Coltellate “sferrate a caso” all’ex moglie e al nuovo compagno: condannato

L’ipotesi di lesioni cagionate attraverso colpi inferti con arma da taglio, non indirizzati verso specifici organi vitali ma sferrati in aree vitali, configura il reato di tentato omicidio e nell’applicazione dell’eventuale recidiva, deve valutarsi tanto il decorso del tempo quanto la pericolosità sociale dell’imputato.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 52974/17, depositata il 21 novembre. Il caso. Il Tribunale di Rimini condannava un imputato a 10 anni di reclusione per il tentato omicidio della ex consorte e del suo nuovo compagno, in seguito alle ferite da taglio a questi inferte. Oltre al reato di tentato omicidio, il Giudice di prime cure riconosceva la sussistenza del reato di ingiuria e della recidiva. In appello l’imputato otteneva la rideterminazione della pena in anni 9, poiché veniva assolto per il reato di ingiuria. Nonostante la riforma della sentenza da parte della Corte distrettuale, l’imputato ricorre per cassazione domandando l’annullamento della pronuncia lamentando l’assenza dell’ animus necandi – idoneo a configurare la fattispecie del tentato omicidio – e della premeditazione, posto che il ricorrente avrebbe sferrato delle coltellate in modo confuso e disordinato, senza la volontà di uccidere. Inoltre, il ricorrente si duole dell’applicazione della recidiva confermata dalla Corte d’Appello, poiché fondata su illeciti penali notevolmente pregressi e non collegati alla condotta contestata. L’animus necandi e la premeditazione. La Suprema Corte riconosce la sussistenza della volontà di uccidere del ricorrente nella circostanza che le coltellate erano state inflitte in aree corporee in cui si trovano organi vitali e che avevano altresì costretto le parti offese al ricovero ospedaliero. In aggiunta, il fatto che il ricorrente avesse perseguitato ed intimorito la ex consorte, successivamente alla loro separazione, ponendo così in essere una condotta vendicativa, consente di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi dell’aggravante della premeditazione, rispetto alla quale sono stati acquisiti elementi probatori idonei a individuare l’intervallo cronologico esistente tra l’insorgenza del proposito criminoso finalizzato all’uccisione della consorte e del compagno e la sua concretizzazione . L’applicazione della recidiva. I Giudici di legittimità riconoscono la corretta applicazione della recidiva all’imputato, in quanto questa deve valutarsi non solo in base alla gravità e alla reiterazione dei comportamenti di un soggetto in un dato lasso temporale, ma deve prendere anche in considerazione la elevata pericolosità sociale dell’imputato, così come concretizzatasi nella vicenda criminosa oggetto di vaglio . La Corte pertanto dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 ottobre – 21 novembre 2017, n. 52974 Presidente Carcano – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con sentenza emessa il 07/10/2015 il Tribunale di Rimini condannava C.M. alla pena di dieci anni di reclusione - concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti e alla recidiva giudicandolo colpevole del tentato omicidio di D.C.D. e di L.B.A. e dei connessi reati, ascrittigli ai capi A, B, C, D, E, unificati dal vincolo della continuazione. I fatti delittuosi in contestazione si verificavano a in un arco temporale compreso tra il omissis . 2. Con sentenza emessa il 21/06/2016 la Corte di appello di Bologna, pronunciandosi sull’impugnazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini e dell’imputato, in parziale riforma della sentenza impugnata, assolveva C. dai delitti di ingiuria sub D prima parte e sub E, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato veniva conseguentemente rideterminata la pena irrogata dal Giudice di primo grado in anni nove, mesi undici e giorni sedici di reclusione. La sentenza emessa dal Tribunale di Rimini il 07/10/2015, nel resto, veniva confermata. 3. Da entrambe le sentenze di merito - pienamente convergenti sotto il profilo della ricostruzione degli accadimenti criminosi - emergeva che l’imputato, dopo la separazione dalla moglie L.B.A. , che aveva lasciato la dimora coniugale, ubicata a , per trasferirsi a in un luogo inizialmente sconosciuto dal ricorrente, aveva assunto atteggiamenti persecutori nei confronti della consorte. L’imputato, in particolare, dopo l’allontanamento dall’abitazione coniugale della moglie, dalla quale non risultava divorziato, aveva iniziato a molestarla telefonicamente tali molestie si concretizzavano anche attraverso l’invio di messaggi telefonici di contenuto intimidatorio, attraverso i quali il ricorrente era arrivato a minacciare di morte la consorte, laddove non avesse ripreso la relazione coniugale che la stessa aveva interrotto sulla base di una decisione unilaterale. Il ricorrente, nel frattempo, aveva scoperto la città dove la consorte si era trasferita e il luogo dove lavorava, presso il quale, una prima volta, nel luglio del 2014, l’aveva raggiunta, senza preavvisarla del suo arrivo, per incontrarla in quella occasione, però, il datore di lavoro della persona offesa, preoccupato per l’arrivo inaspettato dell’imputato e per la situazione di tensione venutasi a creare, aveva allertato i carabinieri, il cui intervento impediva il verificarsi di ulteriori conseguenze pertanto, le minacce che C. aveva esternato alla moglie, grazie all’intervento delle forze dell’ordine, non avevano avuto alcun seguito. Dopo questo primo episodio, l’imputato continuava a molestare la consorte, fino a quando, la mattina del omissis , partendo da , dove continuava a risiedere, era nuovamente ritornato a , allo scopo di incontrare l’inconsapevole moglie. Giunto a e messosi alla ricerca della consorte per le strade della cittadina omissis , C. riusciva a localizzare l’autovettura di D.C.D. - che conosceva come il nuovo compagno della moglie - e aveva tagliato le gomme del veicolo, parcheggiato nei pressi della sua abitazione, ubicata a omissis in sostanziale concomitanza con l’attività di danneggiamento del mezzo in questione, sopraggiungevano D.C. e la moglie, che, alla sua vista, impauriti, si davano repentinamente alla fuga. A questo punto, l’imputato si metteva all’inseguimento dei due soggetti, li raggiungeva e li aggrediva con un coltello che si era portato appresso in un primo momento, pertanto, il ricorrente accoltellava D.C. , al quale provocava varie ferite al cuoio capelluto, all’area toracica e alle braccia quindi, lasciato tramortito a terra D.C. , C. si rivolgeva alla propria consorte, accoltellando anch’essa e ferendola nella zona toracica e all’addome infine, dopo avere colpito la moglie, C. tornava a infierire su D.C. che si trovava, ferito, a terra. Dopo l’aggressione, venivano allertate telefonicamente le forze dell’ordine, che provvedevano a soccorrere i due feriti e a traportarli presso il nosocomio cittadino gli agenti operanti, quindi, si mettevano alla ricerca dell’autore del duplice accoltellamento, che veniva immediatamente individuato nel ricorrente grazie alle dichiarazioni rese dalle persone offese dal reato che indicavano C. come l’autore del loro ferimento infine, l’imputato veniva individuato grazie alla telefonata effettuata dal gestore di una tabaccheria, ubicata nello stesso centro romagnolo, dove C. si era recato dopo l’aggressione della moglie e del compagno, al quale il ricorrente aveva chiesto di allertare telefonicamente le forze dell’ordine, dicendo chiami la polizia perché ho accoltellato due persone . A seguito del suo arresto, l’imputato ammetteva le sue responsabilità, precisando di essere giunto a la mattina del omissis provenendo da precisava, inoltre, di avere accoltellato la moglie e il suo nuovo compagno con un coltello a serramanico che, dopo avere attentato alla loro vita, aveva buttato ad alcune centinaia di metri dal luogo in cui aveva aggredito le vittime. Dopo la confessione dell’imputato, venivano riesaminati L.B.A. e D.C.D. , i quali ribadivano le dichiarazioni rese nell’immediatezza degli accadimenti criminosi oggetto di vaglio e confermavano la ricostruzione dei fatti delittuosi fornita dall’imputato. Il compendio probatorio veniva ulteriormente corroborato dalle deposizioni rese dai testimoni oculari G.G. , G.A. , B.A.M. , L.D. e M.G. , che risultavano perfettamente sovrapponibili alle dichiarazioni rese dall’imputato e dalle persone offese dal reato. Sulla scorta di tale ricostruzione degli accadimenti criminosi - e con le precisazioni di cui si è detto in ordine alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio effettuato dalla Corte di appello di Bologna - l’imputato veniva condannato alla pena di cui in premessa. 4. Avverso tale sentenza l’imputato ricorreva per cassazione, a mezzo dell’avv. Luca Donelli, deducendo due motivi di ricorso. Con il primo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse adeguatamente conto degli elementi probatori acquisiti nei confronti di C. , in relazione al tentato omicidio aggravato in contestazione, sui quali la Corte di appello di Bologna si era espressa si esprimeva in termini assertivi e svincolati dalle risultanze processuali. Si deduceva, in proposito, l’incongruità del giudizio espresso dalla Corte di appello di Bologna, con cui si era ritenuto dimostrato il tentato omicidio premeditato contestato al ricorrente, che risultava smentito dalle acquisizioni probatorie e contraddetto dalla ricostruzione della dinamica dell’accoltellamento di D.C.D. e L.B.A. , così come recepita nelle decisioni di merito, che non consentivano di ritenere l’azione armata dell’imputato né premeditata né finalizzata a uccidere le vittime. Secondo la difesa di C. , le emergenze probatorie imponevano di escludere l’esistenza di una preordinazione omicida nell’azione criminosa dell’imputato, il cui intento era unicamente quello di sorprendere la moglie in compagnia dell’amante e non certamente quello affermato in termini assertivi nella decisione in esame - di attentare alla vita dei due compagni. A supporto di tali affermazioni, si evidenziava che le circostanze di tempo e di luogo nella quali si concretizzava l’aggressione della coppia e la dinamica delle coltellate inferte alle persone offese dal reato, sferrate senza mirare a un preciso obiettivo vitale - come attestava la stessa consulenza tecnica del pubblico ministero, svolta nel corso delle indagini preliminari e richiamata nella sentenza di primo grado - non consentivano di ricondurre la condotta dell’imputato all’ipotesi del tentato omicidio premeditato, così come ascrittagli, dovendosi escludere nell’atteggiamento del ricorrente l’animus necandi indispensabile per la configurazione di tale fattispecie. L’aggressione delle vittime, al contrario, costituiva l’espressione di un’azione estemporanea e non predeterminata nel suo sviluppo criminoso, finalizzata ad aggredire indistintamente la consorte e il compagno, non preordinato e privo di alcun intento omicida, che doveva ritenersi smentito dalle emergenze probatorie. Peraltro, anche il comportamento disordinato e confuso assunto dall’imputato dopo l’accoltellamento della moglie e del compagno, conclusosi con l’ingresso in un esercizio pubblico, lasciava propendere per un’azione criminosa estemporanea e priva di preordinazione connotazioni, queste, rese evidenti dal fatto che, all’arrivo delle forze dell’ordine, C. si mostrava in uno stato confusionale scarsamente partecipativo rispetto all’accertamento dei fatti illeciti, rendendo poco plausibile l’ipotesi accusatoria secondo cui aveva preordinato un piano criminoso finalizzato a uccidere le vittime. Si riproponevano, in tal modo, le censure espresse nei giudizi di merito dalla difesa di C. , secondo le quali le coltellate sferrate all’indirizzo delle persone offese erano il frutto della concitazione degli accadimenti criminosi e che, in ogni caso, i fendenti erano stati inferti dal ricorrente senza alcuna volontà di ledere organi vitali delle vittime, con modalità talmente superficiali - come attestato dalle stesse sentenze di merito - e repentine che non era possibile ipotizzare alcun intento omicida nell’azione posta in essere in danno della moglie e del suo compagno. Con il secondo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all’art. 99 cod. pen., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse adeguatamente conto della sussistenza degli elementi costitutivi della recidiva oggetto di contestazione, sulla cui ricorrenza la Corte territoriale bolognese si era espressa in termini assertivi e svincolati dalle emergenze probatorie. Si evidenziava, in proposito, che il riconoscimento della recidiva si fondava su due precedenti penali notevolmente risalenti nel tempo, commessi da C. nel e nel , rispetto ai quali nessun collegamento poteva essere affermato con la vicenda criminosa oggetto di vaglio, anche in considerazione della natura estemporanea dell’azione armata posta in essere dall’imputato in danno delle persone offese. Queste considerazioni imponevano l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto da C.M. è inammissibile. 2. Con il primo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse adeguatamente conto degli elementi probatori acquisiti nei confronti di C. , indispensabili alla formulazione di un giudizio di responsabilità in relazione al tentato omicidio premeditato oggetto di contestazione, che risultava smentito dalle risultanze processuali, univocamente orientate in senso favorevole all’imputato. Secondo la difesa del ricorrente, l’incongruità del giudizio espresso dalla Corte territoriale bolognese rispetto alla configurazione del tentato omicidio premeditato contestato a C. era resa evidente dalle acquisizioni probatorie e risultava contraddetta dalla ricostruzione della dinamica dell’accoltellamento di D.C.D. e L.B.A. , così come recepita nelle decisioni di merito, che non consentiva di ritenere l’azione armata dell’imputato né premeditata né finalizzata a uccidere la consorte e il suo compagno. Osserva, innanzitutto, il Collegio che il presupposto sul quale il ricorrente fonda il suo assunto difensivo, secondo cui l’aggressione armata dell’imputato in danno delle persone offese era inidonea a provocarne la morte, risulta smentito dalla sequenza dell’azione delittuosa - correttamente ricostruita nel provvedimento decisorio in esame - caratterizzata dall’uso di un coltello a serramanico con cui venivano provocate alle vittime numerose ferite, in conseguenza delle quali entrambe venivano ricoverate d’urgenza presso l’Ospedale omissis . Sui profili valutativi censurati dalla difesa di C. , invero, la sentenza di appello si soffermava con un percorso motivazionale immune da censure, evidenziando - sulla base di un vaglio ineccepibile della documentazione sanitaria rilasciata dal Pronto Soccorso dell’Ospedale omissis - che l’azione delittuosa dell’imputato era certamente idonea a determinare la morte di D.C.D. e L.B.A. , avendo provocato i numerosi colpi di coltello inferti dal ricorrente alle vittime la penetrazione dell’arma da taglio in aree corporee nelle quali si trovano numerosi organi vitali. Si consideri, in proposito, il passaggio motivazionale esplicitato nelle pagine 11 e 12 della sentenza di primo grado, espressamente richiamato sul punto dal provvedimento impugnato, nel quale il Tribunale di Rimini evidenziava come costituisse un elemento probatorio incontroverso quello secondo cui il ricorrente avesse accoltellato la moglie e D.C. nel corso di un’articolata sequenza omicida, sviluppatasi in fasi distinte. Dalla ricostruzione di tale sequenza omicida discende la correttezza dell’inquadramento del tentato omicidio aggravato contestato a C. al capo A, desumibile dal fatto che le coltellate sferrate dall’imputato erano potenzialmente idonee a cagionare la morte delle persone offese, in ragione del fatto che attingevano sedi nelle quali si trovano organi che presiedono a funzioni vitali . Sulla scorta di tale ricostruzione dell’aggressione attuata dal ricorrente nei confronti della moglie e del compagno, che deve essere necessariamente correlata alle circostanze di tempo e di luogo nelle quali maturava la sua determinazione omicida, il Giudice di appello bolognese formulava un giudizio affermativo sull’idoneità degli atti posti in essere dall’imputato a provocare la morte delle vittime, nel valutare la quale è necessario richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo la quale L’idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con giudizio ex ante , tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto Sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010, Resa, Rv. 248305 si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 23706 del 17/02/2004, Fasano, Rv. 229135 . 2.1. La difesa del ricorrente censurava ulteriormente la sentenza di appello impugnata sotto il profilo dell’assenza di prova dell’univocità degli atti offensivi attraverso i quali si concretizzava l’ipotesi delittuosa contestata a C. al capo A, a sua volta incidente sull’assenza di prova della volontà omicida del ricorrente. Osserva, in proposito, il Collegio che l’univocità degli atti costituisce il presupposto indispensabile per ritenere una condotta delittuosa riconducibile all’alveo applicativo dell’art. 56 cod. pen. Tutto questo risponde all’esigenza di ricostruire la volontà dell’agente rispetto all’aggressione del bene giuridico protetto della norma, conformemente a quanto statuito da questa Corte, secondo cui In tema di tentativo, il requisito dell’univocità degli atti va accertato ricostruendo, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell’agente quale emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira, sì da pervenire con il massimo grado di precisione possibile alla individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e concretamente posto in pericolo Sez. 4, n. 7702 del 29/01/2007, Alasia, Rv. 236110 si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 7938 del 03/02/1992, Lamari, Rv. 191241 . Ne discende che il requisito dell’univocità degli atti, così come prefigurato dall’art. 56, comma primo, cod. pen., incidendo sulla valutazione dell’elemento soggettivo del reato di volta in volta contestato, deve essere accertato sulla base delle connotazioni materiali della condotta illecita, con la conseguenza che gli atti posti in essere da C. devono possedere, tenuto conto del contesto in cui sono inseriti, l’attitudine a rendere manifesto il proposito criminoso perseguito, desumibile sia dagli atti esecutivi sia da quelli preparatori dell’azione Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, D’Angelo, Rv. 254106 Sez. 2, n. 40912 del 24/09/2015, Amatista, Rv. 264589 . In questa cornice, non può non rilevarsi che la dinamica dell’aggressione di D.C. e L.B. deve ritenersi dimostrativa del fatto che l’azione armata di C. conseguisse a una volontà omicida persistente e univocamente orientata nella direzione prefigurata dalla sentenza impugnata, consentendo di affermare che il ricorrente avesse voluto colpire le persone offesa noncurante del rischio di causarne la morte. Esemplare, da questo punto di vista, è il passaggio motivazionale della sentenza impugnata, esplicitato a pagina 12, in cui si evidenziava correttamente che nella condotta di sferrare ripetuti fendenti all’altezza del torace ricorrano tutti quegli elementi, oggettivi e soggettivi, della fattispecie delittuosa in questione . 2.2. Quanto alla residua doglianza, relativa all’insussistenza della premeditazione, deve rilevarsi che la ricostruzione degli accadimenti criminosi compiuta dalla Corte di appello di Bologna, sotto il profilo della valutazione degli elementi costitutivi dell’aggravante della premeditazione, risulta congrua e conforme alle emergenze processuali. La Corte territoriale, infatti, si soffermava in termini ineccepibili sulla fase genetica dell’aggressione armata posta in essere in danno della moglie dell’imputato e del suo compagno, inserendo tale episodio in un più ampio contesto persecutorio, conseguente all’allontanamento della consorte del ricorrente dalla dimora coniugale torinese, protrattosi per diversi mesi e conclusosi con l’epilogo criminoso di cui ci si sta occupando. Secondo la ricostruzione del Giudice di appello, il risentimento di C. nei confronti della moglie era risalente nel tempo e si era acuito dopo che aveva scoperto che la consorte, nel frattempo trasferitasi a , aveva trovato un’occupazione lavorativa e aveva intrapreso una relazione sentimentale con D.C.D. . L’esistenza di una situazione di tensione personale tra i due coniugi e le ragioni sentimentali che l’avevano determinata, dunque, possono ritenersi incontroverse e risultano decisive ai fini della valutazione degli elementi costitutivi dell’aggravante della premeditazione contestata in relazione al reato di cui al capo A. L’atteggiamento di risentimento di C. , del resto, risulta confermato dall’episodio avvenuto nel luglio del 2014, che si verificava quando l’imputato, recatosi sul luogo di lavoro della moglie, aveva iniziato a minacciarla, imponendo, in quella occasione, l’intervento delle forze dell’ordine, accorse su segnalazione del datore di lavoro di L.B.A. . Tale episodio rende evidente che l’intenzione di vendicarsi del coniuge traeva origine dalle risalenti tensioni esistenti tra l’imputato e la consorte e, prima di concretizzarsi, si era sedimentata per diversi mesi, mantenendosi costante fino alla mattina del omissis . La ricostruzione degli accadimenti criminosi posta a fondamento della sentenza impugnata consente di affermare in capo all’imputato l’esistenza di un processo di sedimentazione psicologica del progetto vendicativo, imponendo di escludere la natura estemporanea della sua azione omicida e consentendo, al contempo, di ritenere premeditata la condotta del ricorrente, conformemente a quanto stabilito per la configurazione di tale circostanza da questa Corte, secondo cui Elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso elemento di natura cronologica e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine elemento di natura ideologica Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, Antonucci, Rv. 241575 . Né rileva, in senso contrario, la circostanza che il sopraggiungere inaspettato della moglie e del compagno avesse colto di sorpresa C. la mattina del omissis , dovendosi evidenziare che il processo di sedimentazione psicologica del progetto criminoso dell’imputato deve essere valutato in termini flessibili, adeguati alle emergenze del caso concreto e alle circostanze di tempo e di luogo attraverso le quali l’azione si concretizza. Basti, in proposito, considerare che la giurisprudenza di legittimità riconosce la possibilità di una premeditazione condizionata Sez. 1, n. 1079 del 27/11/2008, Lancia, Rv. 242485 Sez. 1, n. 19974 del 12/02/2013, Zuica, Rv. 256180 , in tutte quelle ipotesi in cui, accertata l’esistenza delle sue connotazioni cronologiche e volitive, la determinazione soggettiva si concretizzi in una risoluzione precisa e ferma in tutte le sue componenti psicologiche, rispetto alle quali la condizione prefigurata - riconducibile a un determinato comportamento della vittima, semplicemente ipotizzato, ma non certo nel suo accadimento - si pone come un evento previsto, idoneo a sospendere o ad annullare la decisione adottata. Sulla base di tali connotazioni comportamentali non può che ribadirsi la natura premeditata del progetto criminoso di C. , il cui riconoscimento risulta corredato da un adeguato supporto probatorio, essendosi acquisita la prova del consistente lasso temporale intercorso tra l’insorgenza della determinazione criminosa dell’imputato e la sua esecuzione. L’esistenza di elementi probatori idonei ad affermare la ricorrenza di tale indispensabile lasso temporale, dunque, consente di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi dell’aggravante della premeditazione, rispetto alla quale sono state acquisiti elementi probatori idonei a individuare l’intervallo cronologico esistente tra l’insorgenza del proposito criminoso finalizzato all’uccisione della consorte e del compagno e la sua concretizzazione. Questo passaggio probatorio, del resto, è imprescindibile per la valutazione dei presupposti legittimanti l’applicazione dell’aggravante della premeditazione, conformemente a quanto stabilito da questa Corte che, quanto agli elementi costitutivi dell’aggravante in esame, afferma Elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso elemento di natura cronologica e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine elemento di natura ideologica , dovendosi escludere la suddetta aggravante solo quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, tale cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione del reato Sez. 5, n. 42576 del 03/06/2015, Procacci, Rv. 265149 si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 34016 del 09/04/2013, F., Rv. 256528 . 2.3. Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo del ricorso in esame. 3. Analogo giudizio di inammissibilità deve essere espresso con riferimento alla residua doglianza, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 99 cod. pen., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse adeguatamente conto della sussistente, degli elementi costitutivi della recidiva, così come contestata a C. , sulla cui ricorrenza la Corte di appello di Bologna si era espressa in termini assertivi e svincolati dalle emergenze probatorie. Osserva, in proposito, il Collegio che le censure formulate dalla difesa di C. in ordine al riconoscimento della recidiva non si fondano sull’individuazione di singoli profili valutativi del provvedimento impugnato da sottoporre a censura, ma tendono a provocare una nuova e non consentita valutazione del merito dei presupposti di merito per il riconoscimento dell’aggravante in questione, che risulta effettuato dalla Corte di appello di Bologna nel rispetto delle emergenze processuali. La Corte territoriale bolognese, invero, evidenziava che, nel caso di specie, era stata irrogata a C. una pena adeguata al disvalore delle ipotesi di reato oggetto di contestazione, sulla base di un giudizio dosimetrico ineccepibile, fondato sulla gravità e sulla reiterazione nel tempo dei comportamenti delittuosi in esame, vagliati per il loro disvalore e per la loro consistenza fattuale, rispetto ai quali la risalente datazione dei precedenti penali del ricorrente non assume un valore decisivo, dovendo il dato cronologico essere correlato all’elevata pericolosità sociale dell’imputato, così come concretizzatasi nella vicenda criminosa oggetto di vaglio Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv., 247838 . Sul punto, appaiono pienamente condivisibili le conclusioni esplicitate a pagina 3 della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale bolognese evidenziava che il riconoscimento della recidiva prescinde dalla distanza temporale del nuovo reato dalla precedente condanna in quanto i delitti di tentato omicidio oggetto di questo processo sono indice di una pericolosità estremamente accresciuta rispetto a quella espressa con la commissione dei precedenti reati considerazioni, queste, che appaiono assolutamente armoniche rispetto alla giurisprudenza di legittimità che si è richiamata Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, cit. . Tali considerazioni impongono di ribadire l’inammissibilità del secondo motivo del ricorso in esame. 5. Per queste ragioni, il ricorso proposto da C.M. deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, determinabile in Euro duemila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.