Assicuratore “ladro”: appropriazione indebita o truffa?

La Cassazione è interrogata in merito alla fattispecie di reato che deve essere attribuita all’assicuratore, il quale si era appropriato del premio assicurativo di una polizza relativa al veicolo della parte civile.

Sul punto si è espressa la Suprema Corte con sentenza n. 45766/17, depositata il 5 ottobre . La vicenda. La Corte d’Appello confermava la condanna di primo grado dell’imputato per il reato di truffa ai danni dell’assicurato, il quale si era costituito come parte civile. L’imputato assicuratore era accusato di aver incassato il premio assicurativo e di aver registrato lo stesso premio dopo la scadenza del periodo assicurativo. Il difensore dell’imputato ricorre per cassazione chiedendo la riqualificazione del reato, da truffa a appropriazione indebita, contestando inoltre il risarcimento dovuto alla parte civile che non doveva essere ammessa nel processo in quanto non aveva subito un danno. Artificio e raggiro sono causa o conseguenza dell’appropriazione. La Suprema Corte in merito al primo motivo posto in essere dal ricorrente ha precisato che sussiste il delitto di truffa quando l’artificio e il raggiro risultino necessari alla appropriazione, mentre ricorre il reato di appropriazione indebita quando gli artifizi e raggiri siano posti in essere dopo l’appropriazione del bene a soli fini dissimulatori . Nella fattispecie è stato correttamente condannato l’assicuratore per il reato di truffa in quanto i raggiri erano avvenuti prima della conoscenza dell’ammontare del premio. Sussistenza del danno per la parte civile. La Corte conferma la sussistenza del danno affermata dalla Corte territoriale, la quale aveva considerato che il pregiudizio subito dall’assicurato non fosse stato causato dell’irregolarità assicurativa, ma fosse dovuto alle difficoltà riscontrate a causa del blocco del veicolo dalla circolazione per giorni e dal dover sottoscrivere una polizza assicurativa meno favorevole. Per queste ragioni la S.C. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 22 settembre – 5 ottobre 2017, numero 45766 Presidente Gallo – Relatore Coscioni Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Potenza confermava la sentenza di primo grado con la quale T.N.G. era stato condannato per il reato di truffa, commessa ai danni di G.S. , consistita nell’aver incassato il premio assicurativo di una polizza relativa ad un veicolo di G. e nell’aver registrato il premio assicurativo dopo la scadenza del periodo assicurativo. 1.1 Avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore di T. , eccependo che nel caso in esame era rilevabile il reato previsto dall’art. 646 c.p. e non quello di cui all’art. 640 cod.penumero G. , al momento del pagamento, aveva ricevuto la quietanza ed il bollino da esporre sul veicolo, nonché il certificato assicurativo, che costituiva prova documentale del contratto di assicurazione e obbligava l’assicurazione a risarcire i danni in caso di sinistro stradale nessun danno aveva quindi subito la parte civile, che non poteva quindi agire nei suoi confronti, posto che semmai era T. che poteva agire nei confronti del coimputato D.P. giudicato separatamente , il subagente che aveva riscosso il premio della polizza e non la aveva messa in garanzia. 1.2 Il difensore eccepisce inoltre che non era stato posto in essere alcun artificio o raggiro, visto che G. , avendo ricevuto la polizza e i contrassegni poteva tranquillamente circolare lo stesso G. aveva riferito che T. si era attivato per sollecitare il rilascio dell’attestato di rischio inviando un fax all’agenzia generale dell’assicurazione nessuna prova vi era sia del danno patrimoniale o di un effettivo depauperamento economico del soggetto passivo, né di un ingiusto profitto derivato al presunto truffatore. 1.3 Il difensore osserva poi come la pena inflitta era eccessiva e non proporzionata e doveva essere rideterminata. 1.4 Il difensore eccepisce inoltre che la costituzione della parte civile non doveva essere ammessa, in quanto questa non aveva subito alcun danno e l’imputato non aveva conseguito alcun vantaggio. Considerato in diritto 2. Il ricorso proposto è infondato. 2.1 Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, questa Corte ha precisato che sussiste il delitto di truffa quando l’artificio e il raggiro risultino necessari alla appropriazione, mentre ricorre il reato di appropriazione indebita quando gli artifizi e raggiri siano posti in essere dopo l’appropriazione del bene a soli fini dissimulatori Sez. 2, sentenza numero 51060 dell’11/11/2016 Ud., dep. 30/11/2016, Rv. 269234 nel caso in esame, i raggiri sono stati posti in essere prima e proprio in funzione della apprensione della somma, per cui correttamente è stata ritenuta sussistente l’ipotesi di cui all’art. 640 cod.penumero . 2.2 Relativamente al secondo motivo di ricorso, la Corte ravvisa la sussistenza degli artifici e raggiri osservando che quando G. chiese l’attestato di rischio, T. parlò di un problema, impegnandosi a far arrivare il documento mentre, se fosse stato in buona fede, avrebbe fornito al cliente le informazioni che ottenne in seguito presso altra agenzia. Quanto alla sussistenza di un danno per la parte civile, il ricorrente non si confronta in alcun modo con la considerazione della Corte territoriale che il danno per la parte civile è consistito non nella irregolare situazione assicurativa effettivamente non foriera di pregiudizio, non foss’altro perché non si verificarono incidenti , quanto nella necessità di non poter circolare col veicolo per alcuni giorni e poi nel sottoscrivere altra polizza, meno favorevole pag. 5 sentenza impugnata neppure può dirsi che non vi sia stato alcun vantaggio economico, posto che T. ricevette la somma di Euro 291,79 in contanti da G. la circostanza è ammessa da T. , sia pure con l’aggiunta che egli diede poi la somma al subagente D.P. pertanto, al momento della registrazione del premio assicurativo successiva al periodo di validità del contratto , il reato si era già perfezionato in quanto sussistevano sia il danno che il profitto sopra evidenziati. 2.3 Sulla quantificazione della pena, il motivo è estremamente generico e non tiene conto che la Corte di appello ha richiamato le modalità della vicenda, caratterizzata dall’abuso del rapporto fiduciario con il cliente per l’ultimo motivo di ricorso si richiamano le considerazioni sopra espresse. 3. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. La natura non particolarmente complessa della questione e l’applicazione di principi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della decisione in forma semplificata. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.