Conta la capacità della pianta di produrre sostanza stupefacente

In materia di sostanze stupefacenti, ai fini della punibilità della coltivazione di piante dalle quali sono estraibili tali sostanze, l'offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente.

Lo ha ribadito la IV sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 50970/17, depositata l’8 novembre. Il principio di offensività In generale, il principio di offensività presenta criticità circa la compatibilità con i reati di pericolo. Quanto ai reati di pericolo presunto o astratto , in essi, il giudice è tenuto soltanto a verificare che il fatto storico sia conforme alla fattispecie astratta. Tali fattispecie sono modellate dal legislatore sulla base di indagini scientifiche e statistiche anche solo probabilistiche , regole d’esperienza, possibilità non remota del verificarsi di un pericolo. C’è tuttavia contraddizione fra il carattere presuntivo del pericolo e il potere-dovere del giudice di verificare che il fatto storico sia conforme alla fattispecie astratta pertanto, in relazione a tali reati, e de jure condendo , sarebbe bene configurare non l’obbligo, per l’accusa, di provare il pericolo, bensì il diritto dell’imputato di dimostrare l’assenza del pericolo attraverso una prova liberatoria. Il rischio concreto è infatti che il giudice punisce condotte prive, in concreto, della pericolosità configurata in astratto dal legislatore, in contrasto con gli artt. 24, 27, commi 1 e 2, 111 Cost Quanto ai reati di pericolo concreto, essi sono compatibili con il principio di offensività, in quanto, in essi, il giudice è tenuto a valutare, in concreto, se il pericolo si è verificato o meno. Il reato può quindi dirsi inoffensivo in caso di impossibilità di verificazione dell’evento o di inidoneità dell’azione, sempre che l’azione sia stata interamente compiuta rispetto alla fattispecie tipica. L’inidoneità è valutata ex post, tenendo conto di tutte le circostanze presenti al momento dell’azione. Altra ipotesi è quella di inesistenza assoluta dell’oggetto dell’azione ad esempio, non può esservi omicidio se l’agente si limita a far fuoco su un cadavere . Ai fini del principio in commento, l’evento di reato va inteso in senso giuridico, e dunque come offesa al bene giuridico tutelato nelle singole fattispecie. In passato, in tema di stupefacenti ed offensività, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti debba essere esclusa allorché il giudice di merito ne abbia accertata l'inoffensività in concreto. Deve cioè escludersi, per la Suprema Corte, la punibilità di quelle condotte che, pur integrando la nozione tipica, siano in concreto inoffensive ciò che può ravvisarsi nel caso in cui sia dimostrato un irrilevante aumento di disponibilità di droga per effetto della coltivazione e non sia prospettabile alcuna ulteriore diffusione della sostanza. e la capacità di produrre stupefacente. La sentenza in commento appare particolarmente interessante nella parte in cui ribadisce che, ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l'offensività della condotta non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali, neppure quando risulti l'assenza di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, se gli arbusti sono prevedibilmente in grado di rendere, all'esito di un fisiologico sviluppo, quantità significative di prodotto dotato di effetti droganti, in quanto il coltivare” è attività che si riferisce all'intero ciclo evolutivo dell'organismo biologico. Tale principio, ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, trova conferma anche in altre pronunce, fra cui le Sezioni Unite del 2008, le quali hanno stabilito che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale. Ciò in quanto è impossibile determinare ex ante ” la potenzialità drogante ricavabile dalla coltivazione, così da rendere ipotetiche e comunque meno affidabili le valutazioni in merito alla destinazione della droga all’uso personale piuttosto che alla cessione. Per converso, ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti spetta al giudice verificare in concreto l'offensività della condotta ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 5 luglio – 8 novembre 2017, numero 50970 Presidente Izzo – Relatore Bellini Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Trieste con sentenza pronunciata in data 26 Settembre 2016, in accoglimento della impugnazione del Pubblico Ministero, escludeva che la coltivazione da parte di M.A. di 17 piante di marijuana, dotate di sviluppo vegetativo di foglie con principio attivo, per circa 250 grammi, nonché di circa 220 grammi di foglie poste in essicazione e di circa 20 grammi di foglie essiccate, potesse essere ricondotta nell’alveo di cui all’articolo 73 V comma dpr. 309/90, sia in relazione al dato ponderale, sia al principio attivo rilevato e al numero di spinelli confezionabili oltre 1.800 e alla verosimile destinazione allo spaccio e pertanto, riqualificato il fatto ai sensi dell’ar.73 I comma Dpr 309/90, come da originaria contestazione, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la riduzione per la scelta del rito, rideterminava la pena in mesi dieci giorni 20 di reclusione e in Euro 2.400 di multa e al contempo disponeva la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena riconosciuto in relazione a precedente per delitto di bancarotta. 2. Avverso la suddetta pronuncia interponeva ricorso per cassazione la difesa della M. prospettando con un primo motivo difetto di motivazione per travisamento delle risultanze istruttorie in relazione alle caratteristiche dell’attività di coltivazione della marijuana e alla destinazione dello stupefacente che era da intendersi ad uso esclusivamente personale, come correttamente opinato dal giudice di primo grado, sia per l’assenza di qualsiasi indizio a sostegno di una destinazione diversa dal consumo domestico della ricorrente e del suo compagno, giudicato separatamente, sia in ragione delle stesse rudimentali caratteristiche della coltivazione i cui frutti andavano suddivisi tra due persone. 2.1 Con una seconda articolazione deduceva violazione di legge con riferimento alla intervenuta revoca della sospensione condizionale della pena per una precedente sentenza di condanna, non risultando i presupposti previsti dalla legge, non vertendosi in tema di delitti della stessa indole, nonché di ipotesi di reato anteriormente commesso a quello per cui vi era stato il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena. Considerato in diritto 1. La sentenza merita conferma con le seguenti precisazioni all’esito di una ricognizione dello stato della giurisprudenza relativa a ipotesi di coltivazione di piante idonee alla produzione di sostanza stupefacente di origine vegetale, in quantità e con potenzialità produttive di modesta offensività, in ragione della particolare esiguità del prodotto ricavabile ovvero della esclusiva destinazione dello stesso all’auto consumo del produttore. 2. Va premesso che questa Corte ha già chiarito che è condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale cfr. Sez. U. numero 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239920 in cui si fa espresso rinvio ai principi formulati dal giudice delle leggi nelle decisioni numero 360 del 1995 e numero 296 del 1996 conf. Sez. U. 24 aprile 2008, Valletta, non massimata . 4.1 Sebbene, anche successivamente a tali fondamentali arresti, sia proseguito il confronto in sede di legittimità sulla necessità per il giudice di valutare in concreto la offensività di una condotta di coltivazione domestica di stupefacente e si siano - in taluni casi - ratificate decisioni di assoluzione, anche in ipotesi di piantine in grado di produrre sostanza con effetto drogante cfr. sez. 4, numero 25674 del 17.2.2011, Rv. 250721, sez. 6, numero 33385 dell’8.4.2014, Rv. 260170 sez. 6, numero 22110 del 2.5.2013, Rv. 255733 , tuttavia, ritiene il Collegio che non possa prescindersi dai fondamentali principi formulati dalla Consulta nella sentenza numero 360 del 1995. 4.2 In quella sede, infatti, il giudice delle leggi ha riconosciuto la legittimità costituzionale della previsione di persistente illiceità penale della coltivazione, anche qualora univocamente destinata all’uso personale ed indipendentemente dalla quantità di principio attivo prodotto, essa resistendo anche alla verifica condotta ex artt. 25 e 27 Cost. alla stregua del principio di offensività, ben potendo detta condotta valutarsi come pericolosa ossia idonea ad attentare al bene della salute dei singoli per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima e quindi di creare potenzialmente più occasioni di spaccio di droga , non mancando di precisare, tuttavia, come costituisca questione meramente interpretativa, rimessa altresì al giudice ordinario, la identificazione, in termini più o meno restrittivi, della nozione di coltivazione che, sotto altro profilo, incide anch’essa sulla linea di confine del penalmente illecito”. 4.3 Sulla scorta di tale arresto, e del dictum rinvenibile nella sentenza delle Sezioni Unite del 2008, Di Salvia, si è così affermato che la coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è penalmente rilevante, a prescindere dalla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica, posto che l’attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga cfr. sez. 6 numero 51497 del 04/12/2013, Rv. 258503, in fattispecie relativa alla coltivazione di una pluralità di piantine di cannabis indica all’interno di una serra rudimentale escludendola invece qualora il giudice accerti l’inoffensività in concreto della condotta, per essere questa di tale minima entità da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa cfr. Sez. 6 numero 5254 del 10/11/2015 Ud. dep. 09/02/2016 , Rv. 265641 numero 33835 dell’08/04/2014, Rv. 260170 numero 22110 del 02/05/2013, Rv. 255733, in fattispecie in cui, rispettivamente, la S.C. ha escluso il reato per la coltivazione di due piante di canapa indiana e la detenzione di 20 foglie della medesima pianta, in presenza di una produzione che, pur raggiungendo la soglia drogante, era assolutamente minima o in cui la Corte ha ritenuto penalmente irrilevante la coltivazione di due piantine di marijuana contenenti un principio attivo inferiore al quantitativo massimo detenibile o, ancora, in cui si è esclusa l’idoneità offensiva della condotta di coltivazione domestica di tre piantine di marijuana poste in distinti vasetti e dotate di potere drogante . 4.4 Analogamente, questa stessa sezione ha ritenuto la condotta di coltivazione domestica di una piantina di canapa indiana con principio attivo pari a mg. 16 inoffensiva ex articolo 49 cod. penumero e tale da non integrare il reato di cui all’articolo 73 d.P.R. 309/90 cfr. Sez. 4 numero 25674 del 17/02/2011, Rv. 250721 , altrove precisando invece che, non essendo requisito necessario la destinazione della sostanza alla cessione verso terzi, il dato ponderale possa sì assumere rilevanza al fine di misurare la offensività della condotta, la quale però non può essere esclusa ogniqualvolta i quantitativi prodotti risultino inferiori alla dose media singola , determinata dalle tabelle ministeriali, ma soltanto quando risultino privi della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura minima, gli effetti psicotropi evocati dall’articolo 14 del d.P.R. numero 309 del 1990 cfr. Sez. 4 numero 43184 del 20/09/2013, Rv. 258095 . 4.5 Tali principi si rinvengono anche in altre pronunce, nelle quali la verifica della concreta offensività della condotta è stata parimenti tarata sulla concreta attitudine della produzione ad incrementare il mercato della droga in tal senso, cfr. sez. 3 numero 23082 del 09/05/2013, Rv. 256174 in fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto configurabile il reato relativamente alla coltivazione numero 43 piantine di cannabis - che all’atto dell’accertamento avevano un contenuto di sostanza ricavabile inferiore sia al valore di una dose singola che alla dose soglia - per la presenza di semi e di impianti di innaffiamento e riscaldamento dei locali, finalizzati a favorire la crescita e lo sviluppo della coltivazione , essendosi anche affermato che il dato ponderale può assumere rilevanza, al fine di fornire indicazioni sull’offensività in concreto della condotta, soltanto quando la sostanza ricavabile risulti priva della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura minima, l’effetto psicotropo cfr. sez. 4 numero 44136 del 27/10/2015, Rv. 264910 . 5. Ciò posto in diritto, nel caso in esame, in base alla non contestata ricostruzione fattuale operata nella sentenza censurata, risulta che la M. coltivava insieme al compagno diciannove piante di cannabis indica e che l’esame tossicologico fatto eseguire sulla sostanza vegetale sequestrata, in ragione peraltro di un non definito stadio di sviluppo vegetativo, forniva indicazioni di un principio attivo drogante di oltre 460 grammi, tali di giustificare il confezionamento di oltre 1800 spinelli. Appare del tutto corretta la valutazione operata dal giudice di merito in ordine alla esclusione della ipotesi di cui all’articolo 73 V comma Dpr 309/90. 5.1 Invero secondo quanto evidenziato dal giudice di appello, in sintonia con quanto indicato nella rassegna giurisprudenziale sulla vexata quaestio, la coltivazione non poteva certamente ritenersi minimale e di modesto disvalore sociale, sia per quanto attiene alle caratteristiche della produzione impiantata, sia in ragione dello sviluppo vegetativo non ancora giunto al suo apice, laddove la giurisprudenza di legittimità è invero concorde nel ritenere che la offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nella immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto per la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente sez. IV, 23.11.2016, PG in proc. Trabanelli, Rv. 268695 soprattutto quando gli arbusti sono prevedibilmente in grado di rendere, all’esito di un fisiologico sviluppo, quantità significative di prodotto drogante sez. VI, 20.2.2016, Tamburini, Rv. 266513 22.11.2016, Losi, Rv. 268938 10.5.2016, PG in proc. Iaffaldano, Rv. 266974 , cosicché la offensività deve essere esclusa soltanto quando la sostanza ricavabile risulti priva della capacità di esercitare, anche in misura minima, effetto psicotropo sez. III, 23.2.2016, Damioli, Rv. 267382 . 6. L’offensività della condotta, pertanto, alla luce dei principi elaborati dalle Sezioni Unite di questa Corte e dell’orientamento di legittimità che a quelli si riporta, come ritiene di fare anche questo Collegio, non solo non può essere esclusa, ma deve ritenersi di soglia non trascurabile, così da non potersi ricondurre il fatto al paradigma della lieve entità, sia in considerazione del principio attivo ricavato nell’immediato, sia di quello ricavabile all’esito della ultimazione del ciclo biologico delle piante, sia in relazione ad una destinazione che, per tipo, qualità, quantità e livello di produzione appariva destinato ad un uso non esclusivamente personale, tenuto altresì conto del rilevante superamento del fabbisogno medio della ricorrente e tenuto conto delle disagiate condizioni economiche della prevenuta, la quale si assumeva il rischio di procedere ad una coltivazione di stupefacente, certamente punibile stante il chiaro disposto dell’articolo 73 Dpr 309/90, piuttosto che a singoli acquisiti di modesti quantitativi. 7. Infondato è altresì il secondo motivo di ricorso in punto di revoca della sospensione condizionale della pena. Del tutto condivisibilmente la corte territoriale ha ritenuto doversi procedere alla revoca della sospensione condizionale della pena riconosciuta alla M. con sentenza che aveva giudicato un fatto di bancarotta, anteriormente commesso, per cui era stata applicata una pena detentiva la quale, sommata a quella comminata nella presente pronuncia, supera il limite di due anni. 7.1 Prevede infatti l’articolo 168 comma I numero 1 cod.penumero ipotesi di revoca della sospensione condizionale delle pena qualora nei termini stabiliti il condannato commetta un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole, per cui venga inflitta una pena detentiva, o non adempia agli obblighi impostigli. Orbene la condizione della M. rientra in tale ipotesi in quanto la stessa, nel termine stabilito dalla legge cinque anni , ha riportato la condanna a pena detentiva di cui all’odierno ricorso per una ipotesi di delitto. A questo proposito va evidenziato che ai fini della revoca della sospensione condizionale della pena prevista dall’articolo 168 numero 1 cod.penumero , la identità dell’indole del reato commesso nei termini stabiliti opera solo con riferimento alle contravvenzioni e non si estende ai delitti, con la conseguenza che l’ulteriore delitto è sempre causa di revoca, quale ne sia la sua natura sez.I, 15.2.2000, P.G. in proc.Bellino, Rv. 215615 sez. VI, 6.2.2013, Grassetti, Rv. 254688 sez. I, 2.7.2008, PM in proc. De Filippis, Rv. 240679 . 8. Il ricorso è infondato e deve pertanto essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.