Calcolo errato della pena residua: il detenuto ha diritto all’equa riparazione

L’equo indennizzo per ingiusta detenzione va riconosciuto anche al reo che abbia scontato ingiustamente una pena residua per erroneità di calcolo del presofferto.

Lo ha stabilito la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 48993/2017, depositata in cancelleria il 25 ottobre. Riconteggio dei giorni di detenzione pena residua errata. Nel caso di specie un reo ha proposto istanza di riparazione per ingiusta detenzione lamentando di essere stato costretto in regime di restrizione inframuraria nonostante fosse emerso un errore nel computo della pena da espiare. Più precisamente, l’istante avrebbe scontato 6 giorni in più di detenzione. Tanto sarebbe stato accertato dal magistrato di sorveglianza ed infine riconosciuto dalla stessa procura che ebbe ad ordinare l’esecuzione della pena residua. L’adita Corte d’appello - pur riconoscendo l’illegittimità del periodo di detenzione - ha negato l’equa riparazione per assenza dei presupposti di legge a tal fine necessari. In particolare, secondo il giudice territoriale nella vicenda in oggetto non ricorreva né l’ipotesi di proscioglimento dell’istante con sentenza irrevocabile né la sottoposizione a custodia cautelare in violazione degli artt. 273 e 280, c.p.p. cfr., in tal senso, quanto previsto dall’art. 314, comma 1 e 2, c.p.p. . La decisione è stata portata all’attenzione dei Giudici romani ai quali è stata paventata l’illegittimità della scelta operata dalla Corte territoriale laddove ha ritenuto che l’equa riparazione debba essere riconosciuta nelle sole ipotesi indicate nel richiamato art. 314, c.p.p., e non anche in ulteriori ipotesi di detenzione ingiusta quali, a titolo esemplificativo, la detenzione patita per effetto di un ordine di esecuzione adottato sul fallace presupposto che sia maturato il giudicato ovvero quella patita per effetto della ritardata esecuzione dell’ordine di scarcerazione. Equa riparazione a maglie larghe. Con la sentenza in epigrafe, la Suprema Corte confuta l’interpretazione restrittiva patrocinata dalla Corte territoriale, mostrando una netta propensione ad allargare il perimetro della casistica cui deve corrispondere il diritto all’indennizzo. Richiamando importanti arresti della Corte Costituzionale fra tutti, Corte Cost. n. 310/1996 , gli Ermellini sottolineano come una interpretazione sistematica dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione non possa affatto limitarsi alla casistica enucleata dal legislatore, dovendo invece rifarsi alla generalità delle fattispecie nelle quali la detenzione dell’interessato debba definirsi oggettivamente ingiusta . L’equa riparazione - si spiega - va riconosciuta in tutte le ipotesi di provvedimenti causalmente incidenti sulla restrizione personale che risultino viziati da illegittimità. In tal senso, parrebbe infatti del tutto discriminatorio assicurare la tutela verso chi abbia subito una illegittima custodia cautelare e non anche verso chi abbia scontato - come nel caso di specie - un residuo di pena al pari illegittima. Nelle parole dei Giudici romani la disparità di trattamento tra le due situazioni appare ancor più manifesta [anche in base a quanto previsto dal diritto internazionale, nda], se si considera che la detenzione conseguente ad un ordine di esecuzione illegittimo offende la libertà della persona in misura non minore della detenzione cautelare ingiusta . Precedenti in linea. Da ultimo, la Corte ricorda come il diritto all’equa riparazione sia stato affermato nell’ambito di fattispecie di confine rispetto a quella controversa il riferimento è all’ordine di carcerazione originariamente legittimo e tuttavia relativo a pena che, nelle more dell’esecuzione dell’ordine medesimo, si è estinta ma anche al caso di tardiva liberazione del detenuto a fronte dell’ordine di scarcerazione adottato dal magistrato di sorveglianza. In definitiva, sul crinale delle considerazioni sopra sintetizzate, gli ermellini hanno accolto il ricorso, per l’effetto annullando l’ordinanza impugnata e rinviando alla Corte d’appello per un nuovo scrutinio sulla commisurazione dell’indennizzo da riconoscere al ricorrente vittorioso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 11 – 25 ottobre 2017, n. 48993 Presidente Romis – Relatore Pavich Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza resa il 16 novembre 2016, la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell’interesse di D.S.M. in relazione al periodo dal 9 al 14 marzo 2016 in cui lo stesso era rimasto in regime di restrizione inframuraria relazione a un errato computo di pena residua da espiare in sostanza, risulta che nei confronti del D.S. la Procura della Repubblica di Modena aveva emesso, in data 27 febbraio 2016, un ordine di esecuzione della pena residua inflitta al sunnominato, ma il computo del residuo di pena era stato erroneamente calcolato, per omesso calcolo di un periodo di carcerazione presofferta pari a 4 mesi e 14 giorni la difesa del D.S. segnalava l’errore e, il 9 marzo 2016, l’ordine di carcerazione veniva emesso con il computo corretto del periodo di carcerazione presofferto, pari a 7 mesi e 5 giorni di detenzione. Lo stesso giorno la difesa presentava istanza di liberazione anticipata in base al disposto dell’art. 54 ord.pen., atteso che la pena espiata dal D.S. superava i sei mesi. Il Magistrato di Sorveglianza di Modena, in data 14 marzo 2016, accoglieva l’istanza e disponeva la liberazione del D.S. . In realtà, tuttavia, già in seguito alla segnalazione dell’errore di calcolo la Procura della Repubblica di Modena avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 656, comma 4-bis, cod.proc.pen., rimettere gli atti al Magistrato di Sorveglianza per le valutazioni di competenza in ordine all’istanza di liberazione anticipata e in tal senso il periodo di restrizione carceraria nei 6 giorni tra il 9 e il 14 marzo 2016 doveva ritenersi non giustificato. 1.1. A fronte delle doglianze articolate nell’istanza in ordine alla legittimità del titolo restrittivo e della conseguente sottoposizione del D.S. a regime carcerario nei 6 giorni suddetti, la Corte distrettuale ha bensì riconosciuto che la restrizione nel periodo in questione fu ingiustificata, per il mancato assolvimento, da parte del Pubblico Ministero, dell’onere di attivarsi tempestivamente per trasmettere gli atti al Magistrato di Sorveglianza ma ha ritenuto che comunque il diritto all’equa riparazione non può configurarsi, non ricorrendone le condizioni di legge proscioglimento del richiedente con sentenza irrevocabile ovvero condanna e sottoposizione del ricorrente, nel corso del procedimento, a custodia cautelare in violazione degli artt. 273 e 280 cod.proc.pen. . 2. Avverso l’ordinanza de qua ricorre il D.S. , per il tramite del suo difensore di fiducia. Il ricorso è articolato in due motivi. 2.1. Con il primo motivo l’esponente lamenta violazione di legge in relazione al fatto che la mancata trasmissione, in via immediata, della comunicazione al Magistrato di Sorveglianza da parte del Pubblico Ministero viola il disposto dell’art. 656, comma 4-bis, cod.proc.pen., come riconosciuto dalla stessa Corte di merito. Il tardivo riconoscimento della liberazione anticipata da parte del Magistrato di Sorveglianza, solo su istanza della difesa, rendeva illegittima la limitazione della libertà personale del D.S. per il periodo segnalato. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al fatto che, diversamente da quanto argomentato dalla Corte distrettuale, la riparazione per ingiusta detenzione compete non solo in relazione alle ipotesi di cui ai primi due commi dell’art. 314 cod.proc.pen., ma anche ad altre ipotesi di ingiustizia della restrizione ad esempio nei casi in cui l’ingiusta detenzione sia stata patita in esecuzione di un ordine di esecuzione adottato sul fallace presupposto che si fosse formato il giudicato di condanna o alla tardiva esecuzione dell’ordine di scarcerazione per concessione della liberazione anticipata. A tal riguardo, il ricorrente evoca i principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 310/1996. 3. Nella sua requisitoria scritta il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso e ha quindi concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento. In base all’art, 656, comma 4-bis, cod.proc.pen., il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di esecuzione, previa verifica dell’esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, era tenuto a trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza affinché provvedesse all’eventuale applicazione della liberazione anticipata il fatto che l’errore di calcolo fosse stato segnalato dalla difesa dell’odierno ricorrente imponeva all’Ufficio di Procura di attivarsi tempestivamente presso il competente Magistrato di Sorveglianza ciò non è avvenuto, e alla stregua dell’incarto disponibile deve ritenersi che tale circostanza abbia avuto rilevanza causale con riguardo al periodo di restrizione per il quale il ricorrente chiede ristoro. La Corte territoriale, che pure riconosce come ingiusto il protrarsi della detenzione del D.S. per 6 giorni, erra nel considerare tassativi i casi di applicabilità della riparazione per ingiusta detenzione ai quali l’ordinanza impugnata fa riferimento. Ed invero, alla luce degli interventi della Corte Costituzionale sull’art. 314 cod.proc.pen. e, più in generale, dei principi contenuti nella Carta fondamentale e nelle fonti sovranazionali accolte nel nostro ordinamento, l’interpretazione sistematica dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione non può limitarsi alla casistica espressamente indicata dalla detta disposizione e richiamata dall’ordinanza impugnata, ma deve riferirsi alla generalità delle fattispecie nelle quali la detenzione dell’interessato debba definirsi oggettivamente ingiusta . 2. Sotto tale profilo, ai fini del corretto inquadramento dell’istituto non può non richiamarsi la fondamentale sentenza n. 310/1996, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione. Nella specie, la decisione della Consulta riguardava un caso diverso da quello oggetto dell’odierno ricorso, nel quale l’ordine d’esecuzione della misura era stato adottato in base all’errato presupposto che si fosse formato il giudicato di condanna nei confronti dell’interessato tuttavia il principio affermato nella sentenza de qua deve interpretarsi come estensibile a tutte le ipotesi di provvedimenti causalmente incidenti sulla restrizione personale che siano viziati da illegittimità fra i quali a ben vedere rientra anche quello che ha attinto l’odierno ricorrente . Sul punto, invero, il Giudice delle leggi così si esprime la diversità della situazione di chi abbia subito la detenzione a causa di una misura cautelare, che in prosieguo sia risultata iniqua, rispetto a quella di chi sia rimasto vittima di un ordine di esecuzione arbitrario non è tale da giustificare un trattamento cosi discriminatorio, al punto che la prima situazione venga qualificata ingiusta e meritevole di equa riparazione e la seconda venga invece dal legislatore completamente ignorata . La disparità di trattamento tra le due situazioni appare ancor più manifesta, se si considera che la detenzione conseguente ad ordine di esecuzione illegittimo offende la libertà della persona in misura non minore della detenzione cautelare ingiusta . La scelta legislativa risulta oltretutto ingiustificata anche alla luce della legge 16 febbraio 1987, n. 81 Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale , dove, al punto 100 dell’art. 2, comma 1, e prefigurata, accanto alla riparazione dell’errore giudiziario, vale a dire del giudicato erroneo già oggetto della disciplina del codice previgente , anche la riparazione per la ingiusta detenzione ciò che lascia trasparire l’intento del legislatore delegante di non introdurre, su questo piano, ingiustificate differenziazioni tra custodia cautelare ed esecuzione di pena detentiva. Lo stesso art. 2 della citata legge di delegazione, nel prevedere che il nuovo codice si debba adeguare alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale, depone nel senso della non discriminazione tra le due situazioni, giacche proprio la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall’Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, prevede espressamente, all’art. 5, il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta. . 3. Né mancano, nella giurisprudenza di legittimità, pronunzie che, pur non affrontando la specifica questione, hanno risolto questioni similari applicando analoghi principi. Ad esempio si è affermato che l’esecuzione di un ordine di carcerazione originariamente legittimo ma relativo ad una pena risultante estintasi, in ragione del lungo arco temporale intercorso tra l’emissione del titolo e la sua esecuzione, determina l’ingiustizia della detenzione sofferta e, dunque, la configurabilità del diritto all’equa riparazione Sez. 4, n. 45247 del 20/10/2015, Myteveli, Rv. 264895 in motivazione la S.C. ha affermato che l’ordine di esecuzione non poteva più considerarsi efficace, pur in assenza di un’espressa declaratoria di estinzione della pena, per la doverosa diretta applicazione dell’art. 172 cod. pen. . Ancor più di recente la Corte di legittimità ha affermato che la tardiva esecuzione dell’ordine di scarcerazione disposta per liberazione anticipata determina l’ingiustizia della detenzione sofferta fino alla concreta liberazione del detenuto e, pertanto, costituisce titolo per la domanda di riparazione Sez. 4, n. 47993 del 30/09/2016, Pittau, Rv. 268617 nella fattispecie il ricorrente era stato scarcerato con oltre un mese di ritardo per la tardiva comunicazione al collegio procedente per la rideterminazione della pena dell’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che aveva concesso quarantacinque giorni di riduzione della pena per liberazione anticipata . 4. Conclusivamente, sulla base di un’interpretazione sistematica dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, che dovrà provvedere in termini conseguenti sull’istanza dell’interessato. L’ammontare della somma spettante a titolo d’indennizzo dovrà infatti essere determinato dalla Corte distrettuale tenendo conto del principio, affermato dalle Sezioni Unite, in base al quale la liquidazione dell’indennizzo, che va determinata conciliando il criterio aritmetico con quello equitativo, deve tenere conto del fatto che il grado di sofferenza cui è esposto chi, innocente, subisca la detenzione è di norma amplificato rispetto alla condizione di chi, colpevole, sia ristretto per un periodo eccessivo rispetto alla pena inflitta. Ne consegue che, se, in linea di principio, il diritto dell’innocente è da valutare in maniera privilegiata rispetto a quello del colpevole, tale conclusione non ha carattere assoluto, ed è compito esclusivo del giudice di merito considerare la peculiarità della situazione, adeguando la liquidazione alla specificità della fattispecie e motivando in modo puntuale sulla sua entità vds la già citata Sez. U, Sentenza n. 4187 del 30/10/2008, dep. 2009, Pellegrino, Rv. 241856 . P.Q.M. Annulla l’impugnata ordinanza con rinvio alla Corte d’appello di Bologna per nuovo esame.