Presidente “testa di legno” e amministratore non operativo: i confini della responsabilità per bancarotta

Integra il delitto di bancarotta la condotta del consigliere di amministrazione di società di capitali che abbia omesso di esercitare il controllo sulla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, essendo a tal fine irrilevante la circostanza che questi sia stato in carica per un breve periodo o che non abbia avuto deleghe operative o, ancora, che la società fosse dotata di un collegio sindacale, dal momento che l’accettazione della carica di consigliere comporta in ogni caso l’assunzione di doveri di vigilanza e di controllo di cui all’art. 2932, c.c

Lo ha stabilito la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 52571, depositata in cancelleria il 17 novembre 2017. Società fallita per bancarotta. Nel caso concreto il Giudice per le Indagini Preliminari, in sede di rito abbreviato, ha condannato per varie fattispecie di bancarotta il socio/presidente del CdA e altro socio/componente del medesimo CdA di una società fallita. Ai due imputati è stato rimproverato di aver cagionato il fallimento dell’ente in ragione dell’inosservanza sistematica degli obblighi di vigilanza e controllo posti a loro carico dalle leggi amministrative fiscali e previdenziali, pure culminata nel mancato pagamento di ingenti debiti erariali e previdenziali , per quasi 800 mila euro. La condanna, dopo essere stata confermata in sede di appello, è stata da ultimo portata all’attenzione della Suprema Corte. In questa sede la difesa ha reiterato le censure contro l’accertamento svolto dai Giudici di merito circa la riconducibilità, nel caso di specie, dello stato di dissesto finanziario al concreto ruolo/operato del presidente e del consigliere, sottolineando la forte ingerenza di amministratori di fatto” ai quali, in verità, dovevano essere ricondotte tutte le scelte gestionali e strategiche della società. Più precisamente, il presidente ha inter alia evidenziato di aver rivestito la carica solo formalmente e per un periodo relativamente breve mentre il consigliere ha, da parte sua, addotto di aver svolto il ruolo di amministratore non operativo”, privo di deleghe, limitato al mero controllo dei dati forniti dall’organo delegato. La responsabilità dei ruoli formali della governance societaria. Non uno degli argomenti difensivi hanno trovato l’apprezzamento del Palazzaccio. Con la sentenza in epigrafe, i Giudici di legittimità ribadiscono importanti principi in tema di reati fallimentari, con particolare riguardo alla responsabilità degli amministratori da condotta omissiva. Come noto, in tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, L.F. possono atteggiarsi a compimento di qualsivoglia atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa, ivi compresa la condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa, quale - a titolo esemplificativo - il mancato versamento di contributi previdenziali o il mancato pagamento di debiti verso l’erario, con carattere di sistematicità che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali rende prevedibile il conseguente dissesto della società. In merito, la Cassazione ha affermato che integra il delitto di bancarotta la condotta del consigliere di amministrazione di società di capitali che ometta di esercitare il controllo sulla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, a nulla rilevando la circostanza che questi sia stato in carica per un breve periodo o che non abbia avuto deleghe operative o, ancora, che la società fosse dotata di collegio sindacale, dal momento che l’accettazione della carica di consigliere comporta l’assunzione di doveri di vigilanza e di controllo di cui all’art. 2932, c.c Inoltre - ricordano i Giudici - il componente del consiglio di amministrazione risponde, in concorso, di bancarotta impropria per mancato impedimento del reato anche laddove sia consapevolmente omesso di acquisire tutte le informazioni necessarie all’assolvimento del suo mandato art. 40, comma 2, c.p. . L’amministratore di fatto” non elide la responsabilità dell’amministratore di diritto”. Sulla rilevanza, in concreto, del ruolo assunto dai singoli nell’ambito della società, si precisa che l’amministrazione risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale, anche laddove sia investito - solo formalmente - dell’amministrazione della società fallita secondo il noto schema della cd. testa di legno” . Su quest’ultimo, infatti, sussiste il diretto e personale obbligo di tenere e conservare le predette scritture, sicché non può andare indenne da responsabilità laddove sia fornita prova sulla effettiva e concreta consapevolezza del loro stato impediente alla ricostruzione del movimento degli affari. L’elemento soggettivo il dolo generico, anche eventuale. Infine, relativamente all’elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta documentale generica i.e. il dolo generico , la Cassazione spiega che esso si risolve nella consapevolezza che la confusa e caotica tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio o del movimento degli affari . In tal senso, è dunque sufficiente la consapevolezza che la disordinata o inesistente tenuta dei libri e delle scritture contabili sia suscettibile di produrre lo stato di decozione finanziaria della società. Al pari, in caso di commissione di operazioni dolose, non è richiesta la volontà diretta di provocare lo stato di insolvenza della società, essendo sufficiente la coscienza e volontà dell’operazione che, concretizzandosi in abuso o infedeltà della carica ricoperta ovvero in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute della società, dà luogo per l'appunto a decozione. Ne discende che l’elemento soggettivo, in entrambe le fattispecie, può presentarsi nella forma del dolo eventuale - affatto incompatibile con il dolo generico - configurabile ogni volta in cui all’omesso svolgimento da parte di un soggetto dell’attività di controllo demandatagli dalla legge, si accompagni l’accettazione del rischio che, a causa della sua condotta omissiva, si verifichi l’evento lesivo oggetto di tutela da parte dell’ordinamento, i.e. la bancarotta fraudolenta o il fallimento. Su queste basi, la Cassazione ha confermato la condanna inflitta ai due ricorrenti, muovendo - anche per quanto concerne l’elemento psicologico - da alcuni indici di responsabilità ben emarginati dai giudici di merito tra cui l’omessa tenuta dei libri inventari, la mancanza di dettaglio di magazzino nei libri inventari, le vistose anomalie nella valorizzazione delle rimanenze finali nei bilanci societari, la sistematica omissione di versamenti previdenziali ed erariali, etc. , tali da escludere un giudizio di mera trascuratezza colposa” da parte degli imputati.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 6 giugno – 17 novembre 2017, numero 52571 Presidente Fumo – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Milano, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato alle pene, principali ed accessorie, ritenute di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, tra gli altri, N.L. e P.S. , in ordine ai delitti ex artt. 110, c.p., 223, co. 1 e 2, 2 numero 2, in relazione all’art. 216, comma 1 numero 1 e numero 2, 219, comma 1 e 2 numero 1, l. f., loro in rubrica ascritti, in relazione al fallimento della omissis s.r.l. in liquidazione , assolveva tutti gli imputati dal reato di cui al capo A/1.2 , per non aver commesso il fatto assolveva, altresì, N.L. dal reato di cui al capo A.2 , limitatamente all’addebito sub 2.1. per non aver commesso il fatto la P. dal reato di cui al capo A.2 , limitatamente all’addebito relativo al rimborso soci/c finanziamenti per Euro 47.230,07, di cui al punto sub 2.1 , per non aver commesso il fatto, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso la sentenza del giudice dell’appello, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti imputati, gli imputati N.L. e P.S. , a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, articolando diversi motivi. 2.1. Il N. , in particolare, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, rilevando, in relazione al reato di cui al capo numero 2, una contraddizione tra la premessa del ragionamento fattuale del giudicante in ordine alla totale estraneità dell’imputato alla gestione di fatto, contabile ed economico-finanziaria della società posta invece in capo a N.G. ed a T.P. , e la conclusione cui perviene la stessa corte territoriale nell’affermare la responsabilità del ricorrente per il reato di cui si discute, sul presupposto di una volontaria e consapevole abdicazione ai doveri di controllo della carica rivestita nella piena consapevolezza che la frammentaria e incompleta contabilità avrebbe impedito la ricostruzione del patrimonio , senza peraltro addurre alcun argomento a sostegno della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato con riguardo al reato di cui al capo numero 3, il ricorrente deduce che l’imputazione così come strutturata si configurerebbe come una vuota formula di stile meramente ripetitiva della dizione letterale dell’art. 223 comma 2 numero 2, l.f., senza chiarire il necessario nesso causale tra le singole operazioni ascrivibili all’imputato e descritte come dolose ed il fallimento della società. In particolare, secondo il ricorrente, anche con riguardo a tale imputazione, non potrebbe esser attribuita allo stesso una condotta integrante la fattispecie in relazione al periodo di tempo in cui ha rivestito il ruolo di amministratore, in quanto in tale periodo i debiti erariali e previdenziali erano esigui e rientravano nella normale condizione di crisi di liquidità di un’impresa inoltre, la nozione di operazioni dolose implica l’accertata infedeltà delle funzioni ovvero la dimostrata violazione dei doveri discendenti dal rapporto organico con la società, situazioni, queste, che mancherebbero totalmente nel caso di specie. Anche con riferimento al menzionato capo d’imputazione, il ricorrente lamenta l’apparenza e l’illogicità della motivazione del giudice dell’appello, nonché la sua contraddittorietà con la restante parte motiva della sentenza, sottolineando come tanto il giudice di primo grado, quanto la corte d’appello abbiano riconosciuto che altre fossero le persone che effettivamente e materialmente gestivano la compagine ed operavano per la società , sicché la posizione dell’imputato appare quella di una mera testa di legno, in capo al quale, a tutto voler concedere, avrebbe potuto residuare una responsabilità ex art. 40, cpv., c.p., per mancato impedimento delle conseguenze della condotta dell’amministratore di fatto, senza tacere che anche questa residua ipotesi di responsabilità avrebbe richiesto un rigoroso accertamento sul versante dell’elemento soggettivo del reato volto a raggiungere la prova della piena consapevolezza dell’amministratore di diritto in ordine ai disegni criminosi perseguiti dall’amministratore di fatto, indagine che sul punto comunque non risulta essere stata minimamente svolta violazione di legge e vizio di motivazione vengono del pari dedotti dal ricorrente, in ordine al mancato riconoscimento, in suo favore, della circostanza attenuante ex art. 114 c.p., invocata dalla difesa, atteso che come risulterebbe dalla vicenda e dalla ricostruzione dei fatti operata dallo stesso giudicante, il contributo causale apportato dalla condotta del N. si configurerebbe come assolutamente modesto, al punto che la sua condotta avrebbe potuto esser addirittura avulsa, senza apprezzabili conseguenze pratiche, dalla serie causale produttiva dell’evento. 2.2. La P. lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la corte territoriale ha erroneamente affermato la responsabilità dell’imputata, senza considerare che quest’ultima, all’interno della società fallita, rivestiva la qualifica di amministratrice non operativa, priva di deleghe, sulla quale gravava un mero dovere di controllo relativo ai dati forniti dall’organo delegato. Sicché la colpevolezza della P. si sarebbe dovuta fondare sulla presenza di segnali precipui e peculiari in ordine all’evento illecito e sull’accertamento del grado di anormalità di questi sintomi non in via assoluta ma in relazione alla sua qualifica di amministratore non operativo, secondo i principi propri della responsabilità dolosa per non aver impedito l’evento, ma, conclude, sul punto, la ricorrente, nessuna valutazione in tal senso è stata effettuata dai giudici di merito. L’imputata evidenzia, altresì, l’illogicità della motivazione, atteso che la corte territoriale, da un lato, ha escluso la competenza e la conoscenza da parte dell’imputata circa la gestione delle aziende dall’altro, ha fondato l’affermazione di responsabilità sul rilievo che la natura macroscopica delle irregolarità contabili riscontrate sarebbe stata tale da non poter essere ignota all’imputata e quindi implicitamente voluta, sia pure nella forma del dolo eventuale, sulla base, dunque, di una doppia presunzione e di conoscenza e di accettazione - tramite la propria condotta omissiva - dell’evento delittuoso. Con riferimento al reato di cui al capo A3 , la ricorrente ripropone le medesime doglianze, per un verso, rilevando come la corte territoriale, nel ritenere provato che l’inosservanza sistematica degli obblighi posti a carico degli amministratori da leggi amministrative, fiscali e previdenziali, abbia causato o comunque aggravato il dissesto della società fallita, ponendosi come concausa del dissesto stesso, non ha fornito alcuna giustificazione circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, in capo alla P. per altro verso lamentando la mancata valutazione del concreto e reale ruolo svolto da quest’ultima rispetto alle scelte gestionali dell’impresa, dal momento che il compendio probatorio basato soprattutto sulle relazioni del curatore fallimentare, rappresenta un’assoluta estraneità dell’imputata ai fatti in contestazione, nonché ribadendo l’illogicità della motivazione della sentenza del giudice di appello, che, pur riconoscendo la mancanza di competenza e di conoscenza da parte dell’imputata in ordine alla gestione aziendale, finisce con il ritenerla colpevole dei reati contestati, sulla base della natura macroscopica delle irregolarità contabili riscontrate. 3. Entrambi i ricorsi vanno rigettati. 4. Preliminarmente occorre rilevare che entrambi i ricorrenti, all’esito della decisione della corte territoriale, sono stati ritenuti responsabili solo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo A2, numero 2 , e del reato di cui al capo numero 3 , per avere cagionato il fallimento della società, attraverso il mancato pagamento di ingenti debiti erariali e previdenziali, per un ammontare complessivo di Euro 784.222,00, in qualità, il N. , di socio e presidente del consiglio di amministrazione la P. di socio e componente del consiglio di amministrazione della società fallita. Tanto premesso non appare revocabile in dubbio che la qualifica rivestita da entrambi gli imputati giustifica l’affermazione di responsabilità nei loro confronti. Come affermato, infatti, da un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, da un lato, integra il reato di bancarotta la condotta del consigliere di amministrazione di società di capitali che abbia omesso di esercitare il controllo sulla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, essendo irrilevante che sia stato in carica per un breve periodo, che non abbia avuto deleghe operative e che la società fosse dotata di collegio sindacale, in quanto l’accettazione della carica di consigliere di amministrazione comporta comunque l’assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo di cui all’art. 2932 cod. civ cfr. Cass., sez. V, 29.10.2015, numero 4791, rv. 265802 dall’altro, il componente del consiglio di amministrazione risponde del concorso nella bancarotta impropria per mancato impedimento del reato anche quando egli sia consapevolmente venuto meno al dovere di acquisire tutte le informazioni necessarie all’espletamento del suo mandato cfr. Cass., sez. V, 29.3.2012, numero 23091, rv. 252803 . Siffatto orientamento giurisprudenziale, peraltro, si inserisce in un consolidato alveo interpretativo, secondo cui in tema di reati fallimentari l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale, anche laddove sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita cosiddetta testa di legno , in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 19.2.2010, numero 19049, rv. 247251 Cass., sez. V, 30.10.2013, numero 642, rv. 257950 . Va, inoltre, rilevato che, con riferimento ad entrambe le fattispecie delittuose innanzi indicate, nessuna specifica contestazione, degna di nota è stata mossa in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo dei reati di cui si discute i rilevi del N. sulla contestazione di cui al capo numero 3, essendo del tutto generici e di natura eminentemente fattuale , profilo sul quale, peraltro, la corte territoriale si sofferma specificamente, con articolato argomentare, in relazione al quale ritiene il Collegio di dovere solo ribadire l’orientamento da tempo formatosi nella giurisprudenza di legittimità, alla luce del quale in tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma secondo numero 2, l.f., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa, come il mancato versamento dei contributi previdenziali al quale va assimilato il mancato pagamento dei debiti erariali con carattere di sistematicità, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rende prevedibile, come nel caso in esame, il conseguente dissesto della società cfr. Cass., sez. V, 29.11.2013, numero 12426, rv. 259997 Cass., sez. V, 15.5.2014, numero 29586, rv. 260492 Cass., sez. V, 25.9.2014, numero 47621, rv. 261684 . Pertanto rimane da affrontare, a questo punto, il profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo dei delitti di cui si discute, che, nella fattispecie della bancarotta fraudolenta documentale generica oggetto di contestazione, si atteggia in termini di dolo generico, consistente nella consapevolezza che la confusa e caotica tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio o del movimento degli affari, non richiedendosi che la volontà sia indirizzata ad impedire queste conoscenze, bastando la consapevolezza che la disordinata o inesistente tenuta dei libri e delle scritture contabili sia suscettibile di produrre quel risultato cfr. Cass., sez. V, 11.5.2001, numero 31356, rv. 220167 Cass., sez. V, 11.5.2005, numero 22109, V. così come nel reato di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose, in relazione al quale non è richiesta la volontà diretta di provocare lo stato di insolvenza della società essendo sufficiente la coscienza e volontà dell’operazione, che, concretizzandosi in abuso od infedeltà della carica ricoperta ovvero in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute della società, dà luogo a decozione cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 17.12.1997, numero 2413, rv. 209934 Cass., sez. V, 16.12.1998, numero 2905, rv. 212613 . Di conseguenza l’elemento soggettivo in entrambi i reati può presentarsi anche nella forma del dolo eventuale, come è noto compatibile con il dolo generico, configurabile in tutti quei casi in cui l’omesso svolgimento da parte di un soggetto dell’attività di controllo demandatagli dalla legge, si accompagni all’accettazione del rischio che, a causa della sua condotta omissiva, si verifichi l’evento lesivo oggetto di tutela da parte della norma penale la bancarotta fraudolenta documentale cfr. Cass., sez. V, 21.11.1989, numero 5927, P. ovvero il fallimento cfr. Cass., sez. V, 11945/1999 Cass., sez. I, 13.12.2007, numero 3942, rv. 238367 . Sotto questo profilo i rilievi difensivi sono infondati, in quanto la corte territoriale, in relazione ad entrambe le fattispecie, ha dedotto il dolo da specifiche circostanze di fatto tra cui si segnalano, per la loro importanza, l’omessa tenuta dei libri inventari la mancanza di dettagli di magazzino nel libro inventari 2007 e le vistose anomalie nelle valorizzazioni delle rimanenze finali nei bilanci societari la sistematica omissione dei versamenti previdenziali ed erariali l’altrettanto sistematica violazione dei doveri di verifica sulla regolare tenuta della contabilità e di vigilanza, connessi alla veste formale rivestita dagli imputati, che hanno consentito l’ingerenza di terzi, formalmente estranei all’organo amministrativo, nella gestione sociale , ritenute, con logico argomentare, incompatibili con una semplice ipotesi di trascuratezza colposa, in quanto sintomatiche, piuttosto, di una condotta dolosa, quanto meno in termini di dolo eventuale. Nel resto i ricorsi sono fondati su motivi di natura meramente fattuale, con i quali i ricorrenti propongono un’inammissibile rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede di legittimità. 5. Infondato, infine, deve ritenersi anche il secondo motivo del ricorso del N. . Ed invero l’attenuante della partecipazione di minima importanza al reato art. 114 c.p. non può trovare applicazione sulla base della semplice graduazione della gravità delle condotte, ma comporta un esame dell’apporto causale delle condotte stesse sotto tale profilo la condotta di colui che, come il N. , ha ricoperto il ruolo formale di presidente del consiglio di amministrazione della società ed in tale veste ha omesso qualsiasi controllo, non solo favorisce la commissione di condotte di reato, ma anche fornisce un contributo essenziale ed indefettibile per la realizzazione delle condotte criminose in contestazione e non può, quindi, essere qualificata in termini di contributo minimo, cioè di efficacia causale così limitata rispetto all’evento da risultare accessorio nel generale quadro del percorso criminoso di realizzazione del reato cfr. Cass., sez. V, 06/07/2011, numero 40092, rv. 251121 Cass., sez. VI, 24/11/2011, numero 24571, rv. 253091 . 7. Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi vanno rigettati con condanna di ciascuno dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, c.p,p., al pagamento delle spese del procedimento, nonché alla rifusione, in favore della parte civile costituita omissis s.r.l. in liquidazione , delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in complessivi Euro 3000,00, oltre accessori come per legge. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al rimborso delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3000,00, oltre accessori come per legge.