L’appartamento in locazione utilizzato come laboratorio per prodotti contraffatti può essere oggetto di sequestro?

In caso di procedimento penale per introduzione nello Stato e commercio di prodotti contraffatti, può essere disposto il sequestro di beni appartenenti ad un terzo estraneo al reato che servirono o furono destinati a commettere il reato, oppure che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto, solo in presenza di determinate condizioni.

Sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 48121/17, depositata il 18 ottobre. Il fatto. Il Tribunale del riesame, nell’ambito di un procedimento per il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, confermava il provvedimento di sequestro preventivo disposto dal GIP ed avente ad oggetto un bene immobile di proprietà di un terzo estraneo al reato. In particolare, egli era il proprietario dell’immobile concesso in locazione agli imputati ed utilizzato da quest’ultimi come laboratorio per la realizzazione dei prodotti contraffatti. Il proprietario del bene impugna l’ordinanza di riesame con ricorso in Cassazione dolendosi, con unico motivo di ricorso, per l’illegittimità del sequestro disposto nei suoi confronti per violazione dell’art. 474- bis c.p. che impone il sequestro delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, oppure che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto. In quanto terzo estraneo al reato, infatti, la confisca avrebbe potuto considerarsi legittima solo in mancanza della dimostrazione di non aver potuto prevedere l’illecito impiego della res di sua proprietà o di non essere incorso in difetto di vigilanza, dimostrazione che nel caso di specie deve – sempre a detta del ricorrete – ritenersi sussistente. Sequestro. Il Collegio rileva la fondatezza del ricorso richiamando il principio giurisprudenziale secondo cui l’obbligo di vigilanza previsto dall’art. 474- bis c.p. non rappresenta un obbligo ulteriore, ma un obbligo che discende dalle clausole contrattuali per l’utilizzo del bene. Il terzo proprietario che chiede la restituzione del bene oggetto di sequestro deve dunque dimostrare di non aver potuto prevedere l’illecito impiego del bene, nella misura in cui la natura del rapporto contrattuale gli permetteva, e di aver adempiuto all’obbligo di vigilanza nella misura in cui la legge e i contratti gli permettevano. Tornando al caso di specie, la Corte sottolinea che il proprietario che conceda in locazione un immobile non può imporre un uso lecito dello stesso posto che, nel rapporto contrattuale, la previsione della destinazione del bene è limitata alla distinzione tra uso abitativo o meno e, dunque, il potere di vigilanza esercitabile dal proprietario è limitato a tale circostanza. Non essendosi il Tribunale attenuto a tale principio, la Corte annulla il provvedimento con rinvio per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 settembre – 18 ottobre 2017, n. 48121 Presidente Zaza – Relatore Amatore Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo disposto dal G.i.p. del medesimo Tribunale, ai sensi dell’art. 474 bis cod. pen., sequestro avente ad oggetto il bene immobile di proprietà del ricorrente terzo estraneo al reato e relativo ad un procedimento penale nei confronti di altri soggetti incardinato per il reato di cui all’art. 474 cod. pen Avverso la predetta ordinanza ricorre il terzo proprietario del detto immobile, per mezzo del suo difensore, affidando la sua impugnativa ad una unica ragione di doglianza. 1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo ed unico motivo, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b cod. proc. pen., violazione di legge in relazione agli artt. 240, 473, 474 e 474 bis cod. pen Evidenzia il ricorrente che la sua posizione era quella di terzo estraneo al reato di cui all’art. 474 cod. pen. e che, pertanto, per la legittimità della confisca dei suoi beni la disposizione di cui al detto art. 474 bis prevede, ora, che il terzo debba dimostrare di non aver potuto prevedere l’illecito impiego della res di sua proprietà ovvero di non essere incorso nella violazione di una mancanza di vigilanza. Sostiene, tuttavia, il ricorrente di aver fornito tale dimostrazione, e ciò anche attraverso l’allegazione della circostanza fattuale secondo cui il primo sequestro preventivo disposto dal G.i.p. era intervenuto dopo solo 43 giorni dalla sottoscrizione del contratto di locazione immobiliare con l’indagato e subito dopo era intervenuto atto di risoluzione negoziale da parte di egli ricorrente. Si evidenzia, pertanto, la mancata considerazione della detta circostanza da parte del tribunale ricorso e la non conformità della motivazione impugnata alla interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’obbligo di vigilanza previsto dall’art. 474 bis cod. pen. del cui assolvimento la norma impone la prova al terzo, al fine di far ritenere non sequestrabile il bene di quest’ultimo non è un ulteriore obbligo previsto dalla norma di nuovo conio quanto piuttosto un obbligo che deve discendere dalle clausole contrattuali stabilite per la utilizzazione del bene, pena l’insorgenza di una ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del terzo. Ritenuto in diritto 2. Il ricorso è fondato. 2.1 È fondato il denunziato vizio di violazione di legge in relazione alla esegesi dell’art. 474 bis cod. pen Sul punto, si intende fornire continuità applicativa al principio già espresso da questa Corte cfr., Sez. 1, Sentenza n. 25625 del 2013 e secondo il quale l’obbligo di vigilanza previsto dall’art. 474 bis cod. pen. non rappresenta un ulteriore obbligo disposto dalla norma in esame, quanto piuttosto un obbligo che deve discendere dalle clausole contrattuali stabilite per la utilizzazione del bene. Ed invero, interpretare, diversamente, l’art. 474 bis c.p., nel senso cioè che il terzo proprietario della cosa debba in ogni caso, da un lato, prevedere l’illecito impiego della cosa e, dall’altro, vigilare sull’uso della cosa, significa affermare che la norma pone, in sostanza, delle clausole imperative ai contratti di trasferimento di detti beni e dei divieti a detto trasferimento, vietando di affittare o noleggiare o dare in comodato beni potenzialmente utilizzabili per la contraffazione a soggetti che prevedibilmente useranno detti beni con modalità illecite e imponendo in ogni caso di vigilare sull’uso che viene fatta della cosa che è stata ceduta non in proprietà. Ciò è palesemente contrario alla volontà del legislatore. Occorre, invece, approdare alla esegesi opposta della norma in esame, e cioè giungere alla conclusione per la quale, a seconda della natura del bene oggetto del trasferimento, il terzo proprietario che chiede la restituzione dovrà dimostrare di non avere potuto prevedere l’illecito impiego del bene nella misura in cui il rapporto contrattuale gli permetteva di prevederlo e di avere adempiuto all’obbligo di vigilanza nella misura in cui la legge e i contratti gli permettevano di vigilare sull’uso della cosa. È proprio la ipotesi della locazione di un immobile, risultato trasformato in laboratorio per la realizzazione di prodotti contraffatti. In realtà, il proprietario non può imporre un uso lecito dell’immobile e, nel rapporto contrattuale, la previsione della destinazione futura dell’appartamento sarà limitata alla sua destinazione a civile abitazione o a ufficio allo stesso modo, la vigilanza possibile da parte del proprietario sarà quella prevista dalla legge e dal contratto. Ciò detto, risulta, all’evidenza, che il provvedimento impugnato non si sia attenuto al principio di diritto qui riaffermato, con la conseguenza di un nuovo esame da parte del giudice ricorso della vicenda processuale oggi in esame alla luce di quanto qui affermato. Peraltro, non può neanche essere sottaciuto come la parte ricorrente avesse allegato almeno due circostanze che avrebbero potuto essere rilevanti per il giudizio in tema di eventuale difetto di vigilanza ex art. 474 bis, terzo comma, cod. pen., e cioè il fatto che il primo sequestro preventivo disposto dal G.i.p. era intervenuto dopo solo 43 giorni dalla sottoscrizione del contratto di locazione immobiliare con l’indagato e che, subito dopo, era intervenuto atto di risoluzione negoziale da parte dello stesso ricorrente. Circostanze quest’ultime che, sebbene formalmente allegate dal terzo proprietario, non erano state in alcun modo considerate dal giudice del riesame cautelare. Si impone pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato con un nuovo esame da parte del giudice del rinvio che tenga conto del principio di diritto sopra affermato e delle allegazioni argomentative del ricorrente da ultimo ricordate. P.Q.M. Annulla il provvedimento con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame.