Commette sempre reato il commerciante che introduce merce contraffatta nel territorio nazionale

La qualità professionale esclude la mera sanzione amministrativa ex art. 1 della legge n. 80 del 2005, applicabile al solo acquirente finale non professionale. Solo in tal caso la sanzione amministrativa cit. sarebbe speciale alla ricettazione ex art. 648 c.p. e all’incauto acquisto ex art. 712 c.p

Così la Cassazione, Seconda Sezione Penale, n. 52950/2017, depositata il 21 novembre. Il fatto. Commerciante viene condannato per l’introduzione per corrispondenza nel territorio nazionale di merci con segni distintivi contraffatti ex art. 474 c.p. in continuazione ex art. 81 c.p. con la ricettazione attenuata ai sensi dell’art. 648, comma 2, c.p. In Appello e di seguito in Cassazione - a far leva sulla violazione di legge e sulla precarietà motivazionale dei giudici del merito - il difensore dell’imputato si duole, appurato il fatto, della mancata contestazione dell’illecito amministrativo ex art. 1, comma 7, legge n. 80/2005, che più blandamente punisce con sanzione amministrativa l’accettazione e l’acquisto di beni di dubbia provenienza da parte dell’acquirente finale, tali da far presumere la violazione delle normative sulla proprietà industriale e sul commercio. La Cassazione rigetta il ricorso, chiarendo in punto di configurabilità del concorso apparente di norme ai sensi degli artt. 15 c.p. e 9 della legge di depenalizzazione n. 689/1981, fra le discipline cit. a tutela della bontà dei commerci. Vige specialità fra la fattispecie di acquisto da parte dell’acquirente finale di merce contraffatta ex legge n. 80 cit. ed i reati di ricettazione ex art. 648 c.p. e di acquisto di cose di sospetta provenienza ex art. 712 c.p La specialità ex art. 15 c.p. – riprodotto nell’art. 9 l. n. 689 cit. - che esclude l’ipotesi del concorso formale fra norme indaga, come noto - premessa l’identità dei beni giuridici tutelati dalle norme in confronto – la continenza astratta fra i componenti tipici costituenti le fattispecie. Quando è verificata la continenza – in taluni casi anche reciproca, in tal caso va operato un ulteriore sforzo di indagine della specialità prevalente – si applica solo la norma speciale, esclusa quella più generale. A far leva dalle Sezioni Unite n. 22225/2012 , la fattispecie con sanzione amministrativa ex art. 1, settimo comma, cit. è speciale alla ricettazione ex art. 648 c.p. ed all’acquisto di cose di indubbia provenienza ex art. 712 c.p. per l’eliminazione dell’inciso salvo il fatto non costituisca reato” e per una più specifica individuazione della condotta – ivi compresa l’estraneità dell’agente al ciclo produttivo e commerciale illecito - e dell’agente in violazione – che fa solo un uso personale dei beni acquisiti. Non vige specialità dell’illecito amministrativo ex l. n. 80 cit., invece, con la fattispecie di introduzione nel territorio nazionale di beni con segni distintivi contraffatti ai sensi dell’art. 474 c.p La fattispecie ex art. 474 c.p. non presuppone necessariamente l’acquisto dei beni ed i relativi componenti tipici paiono esclusi dalla struttura dell’illecito amministrativo cit Ad esempio, per acquistare un bene contraffatto non è necessario introdurlo nel perimetro nazionale. Fra le previsioni sanzionatorie cit. vige una sostanziale indifferenza o, al limite, una meno significativa relazione di strumentalità, stante l’autonomia e la dissimiglianza fra le fattispecie. Per altro, è già in giurisprudenza prevalente l’opinione che sussista il concorso formale fra la previsione ex art. 474 c.p. e la ricettazione ex art. 648 c.p. – cui la sanzione amministrativa de qua è speciale, come su indicato -. Va fatto rilevare anche un argomento storico, la legge n. 99 del 2009 che ha modificato l’illecito amministrativo cit. ha contestualmente rimodellato l’art. 474 c.p. e non ha colto l’occasione per costituire alcuna contiguità strutturale fra le due fattispecie, tale da consentire un giudizio di specialità. Probabilmente, l’intervento riformatore ha inteso ampliare il novero delle condotte punibili, evitando ipotesi di assorbimento fra fattispecie.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 ottobre – 21 novembre 2017, n. 52950 Presidente Diotallevi – Relatore Iasillo Osserva Con sentenza del 05/12/2014, il Tribunale di Busto Arsizio dichiarò P.S. responsabile dei reati di introduzione nel territorio dello Stato di prodotti con segni falsi e ricettazione e - ritenuta la continuazione e riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 648, comma 2, del c.p. - lo condannò alla pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 400,00 di multa. Avverso tale pronunzia l’imputato propose impugnazione, ma la Corte di appello di Milano, con sentenza del 18/05/2016, confermò la sentenza di primo grado. Ricorre per cassazione l’imputato P.S. , difeso dall’Avvocato Alfonso Di Benedetto, che deduce 1 vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 474 del c.p. 2 vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 474 del c.p. 3 vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 648 del c.p. 4 vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 648 del c.p. 5 vizi motivazionali in ordine alla mancata applicazione dell’art. 712 del c.p. 6 vizi motivazionali in ordine alla mancata configurazione del tentativo di ricettazione 7 vizi motivazionali in ordine al diniego delle attenuanti generiche. Il difensore dell’imputato conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata sentenza. Motivi della decisione 1. Il ricorso è inammissibile. Invero, l’imputato reitera le stesse doglianze correttamente affrontate e rigettate dai giudici di merito. 1,1. Infatti, è evidente che avendo il P. acquistato per corrispondenza all’estero i beni con marchio contraffatto e avendoli ricevuti, poi, nel territorio dello Stato ha concorso inevitabilmente nella loro introduzione nello stesso territorio e quindi ha commesso il reato previsto dall’art. 474, comma 1, c.p. si veda sul punto quanto conformemente viene affermato nella motivazione della sentenza Sez. 5, Sentenza n. 6354 del 09/02/2016 Ud. - dep. 16/02/2016 - Rv. 266010 . 1.2. Il difensore dell’imputato si duole, poi, del fatto che il P. sia stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 474 del c.p. e non già dell’illecito amministrativo di cui all’art. 1, comma 7, L. 80/2005 evoca a sostegno della sua tesi la sentenza delle Sezioni Unite 22225/2012. Si deve a tal proposito rilevare che il giudice di merito ha evidenziato - con motivazione incensurabile in questa sede di legittimità - che l’imputato è titolare dell’omonima ditta individuale avente ad oggetto attività al dettaglio di commercio ambulante di tessuti ed articoli tessili si veda pagina 3 dell’impugnata sentenza . Dunque, correttamente, è stato escluso che il P. fosse acquirente finale, essendo con evidenza acquirente professionale. Pertanto come ben evidenziato alla pagina 3 dell’impugnata sentenza nel caso di acquirente professionale, non sarà mai applicabile l’illecito amministrativo che prevede quale soggetto attivo solo l’acquirente finale. La sentenza delle S.U. richiamata dal ricorrente si occupa, poi, di un caso in cui è stata contestata la ricettazione e non il reato di cui all’art. 474 c.p., tanto è vero che a pagina 7 della predetta sentenza si evidenzia che la questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è la seguente Se possa configurarsi una responsabilità a titolo di ricettazione per l’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata . Le S.U. del 2012 risolvono la predetta questione affermando che l’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata risponde dell’illecito amministrativo previsto dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in l. 14 maggio 2005, n. 80, nella versione modificata dalla l. 23 luglio 2009, n. 99, e non di ricettazione art. 648 cod. pen. o di acquisto di cose di sospetta provenienza art. 712 cod. pen. , attesa la prevalenza del primo rispetto ai predetti reati alla luce del rapporto di specialità desumibile, oltre che dall’avvenuta eliminazione della clausola di riserva salvo che il fatto non costituisca reato , dalla precisa individuazione del soggetto agente e dell’oggetto della condotta nonché dalla rinuncia legislativa alla formula senza averne accertata la legittima provenienza , il cui venir meno consente di ammettere indifferentemente dolo o colpa Sez. U, Sentenza n. 22225 del 19/01/2012 Ud. - dep. 08/06/2012 - Rv. 252453 . 1.3. La stessa Corte di merito richiama, poi, correttamente la sentenza di questa Corte n. 6354 del 2016 che esclude ogni rapporto di specialità tra il reato di cui all’art. 474 del c.p. e l’illecito amministrativo di cui all’art. 1, comma 7, della L. 80/2005. Dunque, anche qualora l’introduzione nello Stato avvenisse per opera di un acquirente finale questi risponderebbe del reato di cui all’art. 474 e non già dell’illecito amministrativo. Nella sentenza di cui sopra, questa Corte conferma la giustezza della condanna di un acquirente finale per il reato di cui all’art. 474 del c.p. proprio in base al principio di cui sopra. Poiché tale sentenza conferma e specifica la decisione delle Sezioni Unite già richiamata si ritiene opportuno riportarne la motivazione L’art. 1 comma 7 della l. n. 80/2005 così come modificato dalla l. n. 99/2009 punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria l’acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale. Come ricordato dal ricorrente, le Sezioni Unite hanno stabilito come l’illecito amministrativo sopra menzionato si ponga in rapporto di specialità rispetto ai reati di ricettazione art. 648 c.p. e di acquisto di cose di sospetta provenienza art. 712 c.p. , precisando altresì come, per acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata, debba intendersi colui che non partecipa in alcun modo alla catena di produzione o di distribuzione e diffusione dei prodotti contraffatti, ma si limita ad acquistarli per uso personale Sez. Un., n. 22225 del 19 gennaio 2012, Micheli, Rv. 252453 - 252455 . Il ricorrente sostiene che gli illustrati principi debbano applicarsi anche alla fattispecie di cui al primo comma dell’art. 474 c.p., rilevando la sostanziale omogeneità della situazione in cui si viene a trovare colui che, avendo acquistato per corrispondenza all’estero il bene con marchio contraffatto, lo riceva nel territorio dello Stato concorrendo inevitabilmente nella sua introduzione nello stesso territorio. Nessun dubbio sussisterebbe, infatti, in merito all’attribuibilità al soggetto in questione della qualifica di acquirente finale , dovendosi per altro verso considerare come le Sezioni Unite abbiano pronunziato i suddetti principi proprio in relazione ad un caso di acquisto per corrispondenza all’estero di un orologio e cioè esattamente la fattispecie concreta in contestazione nel presente procedimento. Come accennato si tratta di tesi infondata in diritto. Innanzi tutto è necessario precisare come nel caso deciso dalle Sezioni Unite Micheli era stato contestato esclusivamente il reato di ricettazione, talché dall’apparente sovrapponibilità delle fattispecie non discende la pretesa specialità tra l’illecito amministrativo e quello penale configurato dall’art. 474 c.p. Ed infatti il Supremo Collegio, facendo applicazione dei consolidati criteri individuati a tal fine dalla giurisprudenza di legittimità, ha affermato il principio ricordato in precedenza all’esito del confronto strutturale tra le fattispecie astratte previste, rispettivamente, dall’art. 1 comma 7 l. n. 80/2005 e dagli artt. 648 e 712 c.p., rinvenendo nella prima tutti gli elementi delle seconde con l’aggiunta di alcuni elementi effettivamente specializzanti, tra i quali, per l’appunto, la specifica qualifica dell’agente. In altri termini le Sezioni Unite non hanno inteso affermare la specialità dell’illecito amministrativo rispetto a qualsiasi condotta penalmente rilevante avente ad oggetto prodotti contraffatti qualora autore della medesima sia l’acquirente finale dello stesso, bensì, più semplicemente, la specialità dello stesso illecito rispetto alle due figure di reato espressamente menzionate, i cui elementi costitutivi sono stati riscontrati nella fattispecie configurata dalla norma ritenuta speciale. In definitiva, il principio applicato è quello per cui il presupposto della convergenza di norme - necessario perché risulti applicabile la regola sull’individuazione della disposizione prevalente posta dall’art. 9 l. n. 689/1981 - può ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza strutturale tra le stesse, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le fattispecie astratte rispettivamente configurate. In tal senso il fatto punito cui si riferisce la disposizione menzionata non è quello in concreto realizzato dall’agente, bensì quello oggetto di incriminazione e pertanto per accertare se norma penale e norma sanzionatoria amministrativa effettivamente interferiscono deve esclusivamente effettuarsi la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie tipiche dalle stesse configurate. Ed allora, proprio facendo ricorso ai principi dispiegati dalle Sezioni Unite Micheli, deve giungersi alla conclusione che il rapporto tra la fattispecie di introduzione nel territorio dello Stato di prodotti con segni falsi e quella di ricettazione o incauto acquisto da parte dell’acquirente finale dei medesimi prodotti punita per l’appunto con la sola sanzione amministrativa sia di reciproca indifferenza. Infatti la condotta tipizzata dal primo comma dell’art. 474 c.p. non presuppone necessariamente l’acquisto del bene e non trova in ogni caso alcun riscontro nella fattispecie configurata dalla norma incriminatrice amministrativa. Né per acquistare un prodotto contraffatto è necessario introdurlo illecitamente nel territorio dello Stato, condotta che conserva dunque la sua autonomia strutturale, integrando un diverso illecito eventualmente strumentale alla consumazione del primo, ma per l’appunto distinto ed autonomo. Non di meno la circostanza che entrambe le fattispecie siano caratterizzate dal fine di profitto elemento implicito nell’illecito amministrativo ed invece espressamente previsto per la sussistenza del reato di cui si tratta non può ritenersi interferenza da sola idonea ad evocare un rapporto di continenza strutturale tra le due norme incriminatrici. Conclusioni queste che sono asseverate dal consolidato insegnamento di questa Corte per cui il delitto di ricettazione e quelli previsti dall’art. 474 c.p. possono concorrere, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore ex multis Sez. Un., n. 23427 del 9 maggio 2001, P.M. in proc. Ndiaye, Rv. 218771 . Principio che ovviamente rimane inalterato laddove voglia sostituirsi al delitto di ricettazione l’illecito amministrativo menzionato, che, come più volte ribadito, deve considerarsi speciale rispetto alla menzionata fattispecie penale qualora commesso dall’acquirente finale. E nello stesso senso non è ultroneo ricordare altresì come il vigente testo dell’art. 1 comma 7 della l. n. 80/2005 sia stato introdotto dalla L. n. 99/2009 e cioè il medesimo provvedimento legislativo che ha contestualmente riconfigurato l’art. 474 c.p. - tra l’altro isolando rispetto a quella di commercio e punendo più severamente proprio l’ipotesi di introduzione nel territorio dello Stato di prodotti contraffatti - talché appare quantomeno inverosimile che la mancata riproduzione nella norma amministrativa di elementi idonei ad evocare in maniera esplicita la fattispecie penale di cui si tratta non sia stata oggetto di una scelta consapevole e intenzionale da parte del legislatore . 1.4. Per tutto quanto sopra esposto, è evidente la manifesta infondatezza anche del motivo di ricorso n. 3 con il quale si contesta la ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato di ricettazione e non già dell’illecito amministrativo sempre sulla base del principio di specialità riconosciuto nella sentenza delle S.U. n. 22225 del 2012. Infatti, come si è già detto il ricorrente non è un acquirente finale, ma un acquirente professionale e come tale non rientra nella previsione dell’illecito amministrativo di cui all’art. 1, comma 7, L. 35/2005. 2. Entrambi i giudici di merito ben evidenziano perché ritengono sussistenti gli elementi oggettivi e soggettivi dei reati e le ragioni per le quali il ricorrente - acquirente professionale - fosse pienamente consapevole di aver acquistato prodotti con marchio contraffatto e perché tali prodotti fossero destinati alla vendita si veda ad esempio pagina 4 dell’impugnata sentenza . Data questa consapevolezza non ha ovviamente alcun rilievo che i prodotti fossero stati bloccati alla dogana e non fossero stati visionati dal P. che sapeva perfettamente ciò che aveva acquistato. A tal proposito si deve ricordare che questa Corte ha più volte affermato che integra gli estremi del reato di ricettazione la ricezione o l’acquisto, al fine di trarne profitto, di un oggetto con il marchio contraffatto da parte di chi abbia consapevolezza dell’apposizione su di esso di un falso segno distintivo della sua provenienza Sez. 7, Ordinanza n. 23818 del 10/01/2017 Cc. - dep. 15/05/2017 - Rv. 270456 . 2.1. Dall’avvenuto acquisto da parte del P. della merce, con marchio contraffatto, bloccata in dogana e a lui indirizzata discende anche che il reato di ricettazione sia consumato e non tentato. Invero a proposito di quanto sopra questa Suprema Corte ha affermato che ai fini della consumazione del delitto di ricettazione non è necessario che all’acquisto, perfezionatosi in virtù dell’accordo intervenuto tra le parti, segua materialmente la consegna della res , poiché l’art. 648 cod. pen. distingue l’ipotesi dell’acquisto da quella della ricezione Fattispecie in cui il fermo della merce di provenienza delittuosa presso la Dogana, ne aveva impedito la ricezione da parte dell’imputato Sez. 2, Sentenza n. 40382 del 12/06/2015 Ud. - dep. 08/10/2015 - Rv. 264559 conforme Sez. 2, Sentenza n. 33957 del 14/06/2017 Cc. - dep. 12/07/2017 - Rv. 270734 . Si deve osservare che sul punto nel ricorso si richiama - a sostegno della tesi della sussistenza del reato tentato - una decisione di questa Corte nella quale si afferma che il delitto di ricettazione ha carattere istantaneo e si consuma nel momento in cui l’agente ottiene il possesso della cosa, non rilevando, a tal fine, il mero accordo tra le parti per la consegna della stessa la Corte ha precisato che in caso di accordo tra le parti, a cui non segua la traditio della res , l’agente risponde di tentativo di ricettazione Sez. 2, Sentenza n. 19644 del 08/04/2008 Ud. - dep. 16/05/2008 - Rv. 240406 . Orbene a prescindere dalla particolarità del caso trattato nella sentenza di cui sopra, si deve rilevare che dopo la datata decisione di cui sopra la costante e condivisa giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio che ai fini della consumazione del delitto di ricettazione non è necessario che all’acquisto, perfezionatosi in virtù dell’accordo intervenuto tra le parti, segua materialmente la consegna della res , poiché l’art. 648 cod. pen. distingue l’ipotesi dell’acquisto da quella della ricezione Sez. 2, Sentenza n. 17821 del 15/04/2009 Ud. - dep. 27/04/2009 - Rv. 243954 Sez. 2, Sentenza n. 46899 del 07/12/2011 Ud. - dep. 20/12/2011 - Rv. 251454 Sez. 4, Sentenza n. 14424 del 02/02/2012 Ud. - dep. 16/04/2012 - Rv. 253302 Sez. 2, Sentenza n. 31023 del 25/06/2013 Ud. - dep. 19/07/2013 - Rv. 256843 Sez. 2, Sentenza n. 40382 del 12/06/2015 Ud. - dep. 08/10/2015 - Rv. 264559 Sez. 2, Sentenza n. 33957 del 14/06/2017 Cc. - dep. 12/07/2017 - Rv. 270734 . Né incide negativamente su quanto sopra la circostanza che nella sentenza delle S.U. n. 22225 del 2012 il caso trattato - simile a quello di cui ci si occupa nell’odierno processo - fosse stato qualificato come tentata ricettazione. Invero, come si è già detto, le S.U. erano state chiamate a risolvere la questione se vi fosse un rapporto di specialità tra l’illecito amministrativo di cui all’art. 1, comma 7, L. 35/2005 e il reato di ricettazione. Dunque avendo le Sezioni Unite affermato che non può configurarsi una responsabilità penale per l’acquirente finale di cose in relazione alle quali siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale e avendo, in applicazione di tale principio, annullata senza rinvio la sentenza impugnata è chiaro che non era affatto necessario che le S.U. affrontassero la questione dell’esatta qualificazione del fatto reato contestato quale tentata ricettazione anziché ricettazione consumata . 3. A proposito della dissertazione del difensore del ricorrente sul dolo eventuale si rammenta - in conformità a precedenti arresti di questa sezione che si configura il reato di ricettazione, sotto il profilo del dolo eventuale, ogniqualvolta l’agente si è posto il quesito circa la legittima provenienza della res risolvendolo nel senso dell’indifferenza della soluzione si configura invece l’ipotesi di cui all’art. 712 c.p. quando il soggetto ha agito con negligenza nel senso che, pur sussistendo oggettivamente il dovere di sospettare circa l’illecita provenienza dell’oggetto, egli non si è posto il problema ed ha, quindi, colposamente realizzato la condotta vietata Sez. 2, Sentenza n. 14170 del 15/01/2001 Ud. - dep. 06/04/2001 - Rv. 218494 . In sostanza nel delitto di ricettazione è ravvisabile il dolo eventuale quando la situazione fattuale - nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell’esperienza - sia tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res , ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza Sez. 2, Sentenza n. 45256 del 22/11/2007 Ud. - dep. 05/12/2007 - Rv. 238515 Sez. Un. Sentenza n. 12433 del 26/11/2009 Ud. -dep. 30/03/2010 - Rv. 246324 si veda anche Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014 Ud. - dep. 18/09/2014 - Rv. 261104 . 3,1. Ciò premesso, occorre osservare che la Corte di appello ha ravvisato il dolo diretto tenendo conto proprio della accertata consapevolezza dell’imputato della contraffazione . Si osserva, in proposito, che le valutazioni di merito sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. Sez. U, Sentenza n. 24 del 24/11/1999 Ud. -dep. 16/12/1999 - Rv. 214794 si veda anche Sez. 1, Sentenza n. 41738 del 19/10/2011 Cc. - dep. 15/11/2011 - Rv. 251516 . 3,2. Quanto sopra spiega, con evidenza, anche perché la Corte territoriale non abbia ravvisato il reato di cui all’articolo 712 del c.p. e perché non vi sia la necessità di ulteriore spiegazione sul punto, oltre a quella esaustiva fornita dal Giudice di merito si veda pagina 4 dell’impugnata sentenza . Infatti, tale deduzione difensiva è logicamente incompatibile con la decisione adottata e pertanto non era neppure necessario che fosse confutata esplicitamente Sez. 4, Sentenza n. 1149 del 24/10/2005 Ud. - dep. 13/01/2006 - Rv. 233187 . A tal proposito questa Suprema Corte ha, infatti, più volte, affermato il principio condiviso dal Collegio - che la regola della concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata , enunciata dall’art. 546, comma primo, lettera e , cod. proc. pen., rende non configurabile il vizio di legittimità allorquando nella motivazione il giudice abbia dato conto soltanto delle ragioni in fatto e in diritto che sorreggono il suo convincimento, in quanto quelle contrarie devono considerarsi implicitamente disattese perché del tutto incompatibili con la ricostruzione del fatto recepita e con le valutazioni giuridiche sviluppate. Sez. 4, Sentenza n. 36757 del 04/06/2004 Ud. - dep. 17/09/2004 - Rv. 229688 . 4. Infine, è incensurabile la motivazione con la quale la Corte di merito alle pagine 4 e 5 dell’impugnata sentenza nega il riconoscimento delle attenuanti generiche. 4,1. Invero, questa Corte di Cassazione ha stabilito il principio - condiviso dal Collegio - che in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda Sez. 1, Sentenza n. 11361 del 19/10/1992 Ud. - dep. 25/11/1992 - Rv. 192381 Sez. 2, Sentenza n. 2769 del 02/12/2008 Ud. - dep. 21/01/2009 - Rv. 242709 Sez. 5, Sentenza n. 7562 del 17/01/2013 Ud. - dep. 15/02/2013 - Rv. 254716 . Per di più, l’obbligo di motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta Sez. 2, Sentenza n. 38383 del 10/07/2009 Ud. - dep. 01/10/2009 - Rv. 245241 . Infine, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo Sez. 3, Sentenza n. 19639 del 27/01/2012 Ud. - dep. 24/05/2012 - Rv. 252900 Sez. 2, Sentenza n. 30228 del 05/06/2014 Ud. - dep. 10/07/2014 - Rv. 260054 . Nel caso di specie la Corte di appello dopo aver evidenziato le ragioni per le quali esclude la sussistenza delle condizioni per concedere le attenuanti generiche, non solo rileva la congruità della pena inflitta, ma sottolinea, anche, come la stessa sia stata per errore irrogata in misura di molto inferiore a quella che si sarebbe dovuta correttamente applicare. Infatti il Tribunale ha ritenuto più grave il reato di ricettazione di cui al secondo comma dell’art. 648 del c.p. ed ha individuato quale pena base quella di mesi 5 di reclusione. Il giudice di primo grado non ha, però, tenuto conto che la pena minima per il reato satellite di cui all’art. 474 del c.p. è pari ad anni 1 di reclusione e che in tema di concorso di reati puniti con sanzioni omogenee sia nel genere che nella specie per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione, l’individuazione del concreto trattamento sanzionatorio per il reato ritenuto dal giudice più grave non può comportare l’irrogazione di una pena inferiore nel minimo a quella prevista per uno dei reati satellite Sez. U, Sentenza n. 25939 del 28/02/2013 Cc. - dep. 13/06/2013 - Rv. 255348 . 5. In relazione a quanto sopra evidenziato questa Corte Suprema ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c , cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso Si veda fra le tante Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 - dep. 11.10.2004 - rv 230634 Sez. 4, Sentenza n. 18826 del 09/02/2012 Ud. - dep. 16/05/2012 -Rv. 253849 Sez. 5, Sentenza n. 28011 del 15/02/2013 Ud. - dep. 26/06/2013 -Rv. 255568 Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014 Ud. - dep. 13/03/2014 -Rv. 259425 . Inoltre, in tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito Sez. 6, Sentenza n. 47204 del 07/10/2015 Ud. - dep. 27/11/2015 - Rv. 265482 . 6. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di 1.500,00 Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 a favore della Cassa delle ammende.