La sanzione accessoria non esclude il reato dalla depenalizzazione

La sospensione dall’esercizio della professione, così come tutte le altre sanzioni accessorie, non escludono il rispettivo reato, punito con la sola pena pecuniaria quale pena principale, dall’ambito della depenalizzazione operata dal d.lgs. n. 8/2016.

Il principio è stato affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 47818/17, depositata il 17 ottobre. Il fatto. La titolare di una farmacia veniva condannata per la detenzione ai fini di vendita di un medicinale privo di autorizzazione AIFA o di autorizzazione comunitaria, ritenendo il giudice di merito che la contravvenzione non sia coperta dalla depenalizzazione di cui al d.lgs. n. 8/2016 poiché punita, oltre che con la pena pecuniaria, anche con la sospensione dall’esercizio della professione. Il difensore impugna la sentenza con ricorso in Cassazione per l’erronea ricostruzione in punto di esclusione dalla depenalizzazione. Depenalizzazione cd. cieca”. L’ambito applicativo della depenalizzazione di cui al d.lgs. n. 8/2016 è stato individuato dalla legge delega n. 67/2014 sulla base di un criterio formale legato al tipo di trattamento sanzionatorio da un lato e di uno sostanziale, dall’altro, in riferimento a determinati comportamenti espressamente individuati. Il caso di specie rientra nella prima ipotesi che trova la sua espressione normativo nella lett. a , del comma 2, dell’art. 2 della legge delega con il riferimento a tutti i reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria. Come precisa la Corte, si tratta di una clausola generale di depenalizzazione cd. cieca” ed è evidente che il legislatore delegante ha inteso riferirsi alla pena principale, che esprime il nucleo essenziale del disvalore del fatto, e non anche alle eventuali pene accessorie . Le sanzioni accessorie sono comunque state prese in considerazione dal legislatore ma in riferimento a determinate fattispecie oggetto di depenalizzazione nominativa per le quali l’art. 4, comma 1, d.lgs. n. 8/2016 prevede sanzioni amministrative accessorie in caso di reiterazione specifica, senza assumere dunque alcuna efficacia preclusiva in riferimento alla depenalizzazione. In conclusione, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e dispone la trasmissione degli atti all’autorità competente per l’erogazione di eventuali sanzioni amministrative.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 1 giugno – 17 ottobre 2017, n. 47818 Presidente Amoresano – Relatore Androino Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 20 ottobre 2016, Il Tribunale di Potenza ha condannato l’imputata alla pena di Euro 600,00 di ammenda e alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per giorni 10, per il reato di cui all’art. 147, comma 3, del d.lgs. n. 219 del 2006, perché, nella qualità di titolare di una farmacia, deteneva per la vendita, all’interno di un frigorifero posto nel locale, adibito alla vendita di farmaci, 10 confezioni di specialità medicinale denominata omissis , omissis , distribuite dalla ditta GRUNENTHAL PHARMA AG DI , prive della prescritta autorizzazione dell’AIFA o di un’autorizzazione comunitaria a norma del regolamento CE n. 726/2004, come prevista dall’art. 6 dello stesso d.lgs. n. 219 del 2006. 2. - Avverso la sentenza, ha presentato ricorso per cassazione, tramite il difensore, l’imputata. 2.1. - Con un primo motivo di doglianza, si lamenta l’inosservanza dell’art. 1, del d.lgs. n. 8 del 2016. Secondo l’argomentazione difensiva, tale disposizione prevede la depenalizzazione di reati puniti con la sola pena pecuniaria e fissa i casi di esclusione, tra i quali non rientra la previsione dell’art. 147 del d.lgs. n. 219 del 2016. Dunque, la fattispecie contestata all’imputata non costituirebbe più reato. Tuttavia, il giudice di primo grado ha ritenuto non operante nel caso di specie la depenalizzazione, perché la contravvenzione in oggetto è punita - oltre che con l’ammenda - con la sospensione dall’esercizio della professione . Secondo il ricorrente, la ricostruzione operata dal Tribunale risulterebbe erronea, in quanto, ai fini della corretta interpretazione della norma, bisognerebbe far riferimento alla pena principale e non alle eventuali pene accessorie. Analoga interpretazione sarebbe stata riconosciuta anche all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., che prevede l’inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda, per cui è stato pacificamente chiarito dalla giurisprudenza che il legislatore, al fine stabilire i casi di inappellabilità delle sentenze, abbia voluto fare riferimento alla pena principale e non anche a quella accessoria. 2.2. - In secondo luogo, si deducono vizi della motivazione in relazione alla ritenuta assenza di autorizzazione comunitaria del farmaco. Secondo il ricorrente, nel corso del procedimento si sarebbe accertata la mancanza di un’autorizzazione italiana , ma non anche di un’autorizzazione comunitaria, così come sarebbe stato confermato dal controesame del luogotenente del reparto N.A.S. dei Carabinieri di Potenza, il quale avrebbe riferito che nessun accertamento era stato effettuato, nel corso delle indagini, sull’esistenza o meno della predetta autorizzazione comunitaria. La sentenza, tuttavia, riterrebbe mancante anche questa autorizzazione, provenendo il medicinale dalla Svizzera, Stato non membro dell’Unione . Questa costituirebbe, secondo la prospettazione difensiva, una motivazione meramente apparente, perché del tutto avulsa dalle risultanze processuali. 2.3. - Con un terzo motivo di ricorso, si lamenta la mancata applicazione dell’art. 131 bis, cod. pen., considerato alla stregua dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ricorrendo nel caso di specie, secondo il ricorrente, tutti i presupposti per l’applicabilità della causa di non punibilità. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è parzialmente fondato. 3.1. - Il secondo motivo - che deve essere trattato per primo perché il suo eventuale accoglimento avrebbe come conseguenza l’insussistenza del fatto di reato, attenendo a un elemento costitutivo dello stesso qual è la mancanza di autorizzazione - è inammissibile per genericità. La difesa si limita, infatti, a ipotizzare, per il farmaco in questione, l’esistenza di un’autorizzazione comunitaria, della quale non vi è traccia negli atti di causa, sostenendo che il pubblico ministero avrebbe l’onere di fornire la prova, di fatto impossibile perché negativa, di tali inesistenza. 3.2. - Il primo motivo è invece fondato, con conseguente assorbimento del secondo. 3.2.1. - L’ambito applicativo della depenalizzazione attuata dal d.lgs. n. 8 del 2016 è individuato dalla legge di delegazione n. 67 del 2014 in base a due diversi criteri di selezione il primo, di carattere formale, legato al tipo di trattamento sanzionatorio il secondo, di carattere sostanziale, dipendente dal riconoscimento che determinati comportamenti puntualmente individuati, pur mantenendo il carattere illecito, non sono più, tuttavia, ritenuti meritevoli di pena, potendo essere sanzionati in via amministrativa. Il primo criterio, applicabile nel caso di specie, è previsto dalla lettera a del comma 2 dell’art. 2 della legge delega, fa riferimento a tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda e costituisce una clausola generale di depenalizzazione cd. cieca - già in passato utilizzata dal legislatore - al fine di individuare i reati meno gravi, dal momento che il loro trattamento sanzionatorio non prevede pene restrittive della libertà personale, quali l’arresto o la reclusione. Ed è evidente che il legislatore delegante ha inteso riferirsi alla pena principale, che esprime il nucleo essenziale del disvalore del fatto, e non anche alle eventuali pene accessorie, le quali potrebbero essere previste anche per fattispecie punite con la sola pena pecuniaria, perché lo scopo della riforma è quello di deflazionare il più possibile il sistema penale, sostanziale e processuale. Il legislatore delegato ha ritenuto di non comminare sanzioni accessorie per gli illeciti risultanti dalla clausola generale di depenalizzazione c.d. cieca , solo per la difficoltà di formulare, sia sul piano redazionale che di compatibilità con i limiti derivanti dalla delega, una disposizione altrettanto generale di conversione delle eventuali originarie pene accessorie, e non perché le fattispecie con pena accessoria fossero da ritenere escluse dalla depenalizzazione. L’art. 4, comma 1, del decreto prevede, invece, le sanzioni amministrative accessorie della sospensione della concessione, della licenza, dell’autorizzazione o di altro provvedimento amministrativo che consente l’esercizio dell’attività da un minimo di dieci giorni a un massimo di tre mesi, nel caso di reiterazione specifica di uno dei seguenti illeciti depenalizzati articolo 668 cod. pen. articolo 171-quater della legge 22 aprile 1941, n. 633 articolo 28, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990. Al comma 2 è previsto che, allo stesso modo, provvede il giudice con la sentenza di condanna qualora sia competente, ai sensi dell’articolo 24 della legge 24 novembre 1981, n. 689, a decidere su una delle violazioni indicate nel comma 1. Il quadro è completato dall’art. 8, comma 3, del decreto legislativo numero otto del 2016, Secondo cui Ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto non si applicano le sanzioni amministrative accessorie introdotte dal presente decreto, salvo che le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie . Le sanzioni accessorie sono, dunque, espressamente prese in considerazione solo per alcune delle fattispecie oggetto di depenalizzazione nominativa depenalizzazione in relazione alla quale esse non hanno comunque efficacia preclusiva. 3.2.2. - Non può essere condivisa, dunque, l’affermazione del Tribunale secondo cui la previsione della sanzione accessoria della sospensione dall’esercizio della professione esclude il reato previsto dall’art. 147, comma 3, d.lgs. 219/2006, dall’ambito della depenalizzazione operata dal d.lgs. n. 8 del 2016, perché la depenalizzazione c.d. cieca , che coinvolge tale disposizione, opera sul semplice presupposto che la pena principale abbia carattere pecuniario, restando del tutto irrilevante la pena accessoria. 4. - Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, con trasmissione degli atti all’autorità competente all’eventuale irrogazione di sanzioni ammnistrative, ai sensi del d.lgs. n. 8 del 2016, artt. 7, comma 1, e 9, comma 1. Tale autorità deve essere individuata in quella competente ad irrogare le altre sanzioni amministrative già previste dalle leggi che contemplano le violazioni stesse , ovvero nell’AIFA Agenzia italiana del farmaco , secondo quanto disposto in tal senso dall’art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 17 del 2014. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto contestato non è previsto dalla legge come reato. Dispone la trasmissione degli atti all’AIFA.