Traffico di influenze illecite e millantato credito: la linea di confine, nei relativi inquadramenti, che fa la differenza

Esistenti o meno i rapporti tra l’agente ed il soggetto pubblico, quando c’è vero ascendente si ha traffico di influenze illecite mentre se il potere è solo ostentato si fa strada la fattispecie di millantato credito.

Di per sé, i reati rappresentano condotte deplorevoli dal punto di vista giuridico oltre che, molto spesso, morale. Ma ammettiamolo quando a macchiarsi di biasimevoli delitti sono coloro che dovrebbero rappresentare i tutori del cittadino”, la sensazione del disgusto per il deprecabile comportamento aumenta esponenzialmente. Ed è in questa jungla di sabbie mobili che conduce la vicenda oggetto di questa pronuncia che, però, ha il pregio di cogliere l’occasione per far chiarezza in ordine ad alcune fattispecie delittuose non di facile accertamento Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 53332/17, depositata il 23 novembre . Il caso. Il ricorrente in Cassazione impugnava la sentenza della Corte territoriale che lo aveva condannato, confermando il giudizio del primo grado, in quanto, in qualità di maresciallo dei carabinieri in servizio presso una stazione dei militari, aveva ottenuto la somma di euro 1.000,00 -rispetto a quella maggiore richiesta di euro 2.600,00 millantando di dover comprare il favore del sostituto Procuratore della Repubblica che aveva in carico il procedimento relativo alla denuncia presentata dalla vittima, procedimento che, altrimenti, secondo la prospettazione del condannato, sarebbe rimasto fermo, con conseguente ulteriore blocco di alcune autovetture che erano state sequestrate e per le quali il denunciante aveva interesse alla restituzione. Nella sentenza impugnata della Corte territoriale si dava atto che, rispetto alla qualificazione giuridica dei fatti -sostanzialmente incontroversi operata dal Giudice di primo grado secondo cui la condotta era sussumibile nella fattispecie ex art. 346 bis c.p., più propriamente la vicenda andava ricondotta alla fattispecie ex art. 346 c.p. Infatti, la Corte d’Appello aveva premesso che il maresciallo-agente aveva riferito al denunciante-vittima di aver parlato con il magistrato inquirente che gli aveva rappresentato che la situazione si sarebbe potuta sbloccare a fronte del pagamento della somma di € 2.600,00 e che, in occasione della consegna di un acconto di € 1.000,00, il magistrato avrebbe dato corso con maggiore solerzia alla denuncia. Prospettava il condannato che, in caso contrario, la stessa sarebbe rimasta ferma. Ciò che rilevava -concludeva la sentenza impugnata in Cassazione ai fini della ritenuta qualificazione giuridica della condotta come delitto di millantato credito, e che costituisce la differenza di tale fattispecie di reato rispetto al delitto di traffico di influenze illecite, non è l'esistenza di un effettivo rapporto tra l’agente ed il soggetto pubblico, ma la rappresentazione esplicita, da parte dell'imputato, della corruttibilità del magistrato inquirente nel caso fatto intendere al denunciante. Millantato credito e corruzione. Ma l'esame delle deduzioni difensive presentate in Cassazione comportava, in primo luogo, la necessaria disamina da parte degli Ermellini degli elementi costitutivi del reato di millantato credito art. 346 c.p. e del delitto di traffico di influenze illecite art. 346 bis c.p. . Tanto al fine di individuare quali siano gli imprescindibili connotati della condotta che orientano verso la sussunzione del fatto nell’una piuttosto che nell'altra fattispecie incriminatrice. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha delineato l'elemento strutturale del delitto ex art. 346, comma 1, c.p., id est millantato credito, ed il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice, individuandoli nel comportamento del soggetto attivo che si concreti in una ostentazione della possibilità di influire su un pubblico ufficiale che venga fatto apparire come persona avvicinabile, vale a dire sensibile a favorire interessi privati in danno degli interessi pubblici di imparzialità, economicità e buon andamento degli uffici cui deve ispirarsi sempre l'azione della pubblica amministrazione. È stato precisato che tale condotta deve indurre a far intendere alla vittima, in questo caso il denunciante, che il millantatore abbia la capacità di esercitare un'influenza sui pubblici poteri tale da rendere i detti principi vani e cedevoli al tornaconto personale. Con la conseguenza, dunque, che alla persona del danneggiato deve apparire evidente la lesione del prestigio della pubblica amministrazione che deve omettere l'atto oppure che deve assumere un determinato comportamento, senza che importi che siano individuati i singoli funzionari od i reali rapporti che il millantatore intrattiene con essi. La giurisprudenza ha anche ricompreso nel detto delitto, l'ipotesi in cui il credito vantato presso il pubblico ufficiale o l'impiegato sia effettivamente sussistente ma venga artificiosamente magnificato ed amplificato dall’agente in modo da far credere al soggetto passivo di essere in grado di influire sulle determinazioni dello stesso e, correlativamente, di poterlo favorire nel conseguimento di preferenze oppure di vantaggi illeciti in cambio di un prezzo per la propria mediazione. Dunque, nel delitto di millantato credito la condotta offensiva ha ad oggetto la vanteria dell’agente di essere nelle condizioni di poter frustrare per personale tornaconto i principi che presiedono all'azione amministrativa a garanzia della collettività amministrata. Non vengono in discussione né rilevano i rapporti reali o presunti tra l’agente ed il pubblico ufficiale perché l'ostentazione di questi rapporti per un tornaconto personale definisce la portata offensiva del delitto in esame, essendo essa stessa idonea ad esporre a pericolo l’interesse tutelato. D'altra parte, non può non ritenersi esagerata la facoltà di intrattenere rapporti, con il pubblico ufficiale, tutte le volte in cui venga riferita la possibilità di determinare l'azione pubblica per il tornaconto personale. Infine, è anche pacifico a livello giurisprudenziale la differenza tra le ipotesi di millantato credito previste nei commi 1 e 2 dell'art. 346 c.p., ciascuna costituente ipotesi autonoma di reato, determinato non in ragione della oggettiva destinazione del denaro o altre utilità dati o promessi all’agente, ma alla prospettazione che l’agente ne fa al danneggiato e che consiste nel prezzo per la propria mediazione presso il pubblico ufficiale. Ai fini della sussistenza delle ipotesi delittuosa prevista dal secondo comma non è necessaria né la generica mediazione né la millanteria atteso che l’agente non pone ad oggetto della propria pattuizione il proprio intervento né richiede un compenso per sé, ma adduce come causa della controprestazione il dover comprare il favore del pubblico ufficiale oppure il doverlo remunerare. A fronte di questa condotta sono possibili due alternative a o il soggetto si appropria delle somme, ed in questo caso rileva il reato ex art. 346, comma 2, c.p. b oppure realmente egli corrompe oppure tenta di corrompere il funzionario, ed in questo caso dovrà rispondere del reato di corruzione. Nell'ipotesi in cui non ci sono elementi che dimostrino quest'ultima ipotesi, residua la prima, senza che assuma rilevanza né l'eventuale assunta mediazione né la millanteria del credito. Millantato credito e traffico di influenze illecite. In conclusione, gli ambiti delle fattispecie di cui all'art. 346 c.p. e 346 bis c.p. possono essere così ricostruiti il traffico di influenze incrimina le condotte nelle quali la relazione tra mediatore e pubblico agente sia esistente nonché è reale il potere di influenza del mediatore sul pubblico funzionario. Il compratore di influenze”, per essere considerato soggetto attivo, deve essere consapevole che il potere di influenza sia esistente e che, quindi, il pericolo per la disfunzione dei pubblici apparati a suo vantaggio sia obiettivo concretamente perseguibile. Invece, il millantato credito incrimina i casi in cui il potere di influenza non ci sia, siano le relazioni esistenti o inesistenti, ma tale potere è ostentato ugualmente dal millantatore per ricevere l'indebito vantaggio da chi, raggirato, è configurato come vittima del reato. Dunque, questa differente ipotesi verrà in rilievo tutte le volte in cui il credito sia fasullo e, pertanto, non esiste la relazione con il pubblico ufficiale né tantomeno l'influenza.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 settembre – 23 novembre 2017, n. 53332 Presidente Paoloni – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Ancona ha confermato la condanna di T.E. alla pena di anni uno di reclusione. Il T., in qualità maresciallo dei Carabinieri in servizio presso la Stazione di Reggio Emilia Principale al quale il M. aveva presentato una denuncia, aveva ottenuto il omissis da M.U. la somma di Euro mille rispetto a quella maggiore richiesta di Euro 2.600 , millantando di dovere comprare il favore del sostituto procuratore della Repubblica che aveva in carico il procedimento relativo alla denuncia, procedimento che, altrimenti, sarebbe rimasto fermo, con conseguente ulteriore fermo delle vetture in sequestro per le quali il denunciante aveva interesse alla restituzione. 2. Nella sentenza impugnata si dà atto che, rispetto alla qualificazione giuridica dei fatti, sostanzialmente incontroversi, operata dal giudice di primo grado, secondo il quale la condotta era sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 346 bis cod. pen., la vicenda andava, più propriamente, ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 346 cod. pen La Corte territoriale ha premesso, in fatto, che il maresciallo T. aveva riferito al M. di avere parlato della denuncia con il magistrato inquirente che gli aveva, altresì, rappresentato che la situazione avrebbe potuto sbloccarsi verso il pagamento della somma di duemilaseicento Euro e che, in occasione della consegna della somma di mille Euro, gli aveva espressamente ribadito che il magistrato avrebbe dato corso, con maggiore solerzia alla denuncia sporta dal M. , che, in caso contrario, sarebbe rimasta ferma. Ciò che rileva, conclude la sentenza impugnata, ai fini della ritenuta qualificazione giuridica della condotta come delitto di millantato credito, e che costituisce la differenza di tale fattispecie rispetto al delitto di traffico di influenze illecite, non è la esistenza di un effettivo rapporto tra l’agente ed il soggetto pubblico ma la rappresentazione esplicita, da parte dell’imputato, della corruttibilità del magistrato inquirente, nel caso fatta intendere al M. . 3. Con i motivi di ricorso, sottoscritti personalmente e di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., il T. denuncia 3.1 il vizio di violazione di legge per la ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 346 cod. pen., poiché la esistenza di una relazione di ufficio tra il maresciallo T. e il magistrato inquirente, che sul punto non era mera una mera vanteria del T. , costituisce il discrimen tra le fattispecie previste dall’art. 346 bis cod. pen. 3.2 la violazione del principio del favor rei, che la diversa qualificazione giuridica del fatto in grado di appello ha comportato 3.3 la contraddittorietà tra dispositivo della sentenza impugnata - nella quale si conferma la sentenza di primo grado - e la motivazione della stessa sentenza nella quale viene operata la disposta modifica della contestazione 3.4 la mancata applicazione delle circostanze di cui all’art. 346 bis, comma 5 e 62, n. 4 cod. pen. in presenza di un lucro di importo decisamente esiguo e di indici della condotta - il rapporto di amicizia con la persona offesa - che connotano il fatto in termini di speciale tenuità 3.5 la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena che, anche tenuto conto della pregressa condanna alla pena di mesi sei di reclusione inflitta al T. con sentenza del Tribunale di Belluno del 25 ottobre 2005, non supera i limiti di cui all’art. 164 cod. pen L’effetto della subita detenzione in carcere e la ritrovata stabilità economica e lavorativa dell’imputato conducono ad una positiva prognosi sulla commissione di ulteriori reati. Considerato in diritto 1. È fondato il primo motivo di ricorso con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, da sussumere nella fattispecie di traffico di influenze illecite aggravato, ai sensi degli artt. 346 bis cod. pen Sono infondati, per aspetti anche manifesti, gli ulteriori motivi di ricorso. 2. L’esame delle deduzioni difensive comporta, in primo luogo, la disamina degli elementi costitutivi del reato di millantato credito e del delitto di traffico di influenze illecite, figura di reato introdotta dopo la commissione del fatto ascritto al T. , onde individuare quali siano gli imprescindibili connotati della condotta che orientano verso la sussunzione del fatto nell’una piuttosto che nell’altra fattispecie incriminatrice. 3.La giurisprudenza di legittimità ha delineato con nettezza, fin dai più risalenti arresti sul punto, l’elemento strutturale del delitto di cui all’art. 346, comma 1, cod. pen. e il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice, individuandoli nel comportamento del soggetto attivo che si concreti in una vanteria, cioè in un’ostentazione della possibilità di influire sul pubblico ufficiale che venga fatto apparire come persona avvicinabile, cioè sensibile a favorire interessi privati in danno degli interessi pubblici di imparzialità, di economicità e di buon andamento degli uffici, cui deve ispirarsi l’azione della pubblica amministrazione. Tale condotta, si è precisato, deve indurre a far intendere alla vittima che il millantatore abbia la capacità di esercitare un’influenza sui pubblici poteri tale da rendere i detti principi vani e cedevoli al tornaconto personale, con la conseguenza che alla persona del danneggiato vera parte offesa, che la norma intende proteggere deve apparire evidente la lesione del prestigio della pubblica amministrazione che deve emettere l’atto o tenere un dato comportamento, senza che importi che siano individuati i singoli funzionari e i reali rapporti che il millantatore intrattiene con essi Sez.6, 2645 del 27/01/2000, Agrusti, Rv. 215651 . 4. L’accezione della condotta del millantare - che evoca immediatamente all’interprete il fingere, per vanteria, cose non vere - era stata estesa dalla giurisprudenza, rendendo configurabile il delitto di cui all’art. 346 cod. pen., anche all’ipotesi in cui il credito vantato presso il pubblico ufficiale o impiegato sia effettivamente sussistente, ma venga artificiosamente magnificato e amplificato dall’agente in modo da far credere al soggetto passivo di essere in grado di influire sulle determinazioni di un pubblico funzionario e correlativamente di poterlo favorire nel conseguimento di preferenze e di vantaggi illeciti in cambio di un prezzo per la propria mediazione Sez. 6, n. 11317 del 18/05/1989, Canz, Rv. 181968 . Si osservava che, nel delitto di millantato credito, la condotta offensiva ha ad oggetto la vanteria dell’agente di essere nelle condizioni di poter frustrare per personale tornaconto i principi che presiedono all’azione amministrativa a garanzia della collettività amministrata. Non vengono in discussione né rilevano i rapporti reali o presunti tra l’agente ed il pubblico ufficiale, poiché l’ostentazione di tali rapporti per tornaconto personale definisce la portata offensiva del delitto in esame, essendo essa stessa idonea ad esporre a pericolo l’interesse tutelato. D’altra parte, non può non ritenersi amplificata ovvero esagerata la facoltà di intrattenere rapporti, con il pubblico ufficiale tutte le volte in cui essa venga riferita alla possibilità di determinare l’azione pubblica per il tornaconto personale Sez. 6, n. 5071 del 04/02/1991, Manuguerra, Rv. 187561 . 5.Pacifico, fin dalla più risalente giurisprudenza, era anche il tratto differenziale delle ipotesi di millantato credito previste nei commi 1 e 2 dell’art. 346 cod. pen., ciascuna costituente ipotesi autonoma di reato, determinato non in ragione alla oggettiva destinazione del denaro o altra utilità data o promessa all’agente, ma alla prospettazione che l’agente ne fa al danneggiato e che consiste nel prezzo per la propria mediazione presso il pubblico ufficiale art. 346, primo comma cod. pen. ovvero nel costo della corruzione art. 346, secondo comma, cod. pen. Sez. 6, n. 17923 del 19/03/2001, dep. 2003, Lamanda, Rv. 224514 . Ai fini della sussistenza dell’ipotesi delittuosa prevista dal secondo comma dell’art. 346 cod. pen., si aggiungeva, non è necessaria né la millanteria né una generica mediazione. L’agente infatti non pone ad oggetto della propria pattuizione il proprio intervento, né richiede un compenso per sé, ma adduce come causa della controprestazione il dover comprare il favore del pubblico ufficiale ovvero il doverlo remunerare . A fronte di tale condotta sono possibili due sole alternative o il soggetto si appropria delle somme, ed in questo caso deve rispondere del reato di cui all’art. 346 comma 2 cod. pen., o veramente corrompe o tenta di corrompere il funzionario, ed in questo caso dovrà rispondere del reato di corruzione. Quando non vi siano elementi che dimostrino quest’ultima ipotesi, residua la prima, senza che assuma rilevanza né la millanteria del credito né l’eventuale assunta mediazione Sez. 6, n. 4915 del 02/04/1997 - dep. 27/05/1997, Moschetti F, Rv. 208140 . 6.Come noto la legge 190 del 16 novembre 2012 ha introdotto - in adempimento alle indicazioni provenienti dalle Convenzioni Internazionali in materia di corruzione ratificate dall’Italia - la nuova fattispecie di cui all’art. 346 bis cod. pen. che, fuori dei casi di concorso nei reati di corruzione di cui agli artt. 319 e 319 bis cod. pen., punisce la condotta di colui che, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio. A differenza del millantato credito, inoltre, viene punito anche il soggetto privato che dà o promette il denaro o il vantaggio patrimoniale, sia per il fine della prima parte che per quello della seconda art. 346 bis, comma 2, cod. pen. . Il privato - si è osservato in dottrina - cessa, così, di essere il malcapitato compratore di fumo , beffato nel millantato credito, eventualmente da tutelare sotto il profilo dell’interesse patrimoniale leso, e diviene punibile per il pactum sceleris contratto quale controparte dell’accordo inteso a sfruttare le relazioni del mediatore, che devono dunque esistere in concreto. Dalla figura delittuosa in esame è stata espunta ogni nota di frode od inganno, polarizzando la fattispecie incriminatrice sul disvalore del mercanteggiamento dell’ingerenza nell’attività della pubblica amministrazione con lo scopo di colpire il fenomeno di intermediazione illecita tra il privato e il pubblico funzionario, finalizzato alla corruzione di quest’ultimo. Scomparsa ogni assonanza del delitto in esame con quello di truffa - assonanza che ancora connota il delitto di cui all’art. 346 cod. pen.-, l’art. 346 bis cod. pen. mira a colpire la lesione o messa in pericolo dell’immagine e dell’interesse alla trasparenza della pubblica amministrazione cui fa da sfondo la probità dei suoi funzionari. 7.Le indicazioni ricavabili dal complesso degli obblighi internazionali cui si è voluto corrispondere attraverso la incriminazione della condotta di traffico di influenze la enunciazione del presupposto negativo del fatto tipico fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli artt. 319 e 319 ter la incriminazione anche del soggetto privato che dà o promette denaro, rendono evidente la finalità della norma incriminatrice, intesa a sanzionare un comportamento propedeutico alla commissione di una eventuale corruzione, ratio vieppiù palese ove si rifletta che la figura del trading in influence, nota nel contesto internazionale, secondo la giurisprudenza di legittimità, si poneva al di fuori della tipicità delle norme incriminatrici della corruzione contemplate dall’ordinamento, presupponendo, questa, un nesso tra il pubblico ufficiale e l’atto d’ufficio oggetto del mercimonio e non potendo essere dilatata fino al punto da comprendervi, con una operazione analogica non consentita in materia penale anche la mera venalità della carica Sez. 6, n. 33345 del 04/05/2006, Battistella Sez. 6, n. 5781 del 06/11/2006, Simonetti e altri Sez. 6, n. 8043 del 12/05/1983, Amitrano, non massimate sul punto . Con la introduzione della fattispecie si intende, così, intralciare, mediante una tecnica di tipizzazione anticipata, la realizzazione di condotte concretamente pericolose per i valori del buon andamento e dell’imparzialità dei funzionari della pubblica amministrazione, colpendo uno dei momenti anteriori a quelli dell’adozione, a vantaggio dell’istigatore iniziale, di un atto contrario ai doveri di ufficio o l’omissione/ritardo di un atto di ufficio e, cioè, la sollecitazione o offerta di denaro o altro vantaggio patrimoniale - cioè di benefici economicamente quantificabili - in vista dello sfruttamento di relazioni esistenti con il pubblico agente, momento che normalmente costituisce il primo stadio di una trattativa illecita, rispetto alla quale rimangono irrilevanti sia l’effettivo esercizio dell’influenza sia, a fortiori, il raggiungimento dell’esito voluto dall’istigatore iniziale. 5. Sotto altro aspetto, la collocazione della norma, che segue quella del millantato credito la prospettazione, da parte dell’agente intermediario, della necessità di esercitare opera di mediazione verso il soggetto pubblico rispetto alle attese e richieste del privato e la stessa scansione della fattispecie incriminatrice, avvicinano la figura delittuosa in esame al reato di millantato credito e pongono la questione della individuazione degli elementi di diversificazione tra le due fattispecie e che, nel caso in esame, alla stregua del diverso inquadramento contenuto nella sentenza di primo grado e in quella di appello, è dato dalla esistenza delle relazioni con il pubblico funzionario o incaricato di pubblico servizio destinatario della mediazione, esistenza della relazione che costituisce il presupposto della mediazione e l’oggetto dello sfruttamento e che è stata valorizzata nella sentenza di primo grado come elemento di rilievo per la sussunzione del fatto nella fattispecie di cui all’art. 346 bis cod. pen. e posta a fondamento della mediazione da parte del ricorrente ovvero nella prospettazione della corruttibilità del destinatario della mediazione, rivelatasi del tutto infondata, valorizzata nella sentenza impugnata ai fini dell’inquadramento del fatto nella fattispecie di cui all’art. 346 cod. pen 6. Rileva il Collegio, che la norma incriminatrice di cui all’art. 346 bis cod. pen., non precisa se il reato sia configurabile anche nel caso in cui la stessa sia effettivamente esercitata nei confronti del soggetto pubblico - in mancanza della promessa o corresponsione alcunché, ricadendosi, altrimenti nella ipotesi della istigazione alla corruzione, in caso di mancata accettazione, ovvero di corruzione, nel caso di accettazione - o debba, invece, restare unicamente a livello di prospettazione, senza che l’intermediario abbia effettivamente ad agire, scelta ermeneutica, quest’ultima, che accentua la funzione della fattispecie in esame di tutela anticipata all’imparzialità della pubblica amministrazione, punendo chi offre e chi acquista una mediazione illecita nei confronti di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio - e, dunque, ne fa commercio - a prescindere che tale mediazione possa diventare episodio corruttivo. Né la norma di cui all’art. 346 bis cod. pen. chiarisce il grado di relazione con il soggetto pubblico, necessario affinché l’esistenza possa ritenersi realizzata al di là dell’indistinto richiamo alla esistenza, l’aggettivazione sfugge ad una più precisa descrizione, circa l’intensità e la durata, ed è idonea a ricomprendere sia rapporti occasionali e sporadici, sia rapporti stabili e duraturi. È, però, indubbio che la esistenza della relazione con il soggetto pubblico costituisce il sostrato dello sfruttamento della influenza che l’agente è in grado di esercitare per soddisfare le esigenze di un soggetto che è ben consapevole di dovere comprare i favori del pubblico ufficiale, e che per questa ragione viene punito, sicché è necessario che, nel reato in esame, lo sfruttamento delle relazioni esistenti si leghi in modo inscindibile con la dazione o la promessa del denaro o altro vantaggio patrimoniale, nel senso che lo sfruttamento costituisce la ragione per cui avviene tale dazione o tale promessa atteggiandosi l’uno come risorsa e l’altra come vantaggio. In altre parole, la dazione o la promessa costituiscono il corrispettivo dello sfruttamento di relazioni esistenti e tale sfruttamento in favore del compratore di influenze deve costituire la causa o quanto meno il motivo determinante dell’accordo con l’intermediario. Può, dunque, pervenirsi ad una prima conclusione secondo la quale l’esistenza delle relazioni tra intermediario e soggetto pubblico, che nell’ottica del patto dovranno essere sfruttate, è il presupposto del reato. 8. Ma la realtà della relazione non è da sola sufficiente a connotare la sussistenza del reato poiché, come accennato, la vera causa del negozio illecito tra il mediatore e il soggetto privato interessato è costituita dallo sfruttamento della esistente relazione per determinare, o perlomeno, orientare il comportamento del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. Indubbiamente un peso specifico, in termini di capacità di influenza, possiedono alcune relazioni - si pensi alle relazioni di parentela, sentimentali, amicali, di subordinazione o di rapporto lavorativo, presenti al momento del reato rispetto ad altre, saltuarie, incostanti o desuete, ma pure esse reali, al pari di quelle di chi, occasionalmente e senza alcuna confidenza, incontra il pubblico agente, situazioni, soprattutto queste ultime, che presentano connotati di affinità con le ipotesi di millantato credito esaminate nella giurisprudenza fino all’entrata in vigore della legge 190/2012 nelle quali l’autore del reato aveva un rapporto reale con il pubblico ufficiale e, amplificando artatamente il proprio credito verso di lui, abbia indotto il soggetto passivo a credere di poter ottenere il favore e a riconoscergli il prezzo della mediazione o del corrispettivo dovuto al pubblico ufficiale o incaricato del pubblico servizio per comprarne il favore o remunerarlo. 9. Ne consegue che i rispettivi ambiti delle fattispecie di cui all’art. 346 cod. pen. e 346 bis cod. pen. possono essere così ricostruiti il traffico di influenze incrimina le condotte nelle quali le relazioni tra mediatore e pubblico agente siano esistenti e reale sia il potere di influenza del mediatore sul pubblico funzionario. Invece il millantato credito incrimina i casi in cui il potere di influenza non ci sia, siano le relazioni esistenti o inesistenti, ma tale potere è ostentato ugualmente dal millantatore, al fine di ricevere un indebito vantaggio da chi, raggirato, è configurato come vittima del reato. Il compratore di influenze, per essere considerato soggetto attivo, deve essere consapevole che il potere di influenza sia esistente e che quindi il pericolo per la disfunzione dei pubblici apparati a suo vantaggio sia obiettivo concretamente perseguibile. Viceversa, la fattispecie di millantato credito verrà in rilievo in tutte le ipotesi in cui il credito sia fasullo e posticcio e, pertanto, non esista né la relazione con il pubblico ufficiale, tanto meno l’influenza. 10.0rbene, passando al caso in esame, rileva il Collegio che è indiscussa la esistenza di una relazione tra il T. ed il magistrato inquirente incaricato della trattazione del procedimento, in ragione del ruolo dell’autore della condotta - addetto all’ufficio denunce e in servizio presso la Stazione di Reggio nell’Emilia e che ha agito in violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione ricoperta secondo la previsione dell’art. 61, n. 9 cod. pen. - ma, soprattutto, reale il potere di influenza del mediatore sul pubblico funzionario, avuto riguardo alla concreta attività che l’odierno imputato aveva svolto, raccogliendo la denuncia del M. poi inoltrata al pubblico ministero per le indagini del caso. Ed è valorizzando tale dato fattuale che la sentenza di primo grado aveva sussunto la condotta del T. nella fattispecie di cui all’art. 346 bis cod. pen., secondo una corretta opzione ermeneutica che va in questa sede confermata a seguito della entrata in vigore della specifica fattispecie incriminatrice che ha enucleato, come elemento tipizzante, il tratto della esistenza di una relazione tra l’agente ed il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, segnando un confine e una cesura con il contiguo delitto di millantato credito anche rispetto alla interpretazione fornita da questa Corte della nozione allargata di millanteria. Ed è, in vero, la esistenza della relazione ed il potere di influenza del T. che ha costituito la base della mediazione assolta dall’imputato verso il M. ed il cui sfruttamento costituiva la ragione della dazione da questi erogata come prezzo della remunerazione del pubblico ufficiale, a prescindere dalla estraneità del magistrato inquirente a tutta la vicenda. 11.A fronte di tale assunto non sono viceversa condivisibili le diverse conclusioni alle quali è pervenuta la sentenza impugnata che ha concentrato l’attenzione esclusivamente sulla prospettazione o rappresentazione della corruttibilità dell’organo inquirente fatta dal T. al M. - falsa, come si precisa nella sentenza impugnata -, pretermettendo completamente l’analisi della esistenza di una obiettiva e reale situazione fattuale nella quale la relazione era esistente, al pari di qualche capacità di condizionare o, comunque, per lo meno di orientare la condotta del pubblico ufficiale da parte dell’imputato. Tale relazione, che costituisce il sostrato dello sfruttamento della influenza che l’agente è in grado di esercitare per soddisfare le esigenze di un soggetto che è ben consapevole di dovere comprare i favori del pubblico ufficiale - e che per questa ragione viene punito nel vigente sistema sanzionatorio, anche se non nella fattispecie in esame ostandovi il principio di cui all’art. 2, comma secondo, cod. pen. - non va confusa con la prospettazione o rappresentazione della corruttibilità dell’organo inquirente fatta dal T. al M. , aspetto, questo, che incide sulla sussunzione della condotta nella prima ovvero nella seconda delle fattispecie delineate nell’art. 346 bis cod. pen 12. Deve, pertanto, darsi continuità al principio già affermato nella giurisprudenza di questa Corte alla stregua del quale il delitto di millantato credito si differenzia da quello di traffico di influenze, di cui all’art. 346 bis cod. pen. in quanto presuppone che non esista il credito né la relazione con il pubblico ufficiale e tanto meno l’influenza mentre il traffico di influenze postula una situazione fattuale nella quale la relazione sia esistente, al pari di una qualche capacità di condizionare o, comunque, di orientare la condotta del pubblico ufficiale Sez. 6, n. 37463 del 28/04/2017, Benvegna, Rv. 270607 . Parimenti, in ragione dell’inquadramento sviluppato al punto 4 del considerato in diritto, va ribadito che le condotte di colui che, vantando un’influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, condotte finora qualificate come reato di millantato credito ai sensi dell’art. 346 cod. pen., comma 2, devono, dopo l’entrata in vigore della legge n. 190 del 2012, in forza del rapporto di continuità tra norma generale e norma speciale, rifluire sotto la previsione dell’art. 346 bis cod. pen., che punisce il fatto con pena più mite Sez. 6, n. 4113 del 14/12/2016, Rigano, Rv. 269735 . 13. È superata dalle argomentazioni fin qui svolte e dalla conclusione alla quale la Corte è pervenuta, la valutazione del secondo e del terzo motivo di ricorso tenuto conto, altresì, che in mancanza di modifica del trattamento sanzionatorio da parte del giudice di appello in corrispondenza della più grave ritenuta qualificazione giuridica del fatto, non era neppure configurabile la violazione del principio del favor rei tenuto conto, altresì, che l’imputato aveva avuto modo di svolgere tutte le proprie difese, anche con riguardo al delitto di millantato credito, oggetto dell’originaria imputazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio. Né è ravvisabile una contraddizione tra il dispositivo della sentenza di appello, che contiene le statuizioni processualmente rilevanti rispetto al petitum rivolto al giudice dell’impugnazione e che investe, come noto la conferma, riforma o annullamento della sentenza impugnata , il percorso logico argomentativo sviluppato e il potere, riconosciuto al giudice, di qualificare giuridicamente i fatti. 14.Sono infondate le censure che investono la mancata applicazione delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. e 346 bis cod. pen. in presenza di un giudizio di fatto, non censurabile per manifesta illogicità, espresso dai giudici del merito con riguardo alla insussistenza delle condizioni che legittimano un giudizio di speciale tenuità del danno patrimoniale cagionato al M. , avuto riguardo all’entità della somma pattuita e, comunque, conseguita dal T. e ed alle modalità del fatto, che ha comportato una seria compromissione del prestigio e della credibilità della pubblica amministrazione, anche in ragione del ruolo ricoperto dall’imputato ed al coinvolgimento nell’illecito mercimonio del magistrato inquirente circostanze ostative alla invocata speciale tenuità del danno. 15.Manifestamente infondato è l’ultimo motivo di ricorso. La decisione sulla concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena rientra, in vero, nelle attribuzioni in massima parte discrezionali e, pertanto, esclusive del giudice di merito, che deve indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere. In sede di legittimità è invece consentito esclusivamente valutare se il giudice, nell’uso del suo potere discrezionale, si sia attenuto a corretti criteri logico giuridici e abbia motivato adeguatamente il suo convincimento. Nel caso in esame la sentenza impugnata si è attenuta ai criteri indicati facendo riferimento, per motivare il diniego sulla richiesta formulata, ai plurimi precedenti penali del ricorrente e non solo quello indicato in ricorso, per reati di falso ma anche ad una precedente condanna, per il reato di truffa, oggetto di provvedimento di indulto, con la conseguenza che quella odierna è la terza condanna riportata dal T. , valutazione che, essendo congruamente e logicamente motivata, si sottrae ad ogni censura in sede di legittimità. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla definizione giuridica del fatto contestato che qualifica ai sensi degli artt. 346 bis e 61 n. 9 cod. pen. come traffico di influenze illecite aggravato. Rigetta nel resto il ricorso.