Il mandato in bianco non ‘salva’ il boss dal concorso in omicidio

È configurabile il concorso di persone nel reato di omicidio nella forma del concorso morale quando il capo di un’organizzazione di stampo mafioso conferisca ai solidali il mandato generico per la soppressione di tutti i componenti di un clan rivale, o comunque di un gruppo di soggetti impegnati in attività criminose concorrenziali

Cosi la Suprema Corte con la sentenza n. 48590/17, depositata il 23 ottobre. Il caso. Il Tribunale di Napoli rigettava la richiesta di riesame proposta dall’imputato verso l’ordinanza del GIP dello stesso Tribunale, che lo aveva sottoposto alla misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, in quanto gravemente indiziato del concorso in un omicidio. Il Tribunale pone a fondamento dell’accusa le dichiarazioni di collaboratori di giustizia che indicavano l’indagato come il capo di un noto clan mafioso, oltre che il pericolo di recidivazione specifica in ragione della pericolosità elevata del soggetto, già condannato per plurimi omicidi. Avvero tale decisione l’indagato ricorreva in Cassazione lamentando la sussistenza di un c.d. mandato in bianco al base al quale non sarebbe stato possibile imputargli una responsabilità quale concorrente morale. Concorso di persone nel reato. In relazione al caso in esame la Cassazione richiama il principio secondo il quale è configurabile il concorso di persone nel reato di omicidio nella forma del concorso morale quando il capo di un’organizzazione di stampo mafioso conferisca ai solidali il mandato generico per la soppressione di tutti i componenti di un clan rivale, o comunque di un gruppo di soggetti impegnati in attività criminose concorrenziali, dal momento che tale incarico è solo relativamente indeterminato essendo, invece, determinabile in funzione dello scopo perseguito nell’ambito di un progetto specifico, deliberato nelle sue linee essenziali dal momento che l’appartenenza alla formazione avversaria delimita l’ambito delle possibili vittime, si distingue dunque dal generico programma proprio dell’associazione di stampo mafioso, che proietta nel futuro la realizzazione di una serie imprecisata di reati solo genericamente ed astrattamente previsti . Per questi motivo la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 - 23 ottobre 2017, n. 48590 Presidente Di Tomassi - Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 19 aprile 2017 il Tribunale di Napoli rigettava la richiesta di riesame proposta da S.F. avverso l’ordinanza del G.i.p. dello stesso Tribunale, che in data 15 marzo 2017 lo aveva sottoposto alla misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, in quanto gravemente indiziato del concorso nell’omicidio aggravato in danno di K.S. , rimasto vittima di un agguato mortale il omissis . 1.1 A fondamento della decisione il Tribunale aveva valorizzato le dichiarazioni accusatorie provenienti dai collaboratori di giustizia I.A. e Q.G. , secondo i quali lo S. , a capo del c.d. clan dei ”, pur senza avere individuato preventivamente una vittima specifica, aveva ordinato di uccidere gli extracomunitari che spacciavano droga nel territorio di competenza del clan al fine di riaffermarne la supremazia ed impedire che l’operato di soggetti estranei potesse attirare l’attenzione delle forze dell’ordine. In esecuzione di tale mandato tra l’ottobre e il dicembre del 1986 erano stati perpetrati l’omicidio del K. , trovatosi in omissis in luogo di usuale spaccio di droga, attività che aveva impegnato l’altro soggetto rimasto ferito nello stesso agguato, tale D.S.M. , trovato in possesso di 32 dosi di eroina, nonché in diversa circostanza quello di altri due senegalesi, tali Qu.An.Ge. e A.O.E. , per la cui uccisione lo S. era stato già giudicato responsabile con sentenza della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, che aveva valorizzato le conformi dichiarazioni rese a suo carico dai collaboratori di giustizia L.T.A. e P.G. , indicati a conferma delle altre due fonti dichiarative per la coincidente ricostruzione del contesto di maturazione dei tre omicidi e del ruolo di mandante dello S. . Il Tribunale confermava il giudizio di attendibilità dei collaboratori I. e Q. , sebbene quest’ultimo, diversamente dal primo, non si fosse attribuito il ruolo di esecutore materiale, ma di organizzatore del delitto e di reclutatore dei killers sulla scorta delle direttive impartite dallo S. , sicché il difetto di convergenza nell’indicazione di uno degli esecutori non poteva inficiare la conducenza e l’attendibilità delle loro accuse rivolte contro chi aveva assunto la deliberazione decisiva. Riteneva sussistere la gravità indiziaria anche a fronte di un incarico indeterminato, conferito dall’indagato in assenza della precisa e preventiva individuazione della vittima, per la circoscrizione del novero dei possibili bersagli appartenenti al gruppo degli extracomunitari di colore presenti nell’area del litorale domiziano. In punto di esigenze cautelari il Tribunale rilevava il pericolo di recidivazione specifica a ragione della pericolosità elevata dello S. , già condannato per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. e per plurimi omicidi e sottoposto a misure di prevenzione personali, per il quale aveva riportato varie condanne all’ergastolo, nonché l’operatività della duplice presunzione relativa stabilita dall’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, non superata da elementi contrari. 2. Ricorre l’indagato a mezzo del proprio difensore, denunciando i vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione al requisito della gravità indiziaria. Secondo la difesa, la motivazione dell’ordinanza, pur col rinvio all’ordinanza genetica, ha fornito risposte non aderenti alle risultanze processuali. Solo formalmente il Tribunale ha affrontato il tema della credibilità e della costanza del racconto dello I. , il quale, dopo aver riferito nel primo interrogatorio del 7/8/2014 di un omicidio avvenuto alla fine degli anni ‘80 dopo la morte del B. , pacificamente deceduto nel 1998, nell’interrogatorio del 13/6/2016 aveva descritto lo stesso omicidio come avvenuto nell’ottobre del 1986 e nel primo verbale non aveva attribuito allo S. alcun ruolo di concorrente morale e di mandante, come affermato in seguito. Anche nella descrizione del delitto lo I. non appare attendibile perché non riferisce del ferimento anche di un secondo senegalese, aspetto che il Tribunale ha risolto, rilevando che la seconda vittima sarebbe stata colpita solo successivamente, durante l’inseguimento a piedi, al di fuori del campo visivo dello I. , circostanza smentita dall’ordinanza genetica, laddove dall’attività investigativa si era dedotta una ricostruzione della dinamica divergente nel senso che i due senegalesi, in sosta in attesa di acquirenti di sostanze stupefacenti, erano stati raggiunti da un’autovettura con alcuni giovani a bordo che, con la scusa di acquistare eroina, si erano avvicinati ed avevano esploso alcuni colpi di fucile, ferendone gravemente uno ed uccidendo l’altro, caduto a terra dopo circa dieci metri. Non è stato attentamente valutato nemmeno il contrasto emerso tra le dichiarazioni dello I. e quelle del Q. sul ruolo avuto da quest’ultimo e sulla natura del presunto mandato conferito dal ricorrente, in bianco secondo lo I. , specifico secondo il Q. perché riferito all’uccisione delle persone poi eliminate. Non può quindi parlarsi di convergenza degli elementi probatori raccolti e l’ordinanza si discosta dai criteri legali di valutazione della chiamata in correità, tanto più che in ordine al c.d. mandato in bianco la giurisprudenza sostiene che non può sussistere responsabilità quale concorrente morale in capo al singolo soggetto. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e non merita dunque accoglimento. 1. L’impugnazione in esame, nel contestare l’acquisizione di un compendio indiziario qualificato da gravità e sufficiente a giustificare l’applicazione della misura cautelare di massimo rigore, assume che le propalazioni dei collaboratori non sarebbe state correttamente valutate dal Tribunale del riesame, limitatosi ad un riscontro formale di attendibilità. Appunta le proprie censure sul narrato di I.A. , di cui segnala due profili di incostanza nella rievocazione dell’omicidio del K. , diversamente descritto nei due interrogatori resi quanto alla sua collocazione temporale ed al ruolo svolto dallo S. e la discordanza con la descrizione offertane dall’altro propalante, Q.G. , circa le modalità partecipative al delitto di quest’ultimo. 1.1 Ritiene il Collegio che la doglianza non abbia fondamento e sia comunque frutto di una lettura riduttiva ed atomistica delle più ampie ed articolate considerazioni contenute nell’ordinanza contestata, rispetto alle quali prospetta soltanto una critica parziale. In primo luogo, non si occupa di confutare un dato che nella valutazione dei giudici cautelari ha assunto un rilievo significativo, ossia la già pronunciata condanna dello S. per l’omicidio di due senegalesi, avvenuto il omissis , quale mandante del delitto, compiuto da un gruppo di esecutori a lui fedeli e partecipi della stessa organizzazione camorristica per finalità di predominio nella gestione dei traffici illeciti nel territorio dalla stessa controllato. La circostanza per il Tribunale riveste valore dimostrativo anche nella presente vicenda, perché compiuta in parte dai medesimi autori, nella stessa area e per identiche finalità, ma soprattutto col contributo determinante del ricorrente nel medesimo ruolo di mandante in un contesto criminale di maturazione delle scelte e degli scopi che è unitario. 1.2 Inoltre, il collegio del riesame non ha ignorato le obiezioni mosse dalla difesa al giudizio di attendibilità delle fonti dichiarative escusse. Le stesse tematiche illustrate in ricorso hanno già trovato soluzione nell’ordinanza in esame, che, oltre ad avere richiamato le argomentazioni sulla positiva verifica di attendibilità espresse nell’ordinanza applicativa, nel replicare ai motivi sviluppati dalla difesa col riesame, ha ravvisato un nucleo narrativo comune nelle propalazioni dello I. e del Q. . Ha evidenziato che, secondo costoro, lo S. , capo del clan dei , nel perseguire una strategia di riaffermazione del predominio della propria organizzazione, aveva deliberato si realizzasse l’omicidio di alcuni extracomunitari dediti allo spaccio di droga nella zona di sua competenza per punire e dissuadere forme di criminalità concorrenziale ed incontrollata ed impedire l’intensificarsi dell’azione di contrasto delle forze dell’ordine, di ostacolo anche alle attività illecite dalla stessa condotte. Il mandato così conferito non aveva ad oggetto l’uccisione di soggetti già individuati nella loro identità, quanto di appartenenti al gruppo degli spacciatori di colore, attivi nell’area del litorale domiziano riscontro a tale indicazione è stato rinvenuto nelle modalità e nel luogo in cui l’azione omicidiaria era stata realizzata, ossia in un’area ove erano solitamente posizionati gli spacciatori senegalesi in attesa di acquirenti, come il soggetto, D.S.M. , che era stato ferito nella sparatoria che aveva ucciso il K. . Inoltre, si è segnalata, come già detto, l’analogia per alcuni esecutori, modalità operative, tipologia di vittime e finalità perseguite del duplice omicidio del omissis , realizzato meno di due mesi dopo quello oggetto del presente procedimento. Le incongruenze nella rievocazione del fatto, segnalata nelle rispettive versioni dello I. e del Q. e rispetto alle emergenze investigative, non sono state ignorate, ma stimate tali da non comprometterne la credibilità e la reciproca capacità di offrirsi riscontro a ragione della convergente descrizione dei caratteri essenziali del delitto e della constatazione che i profili di divergenza, spiegabili con la risalenza nel tempo degli eventi narrati e con il grande numero di omicidi commessi dalla cosca, non investono il ruolo svolto dallo S. , quanto dettagli secondari della vicenda. Alle contestazioni sulla diversa dinamica esecutiva dell’omicidio, riferita dallo I. rispetto alla ricostruzione prospettata dagli investigatori si è risposto che quest’ultima costituisce una mera ipotesi, basata sul rinvenimento delle due vittime a distanza di dieci metri l’una dall’altra, mentre il collaboratore aveva riferito di un inseguimento a piedi avvenuto in una zona preclusa alla sua visuale, particolare che elide la difformità segnalata dalla difesa. Del pari è stato apprezzato come non decisivo il contrasto tra i due collaboratori sull’apporto partecipativo del Q. , poiché quest’ultimo, pur avendo escluso di avere preso parte alla fase esecutiva dell’omicidio e riferito inizialmente dell’uccisione di due o tre senegalesi in un’unica azione criminosa, poi ricostruita nella sua duplicità, si era comunque attribuito il ruolo di esecutore degli ordini impartiti dallo S. e di reclutatore degli sparatori senza avere mai rivendicato la propria estraneità e perseguito in tal modo l’impunità. Deve dunque concludersi che le valutazioni espresse dai giudici del merito in ordine alla piattaforma indiziaria sono incensurabili nel giudizio di legittimità, perché certamente non implausibili e conformi ai criteri legali prescritti per l’utilizzo probatorio della chiamata in correità anche quando proveniente da collaboratori di giustizia. 1.3 Infine, non ha pregio giuridico nemmeno la censura sulla pretesa non configurabilità del c.d. mandato in bianco asseritamente conferito dallo S. il Tribunale ha rilevato che il materiale indiziario acquisito offre indicazioni convergenti ed attendibili di un preciso progetto criminoso, elaborato dal ricorrente ed orientato a colpire, non già esponenti delle forze dell’ordine, eventuali oppositori o concorrenti genericamente intesi, quanto un gruppo di trafficanti di droga, specificamente individuati per appartenenza etnica, caratteristiche razziali e luogo di operatività, in quanto attivi nella propria zona di egemonia. Ad avviso del Collegio merita condivisione la distinzione enucleata dal Tribunale tra il programma delittuoso dell’organizzazione camorristica, - per sua natura indeterminato perché orientato verso future intraprese ancora da elaborare, sebbene comprensivo dell’uso della violenza anche nella sua massima espressione e dell’intimidazione nei confronti dei sodali e dei soggetti entrati in contatto con i suoi esponenti ed interferenti con gli obiettivi antigiuridici di predominio e di arricchimento con i proventi delle attività criminali -, e l’ideazione di un preciso delitto da realizzarsi in modo circoscritto in danno di una limitata categoria di possibili vittime, ancorché non nominativamente o personalmente individuate. Il discrimine sta nella concretezza della deliberazione e nella previsione delle modalità essenziali dell’azione e del soggetto passivo, che, nel mandato in bianco , seppur non sia indicato nella sua realtà individuale è determinabile in base a caratteristiche selettive che rispondono alla finalità perseguita come accaduto nel caso specifico, in cui la vittima designata doveva appartenere al gruppo di spacciatori extracomunitari africani, operanti in un’area ben delimitata. La programmazione tipica di un’associazione di stampo mafioso riguarda, invece, un progetto operativo da realizzare in tempi ravvicinati e con modalità stabilite in linea di massima da parte del mandante, che consente di ravvisare l’apporto concorsuale morale nelle forme dell’istigazione e della deliberazione di azione delittuosa rimessa per la sua attuazione all’intervento degli incaricati. L’interpretazione in tali termini del concorso morale non confligge con il principio di personalità della responsabilità penale, perché non addebita al dirigente del sodalizio mafioso il delitto, realizzato da altri sodali, per il solo fatto dell’adesione al suo programma delinquenziale, né per la posizione verticistica del soggetto, ma valorizza il contributo causalmente determinante all’iniziativa illecita dato mediante la sua ideazione e l’impulso all’operato dei concorrenti esecutori materiali. Resta solo da aggiungere che l’ordinanza ha richiamato in senso adesivo una precedente decisione di questa Corte Cass., sez. 5, n. 47739 del 12/11/2003, P.M. in proc. Arena ed altri, rv. 227777 , il cui principio di diritto, - mai smentito da pronunce contrarie, che il ricorso evoca ma non cita negli estremi identificativi-, si condivide e riafferma nei seguenti termini è configurabile il concorso di persone nel reato di omicidio nella forma del concorso morale quando il capo di un’organizzazione di stampo mafioso conferisca ai sodali il mandato generico per la soppressione di tutti i componenti di un clan rivale, o comunque di un gruppo di soggetti impegnati in attività criminose concorrenziali, poiché tale incarico è solo relativamente indeterminato, ma è determinabile in funzione dello scopo perseguito nell’ambito di un progetto specifico, deliberato nelle sue linee essenziali, dal momento che l’appartenenza alla formazione avversaria delimita l’ambito delle possibili vittime si distingue dunque dal generico programma proprio dell’associazione di stampo mafioso, che proietta nel futuro la realizzazione di una serie imprecisata di reati solo genericamente ed astrattamente previsti. Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.