 266931 . 4.2. Ne consegue l’ulteriore causa di inammissibilità del ricorso. 5. Nondimeno, in realtà, nel caso in esame è stata irrogata una sanzione amministrativa accessoria illegale. Com’è noto l’esigenza di legalità della sanzione imposta dall’articolo 1 L. 24 novembre 1981, n. 689, deve prevalere anche sull’accordo delle parti cfr. Sez. 4, n. 18538 del 10/01/2014, Rustemi, Rv. 259209 e, a maggior ragione, ciò deve avvenire quando il trattamento sanzionatorio non sia frutto di un accordo tra le parti, ma debba essere determinato dal giudice. 5.1. Si rammenta, dunque, che, come statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza applicativa di pena concordata il giudice deve irrogare le sanzioni amministrative accessorie, che dalla pena medesima conseguano di diritto, come nel caso di sospensione della patente, determinando la relativa misura secondo i parametri ai quali rinvia la specifica normativa del codice della strada v. Sez. Un., n. 8488 del 27/05/1998, Bosio, Rv. 210981 . 5.2. Con la sentenza impugnata è stata applicata la pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’articolo 186, comma 2, lett. b , c.d.s. il quale stabilisce che all’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno . Il giudice di merito, ha dunque erroneamente applicato al caso in esame la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida, per un periodo doppio rispetto al massimo edittale. Quanto al rilievo difensivo circa il fatto che l’imputato avrebbe già scontato sei mesi di sospensione della patente di guida, giova riportare il seguente principio affermato dalla Corte regolatrice a Sezioni Unite e poi ripetutamente ribadito dalle Sezioni semplici La differenza di finalità e presupposti tra il provvedimento prefettizio di sospensione provvisoria della patente di guida e la sanzione accessoria della sospensione della patente applicata dal giudice penale, all’esito dell’accertamento di violazione del codice stradale, rende impossibile computare il periodo di sospensione provvisoria nella determinazione della durata della sanzione amministrativa definitivamente applicabile dal giudice. Tuttavia, ciò non comporta che i due periodi di sospensione siano cumulabili, giacché essi sono, invece, complementari. Ed invero, la sospensione provvisoria disposta dal prefetto e quella definitiva disposta dal giudice incidono sull’autore della violazione per il medesimo fatto, per il quale il codice della strada prevede, come sanzione amministrativa accessoria, una sola sospensione della patente di guida per un periodo che va da un minimo a un massimo, anche se l’applicazione, prima di essere definitiva, può essere provvisoria e anche se all’applicazione provvisoria e a quella definitiva procedono distinte autorità. Ne consegue che è il prefetto, organo di esecuzione delle sanzione amministrativa accessoria, a dover provvedere alla detrazione, obbligatoria, del periodo di sospensione eventualmente presofferto, e senza che vi sia bisogno di esplicita dichiarazione al riguardo da parte dell’autorità giudiziaria procedente. Sez. Un. n. 20 del 21/06/2000 Cc. deo. 13/11/2000 Rv. 217020 conf., ex multis Sez. 1, n. 18920 del 26/02/2013 Ud. dep. 30/04/2013 Rv. 256005 Sez. 4, n. 47955 del 27/10/2004 Ud. deo. 10/12/2004 Rv. 230349 . 6. Orbene, mette conto sottolineare che dopo aver enunciato il principio secondo cui la illegalità della pena può essere rilevata in cassazione anche in presenza di un ricorso inammissibile, tranne che nel caso di tardività dell’impugnazione Sez. Un. n. 33040 del 26/02/2015 Cc. dep. 28/07/2015 -Rv. 264207 --le stesse Sezioni Unite hanno poi ulteriormente precisato che l’illegalità della pena, derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, ove non sia rilevabile d’ufficio in sede di legittimità per tardività del ricorso, è deducibile davanti al giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’articolo 666 cod. proc. pen. S.U. n. 47766 del 26/05/2015 Ud. dep. 03/12/2015 Rv. 265108, Butera . Trattasi di principio che, all’evidenza, deve trovare applicazione anche con riferimento a sanzioni amministrative accessorie giova ricordare infatti, in proposito, che ancora le Sezioni Unite ebbero già a suo tempo modo di affermare che l’applicazione di una pena accessoria extra o contra legem da parte del giudice della cognizione può essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell’esecuzione, purché essa sia determinata per legge ovvero determinabile, senza alcuna discrezionalità, nella specie e nella durata, e non derivi da errore valutativo del giudice della cognizione v. Sez. Un., n. 6240 de 27/11/2014, Basile, Rv. 262327 . 6.1. In applicazione dei principi espressi nei punti che precedono, non resta che affermare che l’illegalità della sanzione amministrativa accessoria inflitta nel caso in esame, non rilevabile di ufficio in sede di legittimità in presenza di ricorso inammissibile per tardività, è deducibile davanti al giudice dell’esecuzione, posto che, nella specie, l’errore in cui è incorso il giudice della cognizione è imitato al raddoppio del massimo edittale della sanzione amministrativa accessoria. 7. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché -non ravvisandosi motivi di esclusione cfr. Corte costituzionale sentenza n. 186 del 2000 al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.