Un episodio non fa abitualità

Ai fini della sussistenza della violazione del divieto di associarsi a pregiudicati , è richiesta una ripetitività della condotta che dimostri un preciso modus comportamentale protratto nel tempo con plurimi e stabili contatti o frequentazioni, che non possono essere ridotti ad uno o due episodi.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 53403/17, depositata il 24 novembre. Il caso. La pronuncia in oggetto origina dalla condanna di un imputato alla pena di 6 mesi di arresto per aver violato la misura di prevenzione a cui era sottoposto e cioè la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza senza obbligo di soggiorno, con divieto accessorio di associarsi a pregiudicati . L’imputato ricorre per cassazione dolendosi per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla stessa sussistenza della violazione della misura, in quanto la Corte non aveva accertato la sussistenza di rapporti stabili e continuativi con il pregiudicato in compagnia del quale egli era stato sorpreso. Sussistenza del reato. La prescrizione del divieto di frequentare o associarsi a determinate persone comporta, proprio in virtù del significato letterale di tali espressioni, un’abitualità o serialità nei comportamenti, non potendo un singolo episodio considerarsi sufficiente ad integrare una violazione di tale prescrizione. La stessa norma incriminatrice art. 75 d.lgs. n. 159/2011 riconduce infatti la violazione in esame tra i reati necessariamente abituali che sono in grado di ledere il bene giuridico protetto solo in presenza di un numero minino di condotte ripetute nel tempo. La lesione del bene non è infatti integrata dalla singola inottemperanza al divieto d’incontro, ma dalla frequentazione che si instauri con carattere abituale tra i soggetti, occorrendo dunque una serie di condotte idonee, per l’intrinseca caratteristica oggettiva, a fondare una frequentazione ripetuta non associarsi abitualmente che possa indurre a ritenere realizzata la trasgressione rilevante penalmente . In conclusione, la Corte annulla la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 ottobre – 24 novembre 2017, n. 53403 Presidente Bonito – Relatore Cairo Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Lecce con sentenza in data 18 maggio 2016 confermava la decisione emessa dal Tribunale di Brindisi in data 16/6/2014 con cui I.M. era stato condannato alla pena di mesi sei di arresto per aver violato la misura di prevenzione cui risultava sottoposto. A carico di costui era stata applicata la misura della sorveglianza speciale di P.S. senza obbligo di soggiorno con divieto, tra le prescrizioni accessorie, di associarsi a pregiudicati. Contrariamente, il 3/7/2011 e l’11/9/2011 I. era stato sorpreso in compagnia del pregiudicato M.A. . 2. Ricorre per cassazione I.A. a mezzo del difensore di fiducia e deduce quanto segue. Con il primo motivo lamenta il vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, poiché la Corte territoriale non aveva considerato che la rilevanza penale del fatto era legata al divieto di associarsi abitualmente a pregiudicati. Ciò avrebbe richiesto l’instaurazione, nella specie non sussistente, di rapporti con carattere di stabilità e abitualità tra il singolo sottoposto e i pregiudicati. Con il secondo motivo si lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, concedibili anche per la tenuità del fatto. Con il terzo motivo si duole il ricorrente della eccessiva quantità della pena inflitta e del vizio di motivazione sul punto oltre che della violazione dell’art. 133 cod. pen Osserva in diritto 1. Il primo motivo ha carattere assorbente e deve essere trattato anche per ragioni d’ordine logico in via preliminare. 1.1. La sentenza impugnata fa errata applicazione della norma incriminatrice. La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di spiegare che la prescrizione relativa al divieto di frequentare o associarsi a determinate persone implica, per il significato letterale delle espressioni usate, un’abitualità o serialità di comportamenti, dovendosi, conseguentemente escludere che la sua violazione sia integrata da un fatto episodico unico Sez. 1, Sentenza n. 43858 del 01/10/2013, Valentino, Rv. 257806 Sez. 1, Sentenza n. 46915 del 10/11/2009, Linaris, Rv. 245687 Sez. 1, 31 maggio 1996, Di Rienzo, Rv. 205.177 . Nella stessa logica si è affermato che occorre un comportamento abituale, caratterizzato dalla ripetizione della condotta vietata in motivazione, Sez. 1, Sentenza n. 48686 del 29/09/2015, Mancuso, Rv. 265666 . Il reato di cui all’articolo 75 D. L.vo 6 settembre 2011, n. 159, relativamente alla violazione del divieto in esame, rientra tra i reati necessariamente abituali. Esso determina, cioè, la lesione concreta al bene giuridico solo in presenza di un minimo di condotte, avvinte da un nesso di ripetitività che fondano il carattere dell’abitualità . Il contenuto minimo che permette alla violazione di assumere rilevanza penale non può essere individuato nel mero superamento del singolo episodio di frequentazione. Interpretazione siffatta poggia, all’evidenza, sulla natura abituale del fatto tipico, che incrimina non la pura disobbedienza al divieto, ma la violazione reiterata che integra l’offensività concreta della fattispecie. In realtà la lesione al bene protetto dall’incriminazione discende non dalla singola inottemperanza al divieto d’incontro, ma dall’abituale frequentazione di soggetti pregiudicati. Occorrono, allora, a ben vedere, una serie di condotte idonee, per l’intrinseca caratteristica oggettiva, a fondare una frequentazione ripetuta non associarsi abitualmente . che possa indurre a ritenere realizzata la trasgressione rilevante penalmente, per effetto della lesione concreta del bene protetto. Nonostante in talune decisioni si siano ritenuti sufficienti anche due soli incontri con un soggetto pregiudicato per ravvisare la violazione dell’art. 75 d.lgs. n. 159 del 2011 Sez. 1, Sentenza n. 47109 del 26/11/2009, Caputo, Rv. 245882 il Collegio ritiene di aderire all’orientamento più recente che postula una reiterazione delle condotte Sez. 1, sentenza n. 27049 del 09/05/2017 Ud. dep. 30/05/2017 , Massimino, Rv. 270635 . Ciò perchP l’abitualità che caratterizza il fatto tipico non coincide con una frequentazione occasionale o episodica, ma richiede una ripetitività che dia conto di un modus comportamentale. In tale ottica, pertanto, occorrono plurimi e stabili contatti e frequentazioni con soggetti pregiudicati, contatti che in ogni caso non possono essere ridotti a due. La sentenza impugnata si limita, sul punto, a valorizzare questo dato, senza approfondire il profilo offensivo della condotta da cui, al contrario, non può inferirsi la natura abituale del fatto. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio con formula d’insussistenza. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.