Il principio della Cassazione sulla riparazione per ingiusta detenzione

Affinché ricorrano i presupposti in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il Giudice non si deve limitare a valutare i comportamenti dell’interessato in base al quadro indiziario su cui si fonda il rilievo cautelare, ma deve verificare la loro utilizzabilità o sussistenza alla luce dell’eventuale giudizio di assoluzione.

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza n. 52645/17, depositata il 20 novembre. Il caso. La Corte d’Appello di Firenze rigettava l’istanza per l’ingiusta detenzione, nella forma di custodia cautelare in carcere, presentata da un soggetto cui erano contestati i reati di lesioni e sequestro di persona in concorso con terzi, reati per i quali il medesimo veniva poi assolto con sentenza dal GUP di Firenze. Avverso il diniego dell’istanza veniva proposto ricorso per cassazione, la quale, accogliendolo, rinviava alla Corte d’Appello di Firenze rilevando l’omessa individuazione, nell’ordinanza di rigetto della Corte distrettuale, di specifici elementi che potessero collegare la condotta del ricorrente ai reati contestatigli. In sede di rinvio, la Corte d’Appello di Firenze rigettava nuovamente la domanda per ingiusta detenzione, in quanto la foto della persona a cui venivano contestati i reati era stata riconosciuta dalla parte lesa, a nulla rilevando l’intervenuta sentenza di assoluzione. Pertanto, viene proposto nuovamente ricorso per cassazione, in quanto la Corte d’Appello non avrebbe preso in considerazione la sentenza di assoluzione né l’ordinanza di rinvio della Suprema Corte, ma avrebbe dato rilievo primario alle dichiarazioni della persona offesa, nonostante il ricorrente conoscesse sì gli altri imputati, ma dai tabulati telefonici risultasse nella propria abitazione al momento del verificarsi del fatto. Presupposti della riparazione per ingiusta detenzione. La Suprema Corte riconosce che la Corte d’Appello di Firenze ha perseverato nell’errore già riscontrato con l’ordinanza di rinvio. Difatti, non solo la sentenza di assoluzione non era stata presa in considerazione per rileggere correttamente il piano probatorio dell’intera causa, ma la Corte distrettuale non aveva proceduto a giustificare oggettivamente gli indizi a sostegno dell’emissione dell’ordinanza cautelare, ritenendo sufficiente il mero riconoscimento del ricorrente da parte dell’offeso in una fotografia a questi ultimi mostrata. Il Supremo Collegio esprime il principio secondo cui, in tema di riparazione per ingiusta detenzione il giudice della riparazione, per decidere se ne sussistano o meno i presupposti, deve valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il rilievo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili, ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza, nel giudizio di assoluzione, anche se avvenuto ex art. 530, comma 2, c.p.c. . La Corte quindi annulla l’ordinanza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 luglio – 20 novembre 2017, n. 52645 Presidente Di Nicola – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Firenze, con ordinanza depositata il 21 novembre 2014, aveva rigettato l’istanza di riparazione presentata da L.Y. per l’ingiusta detenzione da costui subita dapprima nella forma della custodia cautelare in carcere, dal 10 luglio al 12 novembre 2012, e successivamente nella forma degli arresti domiciliari, fino al 13 febbraio 2013, in relazione ai reati di cui agli artt. 110, 112 n. 1 e 630 cod. pen. e agli artt. 110, 112 n. 1, 582, 585, 576, 61 n. 2 cod. pen., reati dai quali era stato assolto con sentenza n. 981/2013 del Giudice per l’udienza preliminare di Firenze. Il rigetto dell’istanza era stato motivato in base alla sussistenza della causa ostativa prevista dall’articolo 314, comma 1, cod. proc. pen. per avere il L. concorso a dare causa con colpa grave alla misura cautelare, avendo lo stesso intrattenuto frequentazioni stabili abituali con A.B. , noto pregiudicato, unico poi effettivamente condannato per i reati contestati al richiedente. Ciò aveva portato, unitamente al riconoscimento del L. da parte della persona offesa e alla circostanza che lo stesso era stato visto a bordo di un auto insieme all’A. , all’adozione della misura cautelare. Avverso l’ordinanza sopra indicata, L.Y. aveva proposto ricorso per Cassazione, accolto con sentenza del 9 settembre 2015. In particolare, la Suprema Corte aveva ritenuto che il provvedimento della Corte di Appello avesse omesso di individuare elementi specifici che consentissero di collegare univocamente la condotta del ricorrente ai reati di lesioni e sequestro di persona contestatigli. La Corte di appello di Firenze, in sede di rinvio con ordinanza del 15 aprile 2016, rigettava di nuovo la domanda per ingiusta detenzione, affermando che l’ordinanza cautelare era stata adottata non soltanto sulla base della frequentazione del L. con A.B. , ma altresì per il possesso dell’autovettura che, per tipo e colore, risultava essere quella presente la sera del rapimento, nonché, e soprattutto, per l’individuazione fotografica effettuata dalla parte offesa del reato del L. come uno dei partecipanti al sequestro e all’aggressione. La sentenza di assoluzione, prosegue la Corte di Appello, non avrebbe inficiato in alcun modo detto quadro probatorio, che sarebbe dunque stato sufficiente per pervenire all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare. 2. Ricorre per Cassazione L.Y. , tramite difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen 2.1. Inosservanza e/o falsa applicazione dell’articolo 314, comma 1, cod. proc. pen., articolo 606, lett. b . Contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine ai criteri di valutazione della condotta del ricorrente, con particolare riguardo alla valorizzazione del quadro indiziario posto alla base dell’ordinanza di custodia cautelare articolo 606, lett. e , cod. proc. pen. . La Corte d’Appello, nel rigettare l’istanza di riparazione proposta dal ricorrente, si sarebbe limitata a valorizzare gli elementi indiziari indicati nell’ordinanza di custodia cautelare, dimenticando, tuttavia, l’esistenza di una successiva sentenza di assoluzione, nonché quanto statuito dalla Suprema Corte, la quale aveva chiesto al giudice del rinvio di individuare il collegamento specifico tra i rapporti del ricorrente con l’A. e i reati contestatigli. Il provvedimento, emesso in totale dispregio dell’indicazione della Corte di Cassazione, sarebbe allora non solo illogico ma addirittura abnorme, avendo del tutto omesso la verifica della condotta colposa o meno del ricorrente, e avendo ritenuto sufficiente la gravità indiziaria ab origine considerata, del tutto ignorando quanto successo dopo l’emissione dell’ordinanza cautelare. In particolare la Corte d’Appello avrebbe ribadito il ruolo primario delle dichiarazioni della persona offesa ai fini dell’emissione del provvedimento cautelare, dichiarazioni tuttavia ritenute inidonee a fondare un giudizio di responsabilità penale nei confronti del ricorrente, in quanto assolutamente e pacificamente inattendibili dalla sentenza di assoluzione . Nel provvedimento impugnato neppure si sarebbe tenuto conto del fatto che le testimonianze e i tabulati telefonici riferibili al L. lo avessero collocato nella propria abitazione al momento del verificarsi del fatto di reato alibi . Quanto specificamente ai rapporti tra il L. e l’A. , l’ordinanza impugnata si sarebbe limitata all’evidenza degli stessi, senza tuttavia metterli in correlazione col fatto concreto, e senza motivare in ordine alle circostanze per cui i suddetti rapporti non trovassero una giustificazione in un alveo affettivo o amicale, ma si traducessero in una manifestazione collusiva all’intento criminale. Evidenzia sul punto il ricorrente come la sua frequentazione con l’A. non sia mai stata celata al Giudice procedente, avendo egli stesso, incensurato ed ignoto alle forze di polizia, fondato la propria difesa proprio sul fatto che il suo intervento sul luogo dove l’A. avrebbe tenuto bloccato E.D.Z. fosse motivata dai pregressi rapporti di amicizia con l’A. , allo scopo, peraltro, di far desistere quest’ultimo dal proprio intento criminoso. Ha chiesto quindi l’annullamento del provvedimento impugnato. 3. La Procura Generale della Corte di Cassazione, Sostituto Procuratore Generale Giuseppe Corasanti, ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze con memoria ha chiesto l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 5. Il ricorso è fondato, e l’ordinanza deve annullarsi con rinvio alla Corte di appello di Firenze, per nuovo giudizio. Questa Corte ha infatti affermato che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, può essere integrata anche da comportamenti extraprocessuali gravemente colposi quali le frequentazioni ambigue con soggetti gravati da specifici precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti, purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di complicità, in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, Pistorio, Rv. 260397 . La stessa sentenza della Corte di Cassazione del 9 settembre 2015, rinviando la causa al Giudice dell’Appello, aveva chiesto di motivare in ordine agli elementi specifici che consentissero di collegare la condotta del ricorrente ai reati di lesioni e sequestro di persona contestatigli. La Corte d’Appello di Firenze, invece, si è limitata a ribadire l’idoneità degli indizi a giustificare l’emissione dell’ordinanza cautelare, effettuando una mera elencazione degli elementi posti alla base della stessa, ed omettendo di procedere all’analisi demandata dalla Suprema Corte che consisteva, in particolare, nello specificare in che misura, e in che termini, il L. avrebbe dato causa alla detenzione per sua grave colpa. In particolare, non è stata in alcun modo approfondita la natura dei rapporti tra il L. e l’A. , né è stato dato conto delle motivazioni per le quali tale frequentazione non potesse trovare la propria giustificazione in rapporti di amicizia, ma dovesse, al contrario, qualificarsi come ambigua, prestandosi, oggettivamente, ad essere interpretate come indizio di complicità nel reato contestato al ricorrente. Inoltre soprattutto in considerazione del riconoscimento individuazione fotografica effettuato dalla parte offesa, la decisione impugnata ritiene sussistenti gli elementi per il rigetto dell’istanza di riparazione. Tuttavia la decisione non tiene conto della neutralizzazione, nella sua valenza indiziaria, del riconoscimento operato dalla sentenza di assoluzione, ovvero della contraddittorietà delle dichiarazioni gravi contraddizioni e della non attendibilità della parte offesa In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice della riparazione, per decidere se l’imputato vi abbia dato causa per dolo o colpa grave, deve valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione. Nella specie, la Corte ha applicato il principio in un’ipotesi di non coincidenza tra quadro indiziario esaminato nella fase cautelare e quadro probatorio alla base del giudizio assolutorio, ritenendo legittima la valutazione del verbale di arresto e di alcune dichiarazioni fisiologicamente inutilizzabili in dibattimento Sez. 4, n. 41396 del 15/09/2016 - dep. 03/10/2016, Piccolo, Rv. 26823801 per le intercettazioni telefoniche vedi Sez. U, n. 1153 del 30/10/2008 - dep. 13/01/2009, Racco, Rv. 24166701 in via generale vedi Sez. 4, n. 19180 del 18/02/2016 - dep. 09/05/2016, Buccini, Rv. 26680801 . Inoltre il riconoscimento non è certo comportamento del ricorrente una sua colpa grave , valutabile per la negazione dell’ingiusta detenzione. L’ordinanza impugnata, invece, compie, sul punto, una valutazione della sentenza di assoluzione non corretta La circostanza poi che tali elementi non siano stati ritenuti sufficienti dal giudice del merito per pervenire ad una sentenza di condanna di L.Y. , il quale, peraltro, veniva assolto con scarna motivazione ai sensi dell’articolo 530, comma secondo, cod. proc. pen., non inficia affatto il quadro indiziario che questa corte territoriale deve valutare . . Tale modo di argomentare oltre che non corretto risulta anche manifestamente illogico, perché il giudice della riparazione non deve ritenersi giudice d’appello della sentenza di assoluzione e sindacare l’assoluzione, inoltre la formula di assoluzione risulta neutra ai fini della riparazione Il diritto all’equa riparazione per la custodia cautelare subita spetta a chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile di assoluzione con una delle formule indicate nella prima parte dell’articolo 314 cod. proc. pen. e a tal riguardo non ha rilievo se a tale formula il giudice penale sia pervenuto per la accertata prova positiva di non colpevolezza, ovvero per la insufficienza o contraddittorietà della prova, se cioè l’assoluzione sia stata pronunziata ai sensi del primo o del secondo comma dell’articolo 530 cod. proc. pen. Sez. 4, n. 22924 del 30/03/2004 - dep. 14/05/2004, Min.Ec.Fin. in proc. Zitello, Rv. 22879101 . Può conseguentemente esprimersi il seguente principio di diritto In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice della riparazione, che non deve valutare l’assoluzione come un giudice d’appello, per decidere se l’imputato vi abbia dato causa per dolo o colpa grave, deve invece valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili, ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza, nel giudizio di assoluzione, anche se avvenuto ex articolo 530, comma 2, cod. proc. pen. Nella specie, la Corte ha ritenuto non rilevante un riconoscimento fotografico della parte offesa, sia perché non attinente al comportamento dell’arrestato e sia perché neutralizzato dalla sentenza di assoluzione per l’inattendibilità, accertata in relazione alle contraddizioni gravi del narrato, della parte offesa . L’ordinanza va per tali ragioni annullata, con rinvio alla Corte di appello di Firenze per nuovo esame, che provvederà anche a regolamentare le spese del grado di legittimità. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Firenze.