Sim di servizio alla figlia: assessore condannato per peculato

Nessun dubbio sulla colpevolezza dell’esponente della giunta di un Comune lombardo. Possibile però una riduzione della pena. Da stabilire difatti l’entità del danno arrecato all’ente locale.

Scheda Sim di servizio per l’assessore di un Comune lombardo. Ad utilizzarla è però la figlia, che effettua chiamate a iosa, anche dall’America. Logica la condanna per peculato” Cassazione, sentenza n. 49258, sez. VI Penale, depositata il 26 ottobre 2017 . Bolletta. Chiara la contestazione mossa al componente della giunta. Secondo l’accusa, egli, avendo, per ragioni d’ufficio, la disponibilità di una utenza Tim, intestata al Comune e pagata dallo stesso ente pubblico , se ne è appropriato per consegnarla alla figlia minore, che l’ha utilizzata per le proprie esigenze personali, anche all’estero – dal gennaio 2011 al febbraio 2012 – , con bollette addebitate però al Comune per una cifra che ha sfiorato i 13mila euro. Per i giudici, prima in Tribunale e poi in Appello, gli elementi probatori raccolti sono sufficienti per una condanna a sedici mesi di reclusione – con annessa interdizione dai pubblici uffici – per peculato . In sostanza, non vi sono dubbi sul fatto che l’allora assessore abbia dato in uso pressoché esclusivo e continuativo alla figlia minore la scheda telefonica e abbia consapevolmente dato il pieno consenso all’utilizzo illegittimo della scheda Sim . Danno. Ora, pur a fronte delle obiezioni mosse dal legale del politico, i Giudici della Cassazione ribadiscono la legittimità della condanna. Anche a loro parere, difatti, è evidente il reato di peculato , poiché vi è stata una vera e propria cessione del bene in questione la scheda Sim da parte del pubblico ufficiale l’assessore ad un terzo la figlia affinché lo utilizzasse uti dominus, in violazione del vincolo di destinazione attribuito dall’amministrazione comunale . Incontestabile, quindi, la responsabilità del componente della giunta. Possibile, però, una riduzione della pena, applicando – su questo dovrà pronunciarsi la Corte d’Appello – l’attenuante del danno di lieve entità . Su questo fronte, difatti, va preso in considerazione un elemento il contenuto del contratto stipulato dal Comune . Nello specifico, va tenuto presente che era previsto un plafond di spesa pari a 180 euro a bimestre , e proprio alla luce di questa clausola il difensore ha sostenuto che i costi che non superano il plafond sono da porsi a carico della pubblica amministrazione, indipendentemente dalla natura e dalla finalità della chiamata mentre le telefonate fuori plafond erano a carico del componente della giunta. In sostanza, la somma di 12mila euro indicata nel capo d’imputazione pare far riferimento all’importo complessivo delle telefonate fatte dalla scheda Sim assegnata all’assessore e utilizzata dalla figlia e pare ricomprendere anche le chiamate fuori plafond il cui pagamento non spettava al Comune ma all’assessore . Questa circostanza, osservano i giudici della Cassazione, è rilevante, poiché è plausibile ipotizzare, come fatto dal legale, che l’entità del danno arrecato al Comune vada calcolata in relazione all’importo del solo plafond di 180 euro a bimestre e non in riferimento alla cifra complessiva.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 maggio – 26 ottobre 2017, n. 49258 Presidente Conti – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del 28 marzo 2014 con cui il G.u.p. del Tribunale di Monza, all'esito di giudizio abbreviato, aveva riconosciuto Pa. Ro. responsabile del reato di peculato, condannandolo alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, con l'interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena detentiva. Secondo l'accusa Ro., quale assessore del Comune di Monza, avendo, per ragioni d'ufficio, la disponibilità dell'utenza TIM omissis , intestata al Comune e pagata dallo stesso ente pubblico, se ne appropriava, consegnando la scheda telefonica alla figlia minore, Lu., che la utilizzava per le sue esigenze personali, anche all'estero, con bollette addebitate al Comune di Monza per Euro 12.883,79, fatti commessi dal gennaio 2011 al febbraio 2012. La Corte territoriale ha ritenuto provata la responsabilità dell'imputato per avere dato in uso pressoché esclusivo e continuativo alla figlia minore la scheda telefonica, utilizzo che non è avvenuto all'insaputa del Ro., ma con il suo pieno consenso. Inoltre, i giudici hanno escluso la configurabilità dell'ipotesi del peculato d'uso, ritenendo che nella specie non vi sia stato né un uso momentaneo della scheda, né la sua immediata restituzione dopo l'uso, né, infine, l'intenzione di restituire il bene dopo l'uso temporaneo. Infine, è stata negata l'applicazione delle attenuanti di cui agli artt. 323-bis e 62, n. 4 cod. pen. 2. Nell'interesse dell'imputato gli avvocati Ra. De. Va. e Ni. D'As. hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo si denuncia l'inosservanza della legge penale e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'art. 314 cod. pen. e alla configurabilità di una condotta appropriativa sorretta dalla portata offensiva e dal dolo richiesti dalla previsione incriminatrice, censurando la sentenza per non aver dato risposte adeguate alle contestazioni difensive contenute nell'atto di appello. In particolare, si sostiene che manchino gli elementi costitutivi del peculato, dal momento che il semplice uso del telefono concesso per ragioni d'ufficio non può equipararsi alla appropriazione richiesta dalla norma incriminatrice. Infatti, l'oggetto materiale della condotta è rappresentato dalla scheda SIM, che però è sempre rimasta nella disponibilità dell'amministrazione, non uscendo mai dalla sfera di disponibilità e controllo di questa. Sotto un differente aspetto, si sottolinea come nella specie difetti la stessa offensività della condotta appropriativa di cui all'art. 314, comma primo, cod. pen. in particolare, si sottolinea che secondo gli accordi contrattuali era previsto un limite di spesa relativo al traffico telefonico nella misura di Euro 180,00 a bimestre, nel senso che lo sforamento di tale limite avrebbe dovuto essere rimborsato dall'imputato, sicché non avrebbe potuto essere in alcun modo oggetto di appropriazione. D'altra parte, si evidenzia come, in base a tale accordo contrattuale, la natura pubblica o privata delle telefonate non rilevava, sia riguardo a quelle interne al plafond di Euro 180,00, sia con riferimento alle telefonate fuori plafond. L'aver stabilito un limite alle spese telefoniche esimeva l'amministrazione da ogni controllo sul traffico telefonico e, quindi, sulla destinazione delle stesse telefonate. Su tali punti è mancata una risposta da parte della sentenza impugnata. In ogni caso, si osserva che tenuto conto del tipo di accordo previsto, l'importo delle telefonate da prendere in considerazione non corrisponde a quanto indicato nel capo di imputazione, in quanto esso sarebbe costituito soltanto dalla somma corrispondente alla quota fissa bimensile, pari ad un importo di circa Euro 1.000 complessivi, condotta che, tenuto conto del periodo temporale di riferimento e del fatto che non ha leso la funzionalità dell'amministrazione, avrebbe dovuto essere ritenuta inoffensiva, come del resto statuito dalla giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni unite. Inoltre, nello stesso motivo, si evidenziano una serie di elementi che avrebbero dovuto escludere la sussistenza del dolo, tra cui il fatto che l'amministrazione comunale non abbia mai segnalato al Ro. lo sfondamento del plafond le due denunce di smarrimento fatte dall'imputato, che confermano la sua buona fede le dichiarazioni di Lu. Ro., che ha riferito di non sapere che l'utenza fosse intestata al Comune. 2.2. Con il secondo motivo si contesta la sentenza per avere escluso la configurabilità dell'ipotesi del peculato d'uso, ponendosi in contrapposizione con la giurisprudenza di legittimità in materia analoga. La Corte d'appello avrebbe dovuto fare applicazione dell'art. 314, comma secondo, cod. pen., dal momento che per uso momentaneo non deve intendersi un uso istantaneo , ma temporaneo e, inoltre, considerando che non è stato provato che l'utenza telefonica sia stata continuativamente nella disponibilità della minore per l'intero periodo indicato nella contestazione. 2.3. Con il terzo motivo si critica la sentenza là dove ha escluso la riqualificazione del fatto nell'ipotesi di cui al reato di cui all'art. 323 cod. pen., giustificata dalla mancanza di una interversione del possesso. 2.4. Il quarto motivo è dedicato agli aspetti relativi al trattamento sanzionatorio. Si censura la decisione per non aver riconosciuto la sussistenza delle attenuanti di cui agli artt. 62, n. 4, e 323-bis cod. pen. e per avere applicato una pena ben superiore al minimo edittale, nonostante l'avvenuta concessione dell'attenuante del risarcimento del danno. Considerato in diritto 1. I primi tre motivi sono infondati. 1.1. Innanzitutto, deve confermarsi la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente il reato di peculato e ha, di conseguenza escluso l'ipotesi minore prevista dal secondo comma dell'art. 314 cod. pen La Corte d'appello, sulla base di una motivazione logica e coerente, ha ritenuto dimostrato che l'imputato, dopo aver ricevuto dal Comune di Monza l'assegnazione di una scheda telefonica SIM utenza omissis per le sue funzioni di consigliere comunale, l'abbia ceduta alla figlia Lu., che l'ha utilizzata in via pressoché esclusiva e continuativa, con il suo pieno consenso. Nel ricorso si contesta che vi si stata appropriazione, in quanto il semplice uso della scheda avrebbe dato luogo solo ad un addebito a carico dell'amministrazione delle somme corrispondenti all'utilizzazione della scheda stessa, che quindi sarebbe rimasta sempre nella disponibilità dell'amministrazione comunale, nel senso che non sarebbe mai uscita dalla sfera di controllo e di disponibilità dell'ente pubblico. Questo Collegio non può che ribadire quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, che ha messo in evidenza come, nella specie, il reato contestato sussista, in quanto vi è stata una vera e propria cessione del bene in questione scheda SIM da parte del pubblico ufficiale Pa. Ro. ad un terzo la figlia Lu. , perché lo utilizzasse uti dominus, in violazione del vincolo di destinazione attribuito dall'amministrazione. In questo modo si è realizzato l'interversio possessionis, con la conseguente perdita della disponibilità del bene a questo proposito, per evidenziare l'indebita alterazione dell'originaria destinazione del bene c.d. espropriazione e, d'altra parte, la sua strumentalizzazione a vantaggio di un soggetto diverso dal titolare del diritto c.d. impropriazione , la sentenza ha sottolineato la circostanza che Lu. Ro. abbia utilizzato la scheda del Comune di Monza anche nel suo soggiorno negli Stati Uniti. La sentenza ha, inoltre, offerto una chiara e coerente motivazione sul fatto che vi sia stato il pieno consenso dell'imputato per l'utilizzo improprio della scheda a favore della figlia, ritenendo quindi sussistente il dolo il riferimento è alle numerose telefonate che il Ro. ha ricevuto da parte della figlia che utilizzava l'utenza in questione e alla vicenda della denuncia dello smarrimento della SIM. Con riferimento a tale vicenda la Corte territoriale ha spiegato che la scheda è stata smarrita dalla figlia, in quanto dalla stessa utilizzata in quel periodo, come dimostrano le telefonate effettuate che la denuncia di smarrimento è stata presentata dal Ro., in quanto formalmente era lui che avrebbe dovuto utilizzarla in modo esclusivo che Ro. ottenne una nuova scheda richiedendo il medesimo numero. Si tratta di circostanze che, nella ricostruzione dei giudici, costituiscono la prova risolutiva della conoscenza da parte del Ro. che la SIM era usata dalla figlia , tanto è vero che anche la nuova SIM, con il medesimo numero, veniva consegnata a Lu., cioè al soggetto che aveva effettivo interesse ad avere la SIM con lo stesso numero fino ad allora utilizzato. In sostanza, si è ritenuto sussistere il peculato di cui al primo comma dell'art. 314 cod. pen. perché nella specie la condotta dell'imputato è consistita in una tipica forma di appropriazione, realizzatasi attraverso la cessione illegittima del bene ad un terzo, che ne ha fatto un uso continuativo ed esclusivo, in violazione, come si è detto, del vincolo di destinazione. 1.2. Per queste ragioni, la sentenza ha correttamente escluso che la fattispecie potesse essere ricompresa nell'ipotesi del peculato d'uso, reato ritenuto sussistente da alcune decisioni in materia di uso indebito del telefono d'ufficio, tra cui le Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, n. 19054 del 21/12/2012, Va. . Infatti, nel caso in esame non si è trattato di un uso illegittimo del bene per fini personali e al di fuori dei casi d'urgenza o di specifiche esigenze, ma di una vera e propria cessione della disponibilità della scheda SIM ad un terzo estraneo alla pubblica amministrazione e, inoltre, non vi è stato un uso momentaneo della cosa, con la sua immediata restituzione dopo l'uso, e neppure l'intenzione di restituire il bene dopo averne fatto un uso temporaneo. Vi è stata, invece, una cessione definitiva o, meglio, un atto di disposizione di fatto , per un uso continuo ed esclusivo del bene, come dimostra la citata vicenda della denuncia dello smarrimento, con la riconsegna della nuova SIM alla figlia, perché continuasse ad utilizzarla. Come ha correttamente sottolineato la Corte d'appello, l'azione posta in essere dall'imputato non può rientrare nell'ipotesi del peculato d'uso, in cui si realizza un abuso del possesso, ma che non si traduce nella sua stabile inversione in dominio . Del resto, è stato detto che il peculato d'uso del telefono d'ufficio può realizzarsi solo se con tale condotta il soggetto distoglie precisamente il bene fisico costituito dall'apparato telefonico, di cui è in possesso per ragioni d'ufficio, dalla sua destinazione pubblicistica piegandolo a fini personali, per il tempo del relativo uso, per restituirlo, alla cessazione di questo, alla destinazione originaria . Infondata è la tesi difensiva con cui si sostiene l'inoffensività della condotta posta in essere dall'imputato. Una volta che si è ritenuto che il peculato è stato realizzato attraverso la cessione del bene, il discorso sul limite del plafond di spesa, previsto dal contratto di utilizzo dell'utenza, non ha rilevanza ai fini della sussistenza del reato, ma, come si vedrà, potrebbe incidere sul riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 6, n. 4 e 323-bis cod. pen 1.3. Allo stesso modo deve ritenersi infondato il motivo con cui si assume che il fatto andava riqualificato ai sensi dell'art. 323 cod. pen Si deve ribadire che nell'abuso d'ufficio la violazione dei doveri del pubblico ufficiale rappresenta la condotta tipica del reato, il cui evento coincide con l'ingiustizia del profitto, mentre nel peculato la violazione dei doveri d'ufficio costituisce solo la modalità della condotta appropriativa e l'evento tipico coincide con la stessa appropriazione. Inoltre, l'appropriazione cui si riferisce il peculato ha come effetto l'estromissione dell'amministrazione proprietaria rispetto al bene, invece nell'abuso d'ufficio la destinazione del bene, sebbene viziata dalla condotta dell'agente, mantiene la sua natura pubblica e non favorisce interessi estranei all'amministrazione cfr., Sez. 6, n. 40148 del 27/11/2001, Ge. . Nel caso in esame vi è stata innanzitutto la cessione di fatto definitiva del bene, peraltro a favore di un soggetto estraneo all'amministrazione comunale, sicché correttamente è stato contestato il reato di peculato. 2. E' invece fondato il quarto motivo. La Corte d'appello ha escluso l'applicazione sia dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen., sia dell'ipotesi di cui all'art. 323-bis cod. pen., sul presupposto dell'entità della bolletta telefonica pagata dal Comune di Monza con riferimento al periodo di utilizzo della scheda SIM non meno di Euro 12.000 . Invero, la sentenza impugnata non sembra avere adeguatamente valutato il contenuto del contratto stipulato dal Comune di Monza. Gli stessi giudici riconoscono l'esistenza di un accordo che faceva riferimento ad un plafond di spesa pari ad Euro 180,00 a bimestre, ma sul punto non hanno offerto una motivazione adeguata e logica. Infatti, hanno censurato le deduzioni difensive, secondo cui i costi che non superano il plafond sono da porsi a carico della P.A. indipendentemente dalla natura e/o finalità della chiamata , limitandosi a sostenere che anche le telefonate ricomprese nel plafond rientravano nel peculato, senza però trarre le necessarie conseguenze sulla circostanza che le telefonate fuori plafond fossero comunque a carico dell'imputato. In sostanza, la somma di Euro 12.000 indicata nel capo d'imputazione e nella sentenza sembrerebbe far riferimento all'importo complessivo delle telefonate fatte dall'utenza assegnata all'imputato e utilizzata dalla figlia, comprensiva del costo delle chiamate fuori plafond il cui pagamento non spettava al Comune, ma al Ro Si tratta di una circostanza rilevante, rappresentata nei motivi d'appello e ribadita nel quarto motivo del ricorso, in cui si è sostenuto che l'entità del danno andava calcolata in relazione all'importo del solo plafond di Euro 180,00 a bimestre. Su tale questione, rilevante ai fini dell'accertamento della sussistenza delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, n. 4, e 323-bis cod. pen., la sentenza ha motivato in modo incompleto e illogico, sicché la sentenza sui relativi punti deve essere annullata. Le doglianze relative al trattamento sanzionatorio devono ritenersi, allo stato, assorbite dal disposto annullamento. 3. In conclusione, la sentenza deve essere annullata limitatamente alla configurabilità delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, primo comma, n. 4, e 323-bis cod. pen., con rinvio degli atti ad altra sezione della Corte d'appello di Milano perché motivi su tali punti, accertando preliminarmente gli esatti contenuti del contratto in questione per il resto il ricorso deve essere rigettato. P. Q. M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla configurabilità delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, primo comma, n. 4, e 323-bis cod. pen. e rinvia su tali punti ad altra sezione della Corte d'appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.