L'assoluzione dell’imputato non sempre esclude la condotta colposa

L’imputato veniva assolto dal reato di pornografia minorile, ma i Giudici non accoglievano la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione. La Cassazione è chiamata a valutare l’incidenza della condotta colposa dell’accusato per la concessione dell’indennizzo.

Sul punto la Cassazione con sentenza n. 51747/17 depositata il 14 novembre. Il caso. La Corte d’Appello aveva rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione presentata dall’appellante, il quale era stato assolto nel procedimento penale per l’insussistenza del reato ascrittogli. Nel procedimento penale l’appellante era accusato di pornografia minorile ex art. 600- ter c.p. per aver detenuto e commerciato, in concorso con altri, alcuni files multimediali a contenuto pedopornografico. Secondo la Corte territoriale, nonostante l’esclusione del reato, la condotta gravemente colposa dell’appellante, il quale aveva scaricato ed effettuato ricerca su Internet di materiale pedopornografico, era ostativa al riconoscimento del diritto azionato. Avverso la decisione della Corte d’Appello ha proposto ricorso in Cassazione l’appellante. Condotta colposa e riparazione per ingiusta detenzione. Il ricorrente ha osservato che la Corte territoriale per escludere il diritto alla riparazione avrebbe considerato solo gli elementi che avevano fondato la custodia cautelare e non i diversi elementi, emersi successivamente, che dimostravano che il ricorrente aveva inconsapevolmente scaricato il materiale pedopornografico. La S.C. ha premesso che ai fini de riconoscimento dell’indennizzo può prescindersi dalla sussistenza di un errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia strutturale tra custodia e assoluzione, o quella funzionale tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto . Corte Cass. n. 51779/13 . Inoltre, secondo la Corte, la condotta colposa che determina il provvedimento cautelare restrittivo della libertà può essere posta in essere anche prima dell’inizio del procedimento penale. Di conseguenza la valutazione circa la gravità di tale condotta da parte del giudice deve essere distinta dalla responsabilità penale dell’imputato che emerga evenutalmente nel corso del procedimento. Infine la S.C. ha affermato che spetta al giudice in piena autonomia la valutazione circa la possibilità che la condotta tenuta dal richiedente abbia contribuito a confondere l’autorità procedente circa la configurabilità dell’illecito penale dando luogo alla detenzione cautelare. In ragione di ciò la Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al risarcimento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, ordinanza 8 – 14 novembre 2017, n. 51747 Presidente Romis – Relatore Capello Ritenuto in fatto 1. La Corte d’Appello di Bari ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione presentata nell’interesse di M.P. , con riferimento al procedimento penale che l’ha visto imputato per il reato di cui agli artt. 81, 110, 600 ter, 600 sexies cod. pen., per avere, in concorso con altri, commerciato e detenuto a fine di farne commercio, nonché distribuito, divulgato, diffuso, anche per via informatica e telematica, numerosi files mutlimediali a contenuto pedopornografico materiale realizzato con l’utilizzazione di numerosi minori anche di età inferiore a cinque anni , reato dal quale egli era stato assolto nel merito perché il fatto non sussiste. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il M. , a mezzo di proprio difensore, deducendo erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 314 cod. proc. pen., per avere la Corte territoriale seguito un’interpretazione della condizione negativa troppo ampia e tale da svuotare il requisito della gravità della colpa, oltre alla assoluta carenza di motivazione in ordine a quest’ultima, la cui valutazione sarebbe dipesa da una parziale lettura degli elementi emersi nel procedimento e dal travisamento dei fatti. In particolare, quanto al primo motivo, la difesa osserva che la Corte territoriale avrebbe valorizzato unicamente gli elementi che avevano fondato il titolo cautelare, omettendo di considerare quelli emersi dall’interrogatorio dell’indagato e successivamente ribaditi, secondo cui i files incriminati erano stati scaricati inconsapevolmente a causa dell’utilizzo di programmi eMule aventi ben altro contenuto, non avendo mai ricercato video pedopornografici ed avendo eliminato quelli trovati, non appena resosi conto dell’accaduto, neppure avendo realizzato che aveva nell’occorso, inconsapevolmente, scaricato una porzione del file incriminato, peraltro già impostato in modalità file sharing, non avendo alcuna competenza informatica. Sotto altro profilo, la parte ricorrente ha rilevato che la colpa grave rilevante per escludere il diritto all’indennizzo non può comprendere la totale inconsapevolezza di compiere un reato, ma deve concretizzarsi in una condotta che secondo l’id quod plerumque accidit, sia foriera di comportamenti illeciti. Quanto al secondo motivo, la difesa rileva che il M. non si avvalse della facoltà di non rispondere, ammettendo di avere, celibe e singie, visto qualche volta dei video pornografici, ma mai utilizzato parole chiave come lolita e young boys come chiavi di ricerca, il file incriminato essendo stato scaricato automaticamete con il programma eMule, circostanze acclarate dalle perizie tecnico-informatiche. Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato. 2. La Corte territoriale ha ravvisato la condotta gravemente colposa ostativa al riconoscimento del diritto azionato nell’avere il M. scaricato da Internet materiale pedopornografico, effettuando ricerche nel web mediante l’utilizzo di parole chiave a chiaro contenuto pedopornografico come lolita e young boys , restando irrilevante che ciò sia avvenuto, secondo la tesi difensiva, per errore. Egli avrebbe, pertanto, colposamente corso il rischio di ingenerare l’erronea convinzione della A.G. dell’esistenza di un grave quadro indiziario legittimante l’adozione della misura custodiale, trattandosi di un fatto di particolare allarme sociale, la cui contrarietà all’ordinamento è conosciuta e conoscibile da tutti i consociati. 3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. 3.1. Deve, intanto, precisarsi, in linea generale, che - ai fini del riconoscimento dell’indennizzo che ci occupa - può prescindersi dalla sussistenza di un errore giudiziario , venendo in considerazione soltanto l’antinomia strutturale tra custodia e assoluzione, o quella funzionale tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi ingiusta , in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto cfr. Sez. U. n. 51779 del 28/11/2013, Rv. 257606 . Il Supremo Collegio ha peraltro chiarito che la condotta colposa a cui consegue l’emissione del provvedimento restrittivo della libertà può essere posta in essere, al pari della condotta dolosa, anche prima dell’inizio del procedimento penale , dovendosi respingere la tesi secondo cui la colpa grave potrebbe ravvisarsi solo in relazione alla condotta processuale dell’interessato, e cioè al contegno da lui assunto dopo la conoscenza del procedimento penale a proprio carico cfr. in motivazione Sez. U., n. 32383 del 27/05/2010, Rv. 247664 . Quel giudice ha pure aggiunto, con riferimento alla gravità della colpa e alla sua incidenza causale, tema direttamente chiamato in causa dal tenore dei motivi di ricorso, che il il giudice di merito deve, in modo autonomo e completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione con particolare riferimento alla sussistenza di comportamenti, anteriori e successivi alla perdita della libertà personale, connotati da eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fondando la deliberazione conclusiva non su mere supposizioni ma su fatti concreti e precisi, che consentano di stabilire, con valutazione ex ante, se la condotta tenuta dal richiedente abbia ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa apparenza della configurabilità della stessa come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto richiama, in sentenza, Sez. U. n. 34599, de Benedictis, Rv. 222263 . 3.2. Così precisato che, ai fini della valutazione circa la sussistenza della condizione negativa in argomento, non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare, pur nell’errore dell’autorità procedente, quel grave quadro indiziante un suo coinvolgimento negli illeciti oggetto d’indagine, deve intanto osservarsi, quanto al primo motivo, che parte ricorrente ha dedotto l’inosservanza o erronea applicazione della legge art. 314 cod. proc. pen. , lamentando genericamente che la Corte avrebbe adottato un’interpretatizione del concetto di colpa grave ostativa, sì ampia da determinarne la sovrapponibilità alla gravità indiziaria legittimante il titolo custodiale, svolgendo quindi argomentazioni con le quali ha attaccato però la motivazione della sentenza, che assume erronea e contraddittoria, utilizzando peraltro argomenti che ripropone in sede di sviluppo del secondo motivo. 3.3. Tale secondo motivo è, peraltro, infondato. Con esso, la parte propone in questa sede una diversa lettura degli elementi fattuali, non esclusi nella sentenza assolutoria vale a dire la circostanza che sia stata rinvenuta la traccia informatica del file incriminato nel computer del M. e che risultino digitalizzate le parole chiave a contenuto chiaramente evocativo di materiale pedopornografico , e certamente utilizzabili dal giudice della riparazione ai fini del vaglio di merito proprio del procedimento che ci occupa, avendo quel giudice pure rilevato che la materialità della condotta aveva ricevuto un avallo in sede penale, ove tuttavia non si era acquisita certezza sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, quale volontà specifica di procurarsi materiale pedopornografico. 4. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.