Colta “con le mani nel sacco”, lancia dell’acqua contro la cassiera: non è rapina

Il tentativo di rapina impropria in un supermercato è integrato dalla condotta dell’agente che, dopo aver sottratto ed occultato la merce, allo scopo di allontanarsi usi violenza nei confronti dei dipendenti dell’esercizio commerciale che lo abbiano colto sul fatto e trattenuto per la consegna agli organi di Polizia.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 49492/17 depositata il 27 ottobre. La vicenda. Avverso l’ordinanza che negava la convalida dell’arresto in flagranza di una donna accusata di rapina impropria, propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica. Deduce il ricorrente vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla sussistenza degli elementi integranti la rapina. Dalla ricostruzione del fatto era emerso che l’indagata, dopo aver sottratto della merce da un supermercato, aveva lanciato contro la cassiera che l’aveva colta sul fatto l’acqua contenuta in una bottiglietta, colpendo così gli occhi della persona offesa. Rapina. La Corte di legittimità, rigettando il ricorso, richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il tentativo di rapina impropria in un supermercato è integrato dalla condotta dell’agente che, dopo aver sottratto ed occultato la merce, allo scopo di allontanarsi usi violenza nei confronti dei dipendenti dell’esercizio commerciale che lo abbiano colto sul fatto e trattenuto per la consegna agli organi di Polizia. In tali situazioni infatti anche i privati cittadini hanno il potere di procedere all’arresto in flagranza e dunque la reazione violenta dell’agente non può qualificarsi come difesa ad un’azione illecita. Nel caso di specie, precisa però la S.C., il lancio dell’acqua non integrava i requisiti propri della violenza necessari al fine di configurare il delitto di rapina. L’elemento tipico della fattispecie è infatti l’esercizio di un vero e proprio costringi mento fisico sul soggetto passivo oppure una forte coartazione della libertà fisica o psichica del medesimo, conseguentemente indotto a fare, tollerare o omettere qualcosa. Il semplice lancio di un oggetto privo di qualsiasi capacità offensiva, anche in relazione al limitato quantitativo, non può dunque integrare la fattispecie. In conclusione la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 25 – 27 ottobre 2017, n. 49492 Presidente Fumu – Relatore Pardo Ritenuto in fatto e in diritto Il Procuratore della Repubblica di Varese ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale monocratico dello stesso capoluogo del 26 maggio 2017 con la quale non era stato convalidato l’arresto in flagranza di D.P.M. in relazione al reato di rapina impropria. Riteneva il giudice monocratico che errata doveva ritenersi la qualificazione giuridica dei fatti posto che la condotta posta in essere non integrava alcuna violenza e che non sussistevano neppure gli elementi per l’arresto facoltativo per il delitto di furto aggravato in ragione della tenuità del fatto e della mancanza di pericolosità della indagata. Con il ricorso per cassazione il Pubblico Ministero deduce vizio della motivazione e violazione di legge con riferimento alla sussistenza degli elementi integranti l’ipotesi della rapina poiché l’azione posta in essere tramite il getto dell’acqua aveva attinto l’organo visivo della persona offesa. Con parere ritualmente depositato il Procuratore Generale presso questa Corte chiedeva accogliersi il proposto ricorso. Ciò posto il ricorso è infondato e non può pertanto essere accolto. Secondo l’orientamento cui questa Corte ritiene dovere aderire integra il tentativo di rapina impropria la condotta dell’agente che, dopo aver sottratto merce dai banchi di vendita di un supermercato ed averla occultata sulla propria persona, al fine di allontanarsi, usa violenza nei confronti dei dipendenti dell’esercizio commerciale che lo hanno colto in flagranza e trattenuto per il tempo necessario all’esecuzione della consegna agli organi di Polizia, poiché anche i privati cittadini hanno, in simili circostanze, il potere di procedere all’arresto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 380, comma secondo, lett. f , e 383, comma primo, cod. proc. pen., e, pertanto, la reazione violenta dell’autore del fatto non può configurarsi come difesa da un’azione illecita a norma dell’art. 52 cod. pen. Sez. 2, n. 50662 del 18/11/2014, Rv. 261486 . Nel caso di specie dalla ricostruzione dei fatti risulta che l’azione posta in essere dalla D.P. fu limitata a scagliare contro la cassiera dell’acqua contenuta in una bottiglietta e tale condotta non pare dotata dei caratteri tipici della violenza richiesta per integrare il grave delitto di cui all’art. 628 cod.pen. mancando nella stessa una concreta capacità aggressiva dell’altrui integrità fisica. Deve infatti essere ritenuto che la violenza integrante il presupposto oggettivo del delitto di rapina si ravvisa o nell’esercizio sul soggetto passivo di un vero e proprio costringimento fisico, ovvero in una forte coartazione della libertà fisica o psichica del medesimo, conseguentemente indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare od omettere qualche cosa. Nel caso in esame nessuna delle condotte sopra descritte pare ravvisabile perché il semplice lancio di un oggetto privo di qualsiasi capacità contundente ed il cui quantitativo era anche assai limitato, non pare dotato di alcuna idoneità ad aggredire l’altrui sfera di incolumità fisica. Quanto alle valutazioni subordinate effettuate dal giudice monocratico, le stesse paiono ugualmente prive di qualsiasi vizio motivazionale essendosi fatto riferimento a plurimi aspetti del fatto e della personalità tali da escludere il ricorso all’arresto facoltativo. Alla luce delle predette considerazioni il ricorso deve pertanto essere respinto. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Sentenza a motivazione semplificata.