Quando vi è interesse della parte civile a partecipare al giudizio di legittimità?

La Cassazione si esprime in merito all’interesse della parte civile a non essere estromessa dal giudizio di legittimità nel caso di ricorso per cassazione del Procuratore Generale volto ad ottenere la riqualificazione, in peius, del reato. Inoltre la Corte, partendo dal caso di specie, ha definito la fattispecie delittuosa che integra il reato di riciclaggio.

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza 52549/17, depositata il 17 novembre. Il fatto. La Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, aveva riqualificato i reati di riciclaggio ascritti agli imputati come reati di ricettazione. Contro la decisione della Corte territoriale ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello. Il ricorrente chiede in Cassazione il ripristino dell’originaria qualificazione dei fatti accertati e la rideterminazione in peius della pena. Interesse della parte civile nel giudizio di legittimità. Prima di esaminare la fattispecie la Suprema Corte si è espressa in merito alla necessaria inclusione della parte civile, una banca, nel giudizio di legittimità. Secondo la Cassazione per determinare se vi sia un interesse della parte civile a non essere estromessa dal giudizio, riguardante un ricorso del PG per la riqualificazione giuridica del reato, è necessario valutare l’incidenza della diversa qualificazione giuridica, in peius , sulla maggiore gravità del danno subito dal danneggiato. In ragione di ciò la Corte ha affermato il principio di diritto secondo il quale vi è interesse della parte civile a partecipare al giudizio di legittimità quando il ricorso, proposto dal PG, è finalizzato ad ottenere una diversa qualificazione, in peius , del reato, poiché, da quest’ultima può derivare una differente quantificazione del danno morale da reato da risarcire, cui si perviene tenendo conto anche della gravità del reato, suscettibile di acuire i turbamenti psichici e dell’entità del patema d’animo sofferto dalla vittima fattispecie riguardante la qualificazione come riciclaggio di reati qualificati in appello come ricettazione . Delitto di riciclaggio. Gli Ermellini hanno ribadito che il delitto di riciclaggio si distingue dal delitto di ricettazione in relazione alla capacità del reato di ostacolare l’identificazione della provenienza del bene ed in relazione al dolo generico di trasformazione delle cosa per impedire detta identificazione Cass. n. 30265/17 . In virtù di ciò La Suprema Corte ha affermato il principio di diritto secondo il quale integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni consapevolmente volte ad impedire in modo definitivo, od anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni e delle altre utilità tra di esse rientra la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita poiché, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con denaro pulito” Ciò premesso in diritto la Cassazione ha ritenuto che la Corte d’appello, nella valutazione del comportamento degli imputati, non si è correttamente uniformata al pacifico orientamento in tema di distinzione tra il reato di riciclaggio e ricettazione. Per questo motivo la S.C. accoglie il ricorso del PG e annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 ottobre – 17 novembre 2017, n. 52549 Presidente Fiandanese – Relatore Beltrani Ritenuto in fatto Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Torre Annunziata in data 19 ottobre 2011, riqualificati i reati di riciclaggio di cui ai capi B - in esso assorbito il reato di cui al capo C -, D ed E ascritti agli imputati come reati di ricettazione, ha dichiarato estinti per prescrizione quelli ascritti a R.L. , in atti generalizzato, e ridotto la pena irrogata a V.C. , in atti generalizzato, recidivo reiterato specifico infraquinquennale. Contro tale provvedimento, hanno proposto ricorso per cassazione - il PG distrettuale, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in presenza di condotte volte ad ostacolare in concreto l’accertamento della provenienza delittuosa dei beni de quibus, i reati di cui ai capi B.D.E. erano stati correttamente qualificati, inizialmente, come riciclaggio il ripristino della originaria qualificazione giuridica dei fatti accertati, con trattamento sanzionatorio conseguentemente più severo, comporta che i reati ascritti al R. non sono prescritti, oltre alla necessità di rideterminare in peius la pena da irrogare al V. - l’imputato V.C. , lamentando la mancata esclusione della recidiva e l’omessa declaratoria di non punibilità. All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito preliminarmente i difensori dell’imputato V. hanno chiesto l’estromissione della parte civile presente Banca di Credito Popolare in persona del leg. rappr. p.t. nel merito, le parti presenti hanno concluso come riportato in epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza. Considerato in diritto Il ricorso di V.C. è integralmente inammissibile Il ricorso del P.G. presso la Corte di appello di Napoli è fondato. 1. Preliminarmente, deve rilevarsi che la parte civile Banca di Credito Popolare in persona del leg. rappr. p.t. non deve essere estromessa. 1.1. Questa Corte Sez. 2, Sentenza n. 49038 del 21/10/2014, Rv. 261142 ha già ritenuto che sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare ai fini civili la sentenza di condanna che non abbia riconosciuto la sussistenza della circostanza aggravante prevista dall’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, convertito in L. n. 203 del 1991, potendo da quest’ultima derivare una differente quantificazione del danno morale da reato da risarcire, cui si perviene tenendo conto anche della gravità del reato, suscettibile di acuire i turbamenti psichici, e della entità del paterna d’animo sofferto dalla vittima, che può risultare più intensamente intimidita da una condotta posta in essere con l’utilizzo del metodo mafioso o con finalità di agevolazione mafiosa, e che Sez. 3, Sentenza n. 15218 del 20/10/2016, dep. 2017, Rv. 269486 sussiste l’interesse della parte civile a partecipare al giudizio di legittimità attivato dall’imputato in ordine alla ravvisabilità delle circostanze attenuanti, in quanto tale giudizio può incidere sulla liquidazione del danno da risarcire, cui si perviene tenendo conto anche della gravità del reato, suscettibile di acuire i turbamenti psichici, e della entità del paterna d’animo sofferto dalla vittima, che può risultare ridotto qualora il fatto sia considerato di minore gravità nel caso esaminato, la Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso avverso la sentenza che aveva escluso la ricorrenza dell’attenuante di cui al comma quarto dell’art. 609-quater cod. pen., aveva condannato il ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili, cui era stata riconosciuta una provvisionale per il danno subito, da quantificarsi ad opera del giudice civile alla luce, tra l’altro, della valutazione della gravità del fatto operata dal giudice penale . 1.2. Deve, più in generale, rilevarsi che dalla qualificazione giuridica del fatto illecito possono derivare effetti sulla gravità del danno patrimoniale e morale dei danneggiati, incidenti sull’entità del risarcimento. 1.2.1. Questa Corte ha già riconosciuto che, per verificare se la parte civile vanti un concreto interesse a non essere estromessa dal giudizio riguardante un ricorso del P.G. tendente ad ottenere una diversa qualificazione giuridica, in pejus, del fatto-reato accertato, è quindi necessario verificare se la diversa qualificazione del fatto implichi - come indiscutibilmente accade nel caso in esame - una sua valutazione di maggior gravità, nel qual caso il danno morale subito può ritenersi più grave ed importare un diverso risarcimento soltanto in questa ipotesi esiste un interesse della parte civile ad impugnare ai fini civili la sentenza di condanna in punto di definizione giuridica Sez. V, sentenza n. 8577 del 26 gennaio 2001, Rv. 218427 Sez. V, sentenza n. 54303 del 4 dicembre 2002, Rv. 223769 Sez. V, sentenza n. 12139 del 14 dicembre 2011, dep. 2102, Rv. 252164 Sez. IV, sentenza n. 39898 del 3 luglio 2012, Rv. 254672 . 1.2.2. Ed invero, tra gli elementi dei quali il giudice di merito, nell’effettuare la quantificazione dei danni morali risarcibili ovvero delle sofferenze interiori che ledono l’integrità morale della persona offesa, la cui tutela, ricollegabile all’art. 2 della Costituzione, ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo provocati dal reato, deve tenere conto per rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto ed evitare che la stessa rappresenti un simulacro di risarcimento Cass. civ., Sez. un., sentenza n. 5814 del 1985, Rv. 443005 Cass. civ., Sez. III, sentenza n. 2557 del 2011, Rv. 616607 , rientra anche la gravità del reato in sé, perché suscettibile di acuire i turbamenti psichici e l’entità del paterna d’animo sofferto dalla vittima, da esso derivanti. 1.3. Va, in proposito, affermato il seguente principio di diritto Sussiste l’interesse della parte civile alla partecipazione al giudizio di legittimità instaurato a seguito di ricorso del Procuratore Generale finalizzato ad ottenere una diversa qualificazione giuridica, in pejus, del fatto-reato accertato, poiché da quest’ultima può derivare una differente quantificazione del danno morale da reato da risarcire, cui si perviene tenendo conto anche della gravità del reato, suscettibile di acuire i turbamenti psichici e dell’entità del paterna d’animo sofferto dalla vittima fattispecie riguardante la qualificazione come riciclaggio di reati qualificati in appello come ricettazione”. 2. Il ricorso di V.C. è integralmente inammissibile. 2.1. Le doglianze riguardanti l’affermazione di responsabilità sono del tutto generiche in difetto del compiuto riferimento alle argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato e/o a motivi di appello in ipotesi non valutati o mal valutati nonché manifestamente infondata, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato la contestata statuizione f. 6 ss. della sentenza impugnata . 2.1.1. D’altro canto, questa Corte, con orientamento Sez. IV, n. 19710 del 3.2.2009, rv. 243636 che il collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. doppia conforme , ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità , il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti con specifica deduzione che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice . Nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell’imputato che, in concreto, si limita a formulare in ricorso doglianze meramente assertive, prive di uno specifico contenuto. 2.2. Anche la doglianza ulteriore riguardante la mancata esclusione della recidiva è del tutto generica, perché formulata in modo esclusivamente assertivo in difetto del compiuto riferimento alle argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato e/o a motivi di appello in ipotesi non valutati o mal valutati nonché manifestamente infondata, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato la contestata statuizione, valorizzando la premessa gravità dei reiterati fatti accertati, espressione della medesima elevata capacità criminale desumibile dalla contestata recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, e pervenendo comunque ad una pena finale estremamente mite, in quanto ben lontana dai possibili limiti massimi. 2.3. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna di V.C. al pagamento delle spese processuali, nonché apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186 e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa - della somma di Euro millecinquecento in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria. 3. Il ricorso del PG è fondato. 3.1. Questa Corte ha già chiarito che il delitto di riciclaggio si distingue da quello di ricettazione in relazione all’elemento materiale, che si connota per l’idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene e all’elemento soggettivo, costituito dal dolo generico di trasformazione della cosa per impedirne l’identificazione Sez. II, n. 30265 dell’11 maggio 2017, Rv. 270302 fattispecie nella quale è stato qualificata come riciclaggio la condotta, posta in essere dall’imputato e da correi, consistente nel ricevere assegni provento di delitto, nel contraffarli quanto al nome del beneficiario, nel fare aprire a terzi conti postali con false generalità su cui versava gli assegni, con monetizzazione dei titoli e prelievo della corrispondente somma di denaro . Per realizzare la condotta di riciclaggio, non è necessario che sia efficacemente impedita la tracciabilità del percorso dei beni provento di reato, ma è sufficiente anche che essa sia solo ostacolata Sez. II, n. 26208 del 9 marzo 2015, Rv. 264368 in applicazione del principio, si è già ritenuto che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi versa denaro di provenienza illecita sul conto corrente intestato a una società fiduciaria in difetto di un formale incarico da parte del titolare della somma movimentata, poiché, in tal modo, si realizza un ostacolo alla tracciabilità del percorso dei beni provento di reato . Si è anche ritenuto che integra il delitto di riciclaggio, e non il meno grave delitto di ricettazione, la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita poiché, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con denaro pulito Sez. VI, n. 13085 del 3 ottobre 2013, dep. 2014, Rv. 259485 fattispecie relativa alla condotta di due donne che, occultando il rapporto coniugale con i capi di un sodalizio camorristico dedito al narcotraffico, avevano intestato alcuni milioni di Euro in denaro contante ad una società di gestione fiduciaria, ottenendo poi, con lo smobilizzo dell’investimento, l’emissione in loro favore di assegni circolari . Può in definitiva concludersi che integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità Sez. II, n. 1422 del 14 dicembre 2012, dep. 2103, Rv. 254050 fattispecie attinente al versamento da parte dell’imputato su conti correnti intestati ai propri figli di n. 99 assegni circolari provento di truffa . 3.2. Ciò premesso in diritto, appare evidente che la Corte di appello, avendo accertato in relazione ai fatti contestati sub B. D. ed E. il compimento da parte degli imputati di operazioni all’evidenza consapevolmente volte ad impedire in modo definitivo, o comunque a rendere difficile l’accertamento della provenienza delle somme di denaro in oggetto come osservato dal PG ricorrente, detta finalità era realizzata proprio procedendo ad aprire libretti di risparmio o conti correnti intestati a persone di fantasia o inconsapevoli dell’operazione, utilizzando peraltro documenti di identità falsi. In tal modo le somme provento di truffa venivano rese utilizzabili da parte degli imputati dopo essere transitate su conti non sospetti, con la conseguenza che, mediante detto meccanismo, alle somme provento di delitto si sostituivano gli importi concretamente erogati dalla banca, rendendo particolarmente difficile l’identificazione dell’origine del denaro e riuscendo a realizzare lo scopo principe dell’operazione illecita, ovvero la ripulitura mediante sostituzione del denaro sporco , ovvero di illecita provenienza , non si è correttamente conformata al pacifico orientamento di questa Corte in tema di distinzione tra riciclaggio e ricettazione. 3.3. Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio, riguardante la qualificazione giuridica dei fatti accertati di cui ai capi B. in esso assorbito quello di cui al capo C. - D. - E. e le statuizioni consequenziali in considerazione della previsione per il riciclaggio di un trattamento sanzionatorio più severo , che andrà condotto conformandosi al seguente principio di diritto integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni consapevolmente volte ad impedire in modo definitivo, od anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità tra di esse rientra la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita poiché, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con denaro pulito . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso di V.C. , che condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro millecinquecento alla Cassa delle ammende. In accoglimento del ricorso del P.G. presso la Corte di appello di Napoli, annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio. Spese della parte civile al definitivo.