Il diritto di critica non giustifica l’epiteto al boss mafioso

Il requisito della continenza, ai fini dell’esclusione dell’imputazione per diffamazione, richiede che le espressioni utilizzate non travalichino i limiti posti dall’art. 2 Cost. a tutela della dignità umana.

La Corte di Cassazione la sentenza n. 50187/17, depositata il 3 novembre. Il caso. Il Tribunale di Trapani assolveva l’imputato dall’accusa di diffamazione con la formula perché il fatto non costituisce reato. Erano state contestate le espressioni utilizzate dall’imputato su un blog nel dare notizia del decesso di un esponente della cosca mafiosa attiva nel territorio che si concludevano con la frase la sua morte toglie alla Sicilia un gran pezzo di merda . Il Tribunale riconosceva l’esimente dell’esercizio del diritto di critica all’espressione che imponeva al lettore di confrontarsi con il sistema pseudo-valoriale proposto dall’associazione di cui era parte l’A. [] allo scopo di solleciatarlo ad una nuova consapevolezza sulla necessità di sradicare ogni ambiguità nella scelta tra contrapposti seppur artatamente confondibili sistemi di valori . La decisione viene impugnata per cassazione del Procuratore della Repubblica che lamenta erronea applicazione della legge penale. Diritto di critica. Il Collegio ribadisce che il diritto di critica costituisce l’espressione di un giudizio valutativo che postula la sussistenza del fatto utilizzato come oggetto o spunto del discorso critico, con una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto che vuole essere espresso. Questo elemento è ricondotto al requisito della continenza che richiede l’utilizzo di una forma espositiva strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione . Nel giudizio valutativo devono dunque essere considerati gli obiettivi comunicativi perseguiti dall’agente e il contesto specifico in cui l’espressione è contenuta, fermi restanti gli invalicabili limiti posti dall’art. 2 Cost. a tutela della dignità umana che rendono inaccettabili in qualsiasi contesto quelle espressioni cariche di disprezzo e dileggio che manifestano la volontà di umiliare il destinatario. Valori fondamentali della persona. Tornando al caso di specie, il Collegio afferma che la finalità perseguita dall’imputato, ossia quella di suscitare una riflessione sull’ambiguità del sistema di valori mafioso, non può giustificare la lesione di un valore fondamentale della persona, anche se colpevole di delitti efferati. L’espressione utilizzata dall’imputato infatti elude il problema centrale in quanto porta ad una riflessione incentrata non sul sistema mafioso complessivamente inteso bensì sul singolo esponente e finisce per violare in modo insuperabile il nucleo fondamentale della dignità che il nostro ordinamento riconosce a qualunque essere umano, anche a chi appartiene ad una associazione malavitosa sanguinaria e nefasta o addirittura la capeggia . In conclusione, la Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Palermo per la prosecuzione del procedimento.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 maggio – 3 novembre 2017, n. 50187 Presidente Fumo – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 07/06/2016 il Tribunale di Trapani ha assolto G.G. dal reato di cui all’art. 595 cod. pen., perché il fatto non costituisce reato. Ha osservato la sentenza impugnata che veniva in questione l’esercizio del diritto di critica. Era certo esatto che l’autore, nel dare notizia sul suo blog del decesso di A.M. , esponente apicale di Cosa nostra per il mandamento di omissis e condannato, oltre che per la partecipazione a tale sodalizio criminale, anche per il coinvolgimento in plurimi omicidi, dopo averne descritto la vita criminale, aveva concluso che la sua morte toglie alla Sicilia un gran bel pezzo di merda ma era, altresì, vero che l’espressione imponeva al lettore di confrontarsi con il sistema pseudo-valoriale proposto dall’associazione di cui era parte l’A. , in un contesto ambientale nel quale la confusione o apparente coincidenza tra valori e disvalori costituisce un obbiettivo preciso del sodalizio criminoso. Aggiunge il Tribunale di Trapani che, in tale cornice di riferimento, la frase rappresentava uno strumento retorico in grado di provocare nel lettore un senso di straniamento che lo interroga sulla validità delle prospettive tradizionali, e ciò allo scopo di sollecitarlo ad una nuova consapevolezza sulla necessità di sradicare ogni ambiguità nella scelta tra contrapposti seppure artatamente confondibili sistemi valoriali. 2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani ha proposto ricorso immediato per cassazione, con il quale lamenta erronea applicazione della legge penale. 3. Sono state depositate memorie nell’interesse del G. e delle parti civili. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. Al riguardo, va ribadito che il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l’esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere, e, conseguentemente, esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purché tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o alla protesta, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014, Surano, Rv. 261122 . Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in particolare, il requisito della continenza postula una forma espositiva corretta della critica rivolta, ossia strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione v., ad es., Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016, C, Rv. 267866 . Nel bilanciamento tra la protezione della fondamentale libertà di espressione e l’esigenza di assicurare il rispetto dei diritti della persona, l’ordinamento, nazionale e sovranazionale v., ad es., la sentenza della quarta sezione della Corte Europea dei diritti del 30/06/2015, Peruzzi c. Italia impone la verifica della strumentalità dell’espressione, pur aspra, adoperata rispetto alle finalità di critica e coglie, nel superamento di tale fondamentale requisito funzionale, la gratuità della condotta. Siffatto momento valutativo è certo strettamente legato agli obiettivi comunicativi perseguiti e allo specifico contesto nel quale l’espressione è adoperata, ma è necessariamente correlato anche al contenuto di quest’ultima, in quanto la pur giustificata critica dell’operato altrui impone, comunque, il rispetto di quelli che sono e restano limiti invalicabili, posti dall’art. 2 Cost., a tutela della dignità umana, con la conseguenza che alcune modalità espressive sono oggettivamente e dunque per l’intrinseca carica di disprezzo e dileggio che esse manifestano o per la riconoscibile volontà di umiliare il destinatario da considerarsi offensive e, quindi, inaccettabili in qualsiasi contesto pronunciate, tranne che siano riconoscibilmente utilizzate ioci causa Sez. 5, n. 19070 del 27/03/2015, Foti, Rv. 263711 . In questa prospettiva, ben s’intende che Sez. 5, n. 42933 del 29/09/2011, Gallina, Rv. 251535, non massimata sul punto, abbia ritenuto che assume rilievo determinante la valenza sociale delle parole, al di là e al di fuori della specifica intenzione di chi le adopera, con la conseguenza che obiettivamente lesive dell’onore sono quelle espressioni con le quali si disumanizza la vittima, assimilandola a cose, animali o concetti comunemente ritenuti ripugnanti, osceni, disgustosi, quali appunto un escremento. Nel caso di specie, la finalità generale perseguita dall’autore del commento, ossia quella descritta dalla sentenza impugnata di aggredire l’ambiguità del sistema di controvalori mafioso, non risulta idonea a giustificare la lesione di un valore fondamentale della persona. E, si ritiene doveroso aggiungere, di qualunque persona, anche del riconosciuto autore di delitti efferati, giacché proprio il rispetto di tali diritti vale a qualificare la superiorità dell’ordinamento statale, fondato sulla centralità della protezione dell’individuo, rispetto ad organizzazioni criminali, che invece si nutrono del sostanziale disprezzo di chi non risponda alle proprie finalità, quale che sia il modo in cui esse possano autorappresentarsi per cercare di conquistare consenso sociale. Le superiori considerazioni non sono inficiate dall’accostamento di OMISSIS ad una montagna di escrementi, secondo una celebre frase destinata a sottolineare proprio la devastante capacità delle associazioni mafiose di intaccare le strutture portanti della società civile. Si tratta, all’evidenza, di un’argomentazione che elude, nel caso di specie, il problema centrale, rappresentato proprio dal fatto che la generale riflessione sottesa a quella frase muta completamente di significato, quando concentrandosi sul singolo appartenente all’associazione - sia pure con un ruolo apicale - finisce per violare in modo insuperabile il nucleo fondamentale della dignità che il nostro ordinamento riconosce a qualunque essere umano, anche a chi appartiene ad una associazione malavitosa sanguinaria e nefasta o addirittura la capeggia , in quanto il fondamento costituzionale del nostro sistema penale postula la rieducabilità anche del peggior criminale art. 27, comma terzo, Cost. e, pertanto, non può tollerare, neanche come artifizio retorico, la sua reificazione. In conseguenza dell’accoglimento dell’impugnazione, la sentenza del Tribunale di Trapani va annullata con rinvio, ai sensi dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen., alla Corte d’appello di Palermo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Palermo per il giudizio di secondo grado.