La quantità di droga detenuta ai fini di spaccio influisce sulla lieve entità del reato?

La Suprema Corte si esprime in tema di detenzione di sostanze stupefacenti. In particolare la ricorrente richiede in Cassazione la riqualificazione del reato ritenendo che il suo comportamento sia riconducibile alla fattispecie di lieve entità.

Sul tema la Cassazione con sentenza n. 51577/17, depositata il 13 novembre. Il caso. La Corte d’Appello di Venezia aveva confermato la decisione di condanna dell’imputata per il reato di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990. Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione la condannata, lamentando che la fattispecie criminosa a lei attribuita non fosse stata qualificata entro l’ambito del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990. Fattispecie penale autonoma della lieve entità del reato. La Corte ha premesso che secondo consolidato principio, a seguito delle varie modifiche, la disposizione di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 è stata elevata da fattispecie circonstanziata di un preesistente reato base a fattispecie penale autonoma. Inoltre ai fini dell’individuazione della fattispecie di lieve entità – sia allorché questa costituiva un’ipotesi attenuata sia ora che essa è assunta al rango di autonoma fattispecie delittuosa – il giudice è tenuto a valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, vuoi quelli concernenti l’azione, vuoi quelli che attengono all’oggetto materiale del reato, dovendo, conseguentemente, essere esclusa la qualificazione del fatto nell’ambito di quelli più mitemente sanzionati, ogni qual volta anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità”. Rilevanza della quantità di stupefacenti. Secondo la S.C. non può rilevare l’argomentazione della ricorrente secondo cui non era stata fornita adeguata dimostrazione del fatto che la stessa non fosse consapevole dell’entità ponderale dello stupefacente. Infatti è requisito necessario per la qualificazione della fattispecie come lieve entità che il fatto addebitato, a prescindere dagli elementi soggettivi, sia caratterizzato oggettivamente da minima offensività. Dalla valutazione delle Corte territoriale emerge che la quantità di stupefacente detenuta dall’imputata era tale da permettere la distribuzione di una considerata quantità di dosi giornaliere ad eventuali consumatori finali. In ragione di ciò, la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione attribuita al reato contestato non fra quelli caratterizzati dalla minima offensività. Per questi motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 marzo – 13 novembre 2017, n. 51577 Presidente Rosi – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Venezia, con sentenza del 26 giugno 2015 ha confermato la decisione con la quale, il precedente 16 giugno 2006, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Treviso, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato A.T. , concesse in suo favore le circostanze attenuanti generiche, alla pena ritenuta di giustizia, avendola riconosciuta responsabile, in concorso con il figlio S.V. , della violazione dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990, per avere detenuto, per uso diverso da quello personale, gr. 45,833 di cocaina. Ha proposto ricorso per cassazione la prevenuta, in proprio, contestando la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione di legge e della omessa motivazione, per avere la Corte di merito escluso la ricorrenza della ipotesi di cui al comma 5 del citato art. 73. Ha osservato, infatti, la ricorrente che, una volta elevata la fattispecie di cui al comma 5 ad autonoma ipotesi di reato, ove si ritenga di dovere escludere siffatta ipotesi in relazione alla entità ponderale dello stupefacente, tale da escludere la sussistenza della fattispecie di lieve entità, dovrebbe essere fornita la prova da parte della pubblica accusa della consapevolezza da parte dell’imputato della quantità dello stupefacente, non potendo tale elemento, in assenza di siffatta prova, essere valutato a carico dell’imputato inconsapevole. Considerato in diritto Il ricorso, essendone risultato infondato il motivo posto a sostegno, deve essere, pertanto, rigettato. Va premesso che la ricorrente si duole del fatto che la fattispecie criminosa a lei attribuita non sia stata qualificata, con le conseguenti ricadute in termini di dosimetria sanzionatoria nonché, con specifico riferimento al presente caso, anche alla eventuale estinzione del reato contestato per effetto della sua prescrizione , entro l’ambito di cui all’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990. In particolare la A. lamenta che, dovendo riqualificare il fatto di lieve entità non più come ipotesi attenuata delle fattispecie base - disciplinate dai precedenti commi dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990 - ma come reato autonomo, la Corte territoriale veneta, per escludere la ricorrenza di siffatta meno grave ipotesi delittuosa, avrebbe dovuto svolgere una accurata indagine in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo in capo alla ricorrente in relazione ai fattori che, incidendo negativamente sulla fattispecie, impediscono che la stessa sia qualificabile fra quelle di lieve entità ai sensi del ricordato comma 5 dell’art. 73 citato. La illustrata impostazione della ricorrente è infondata, in quanto minata da un vizio di base. Onde dimostrare quanto sopra è il caso di ribadire, per un verso, l’ormai consolidato principio, che peraltro costituisce il presupposto logico da cui prendono le mosse le stesse argomentazioni svolte dalla ricorrente, secondo il quale, a seguito delle modifiche ad essa apportate - da ultimo con la entrata in vigore della legge n. 79 del 2014 la quale ha convertito, con modificazioni in legge il decreto legge n. 36 del 2014 - la fattispecie di cui al comma 5 del più volte citato art. 73 del dPR n. 309 del 1990 è stata elevata da fattispecie circostanziata di un preesistente reato base a fattispecie penale autonoma cfr. ex permultis Corte di cassazione Sezione VI penale, 12 dicembre 2016, n. 52577 idem Sezione III penale, 10 novembre 2016, n. 47301 e, per altro verso, l’altrettanto consolidato principio secondo il quale, ai fini della individuazione della fattispecie di lieve entità - sia allorché questa costituiva un’ipotesi attenuata sia ora che essa è assunta al rango di autonoma fattispecie delittuosa - il giudice è tenuto a valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, vuoi quelli concernenti l’azione mezzi, modalità e circostanze della stessa , vuoi quelli che attengono all’oggetto materiale del reato quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa , dovendo, conseguentemente, essere esclusa la qualificazione del fatto nell’ambito di quelli più mitemente sanzionati, ogni qual volta anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità così, anche qui ex permultis Corte di cassazione, Sezione III penale, 27 luglio 2015, n. 32695 idem Sezione III penale, 4 giugno 2015, n. 23945 . Fatta questa premessa, rileva la Corte che la impostazione di cui si è fatta portatrice la attuale ricorrente, sconta, come dianzi osservato, un vizio di fondo essa, infatti, parte dal presupposto che la fattispecie di lieve entità costituisca ad oggi la fattispecie criminosa tipica, la quale ricorrerebbe in tutti i casi in cui non sia stata data la prova da parte della pubblica accusa sia della sussistenza che della consapevolezza da parte dell’agente della ricorrenza di almeno uno degli elementi sintomatici della non lieve entità del fatto contestato. Di tal che, in assenza di specifici elementi probatori di senso contrario, l’ipotesi ordinaria di reato sarebbe quella di cui all’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990, mentre le ipotesi di cui ai precedenti commi costituirebbero solo ipotesi residuali, le quali dovrebbero essere oggetto di specifica dimostrazione. Una tale impostazione è palesemente errata. È, infatti, evidente esattamente il contrario cioè che la ordinaria fattispecie delittuosa connessa alle condotte materiali aventi ad oggetto le sostanza stupefacenti distinte, ora - per effetto della nota sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 che ha, di fatto, ripristinato sul punto la distinzione fra cosiddette droghe pesanti e cosiddette droghe leggere anche quanto alla sensibile divaricazione del trattamento sanzionatorio, in funzione della particolare tipologia della sostanza coltivata, prodotta, coltivata etc di cui ai primi tre commi dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990, non è quella caratterizzata dalla lieve entità che è, viceversa, ipotesi caratterizzata da elementi di specialità. Per effetto di tale rilievo, osserva il Collegio, non ha pregio l’argomento svolto dalla ricorrente, secondo il quale, non essendo stata fornita una adeguata dimostrazione del fatto che la stessa non fosse consapevole della entità ponderale dello stupefacente, il reato a lei ascritto debba essere sussunto entro il paradigma normativo del comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990. Ad una tale qualificazione si può, infatti, pervenire solo nel caso in cui il fatto addebitato, nei suoi tratti oggettivi, prescindendosi cioè dall’elemento soggettivo dell’agente, addebitato sia caratterizzato da quella minima offensività che, secondo la giurisprudenza di questa stessa Corte, è requisito necessario affinché la fattispecie sia qualificabile come di lieve entità Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 luglio 2016, n. 31415 idem Sezione VI penale, 28 febbraio 2014, n. 9892 . Con riferimento al caso di specie, osserva il Collegio, la Corte territoriale ha rilevato che il dato ponderale concernente la quantità di sostanza stupefacente detenuta dalla imputata e della quale la medesima stava cercando di disfarsi comportamento questo che è evidente indice della piena consapevolezza da parte di costei della natura della sostanza in questione, posto che diversamente ella non avrebbe avuto alcuna ragione di tentare di liberarsi da essa era tale da consentire, come puntualmente indicato nella motivazione della sentenza impugnata, la preparazione di circa 175 dosi medie giornaliere. Alla luce di tale rilievo appare più che corretta la qualificazione attribuita al reato contestato non fra quelli caratterizzati dalla minima offensività, attesa la derivante possibilità per la imputata di accedere, a fini di spaccio della predetta sostanza, ad un numero assai considerevole di eventuali suoi consumatori finali, determinandosi, pertanto, una non lieve lesione del bene interesse tutelato dalla norma violata. Il ricorso va, pertanto, rigettato e la imputata va condannata, visto l’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.