Il canone dell'«oltre ogni ragionevole dubbio» a volte funziona

Nel caso in cui la prospettazione difensiva sia dotata di riscontri oggettivi, il giudice deve farsi carico di confutarla specificamente, dando rigorosa dimostrazione della sua inattendibilità.

Così ha deciso la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, con la sentenza n. 45786, depositata il 5 ottobre 2017. Quando il patrocinio gratuito si trasforma in una trappola. Un soggetto viene condannato in primo e secondo grado per avere – questa è l'ipotesi accusatoria – reso false dichiarazioni in merito all'ammontare del proprio reddito per chiedere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La ricostruzione del quantum , nel caso di specie, presentava elementi di una certa complicatezza, dato che l'imputato aveva due fonti di reddito con altrettanti CUD. Rimane priva di una risposta, da parte dei giudici d'appello, la tesi difensiva che insisteva sulla incapacità – per un profano – a districarsi tra le minuziosissime norme che regolano il calcolo dei redditi l'idea portante del ragionamento a supporto della condanna, portata avanti attraverso le due sentenze di merito, è quella secondo cui l'intenzione dell'imputato, a prescindere da tutto, era quella di frodare la legge e ottenere a tutti i costi l'ammissione al patrocinio gratuito. Non resta, quindi, che la strada del ricorso per cassazione. Le notifiche a mezzo PEC generano puntualmente problemi. Un primo motivo di ricorso, giudicato però infondato, riguardava la notificazione a mezzo PEC, eseguita quindi al difensore, dell'estratto contumaciale della sentenza d'appello, nonostante l'imputato non avesse eletto domicilio presso lo studio dell'avvocato. La doglianza cade, però, nel vuoto perché – così comprendiamo dalle poche righe che gli Ermellini vi dedicano – nel caso in esame sarebbe stata rilasciata al difensore una procura speciale” processualmente, ci permettiamo di osservare, del tutto superflua per presentare ricorso per cassazione. A cogliere nel segno, però, è il motivo di impugnazione con cui si sottopone a critica la motivazione d'appello. Il dovere di vagliare le tesi difensive una interessante puntualizzazione. Abbiamo già detto quale fosse l'idea dei giudici di merito l'imputato aveva intenzioni fraudolente, tanto da non avere prodotto uno dei due CUD per chiedere l'ammissione al patrocinio gratuito. La difesa fa però osservare che la somma dei redditi derivanti dai due CUD non avrebbe sforato il limite per l'ammissione evidente, quindi, il difetto dell'elemento soggettivo doloso richiesto – come è ovvio che sia – in qualunque operazione fraudolenta. Dopo una breve sintesi dei principi generali sulle caratteristiche che una motivazione valida deve possedere, e cioè effettività, logicità, coerenza e compatibilità con gli atti processuali ritualmente acquisiti, gli Ermellini puntano l'attenzione sulla carenza di valutazione dell'elemento psicologico del reato. Non vi sono le ragioni, nella sentenza d'appello, che illustrano quale sia stato il percorso logico seguito per concludere nel senso della sussistenza del dolo. E se – ad avviso di chi ha ritenuto l'imputato colpevole – l'intenzione di quest'ultimo era eludere la normativa che regola l'ammissione al patrocinio gratuito, andava dimostrato, con opportuna motivazione, perché si dovrebbe ritenere dolosa la condotta di chi, comunque, avrebbe avuto diritto ad ottenere quel beneficio dato che i redditi non dichiarati” non avrebbero, come già detto, determinato uno sforamento dei limiti imposti per legge . Il rilievo, di per sé quasi ovvio, offre il desto alla Corte per ricordare ai giudici di merito che le tesi difensive, specialmente se supportate da riscontri obiettivi, vanno confutate dedicando loro l'attenzione che meritano. L'oltre ogni ragionevole dubbio, che impone la valutazione di possibili ricostruzioni alternative dei fatti oggetto del processo – tali da consentire un esito liberatorio per l'imputato – è un canone, quindi, caratterizzato da un alto livello di concretezza. No alle presunzioni” indimostrate. Non è raro, purtroppo, imbattersi in decisioni di merito in cui all'elemento soggettivo, doloso o colposo che sia, viene dedicato uno spazio meno che risicato. A volte si ha la sensazione sgradevole che la componente soggettiva dell'illecito sia data praticamente per scontata. Ora, è noto che la dimostrazione della sussistenza di un percorso psicologico non è facile nessuno può sondare in termini concreti la mente di un altro individuo. Ecco che l'attenzione del giudicante – ma anche del difensore, per ovvie ragioni di strategia – deve puntare alla valutazione di quegli elementi di prova che del percorso psicologico sono, se non altro, i segni clinici”. E' certamente meglio sbagliarne l'interpretazione piuttosto che non provarci affatto.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 4 maggio – 5 ottobre 2017, numero 45786 Presidente Blaiotta – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. B.M. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui agli artt. 79, lett. c , e 95 d. P. R. numero 115 del 2002. 2. Il ricorrente deduce, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione, poiché l’avviso di deposito all’imputato contumace, con l’estratto della sentenza d’appello, è stato erroneamente notificato, a mezzo p.e.c., al difensore di fiducia, sebbene l’imputato avesse eletto domicilio presso la propria abitazione. Questa modalità di notifica ha comportato un pregiudizio al diritto di difesa, atteso che i termini processuali per l’impugnazione sono decorsi prematuramente e illegittimamente dalla notifica, a mezzo p.e.c., effettuata erroneamente al difensore, vale a dire dal giorno successivo a quello del deposito della sentenza. 2.1.Non è comunque provata la responsabilità dell’imputato, sotto il profilo della ravvisabilità dell’elemento psicologico del reato, in considerazione dell’esistenza di 2 CUD, uno rilasciato dall’INPS e prodotto nella richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, e l’altro rilasciato dal Comune di S. Giovanni in Fiore, che indicava, come reddito, un importo corrispondente alla differenza non dichiarata. Il ricorrente non aveva le cognizioni tecniche per comprendere che il CUD inviatogli dall’INPS non era esaustivo né tantomeno per sapere che l’erogazione del reddito era effettuata congiuntamente da due enti diversi. Non è pertanto ravvisabile una falsità nell’autocertificazione ma soltanto un omesso controllo sull’esaustività del CUD presentato, operazione non agevole per una persona non esperta nel settore. Sulla questione la Corte d’appello non si esprime affatto. 2.2.L’acquisizione del CUD 2008, rilasciato dal Comune di S. Giovanni in Fiore e reperito dopo la decisione di primo grado, ha formato oggetto di apposita richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale alla Corte d’appello, che ingiustificatamente l’ha respinta, considerato che si tratta di un documento ufficiale, che ha piena efficacia certificativa. Contraddittoriamente, peraltro, il giudice a quo è entrato nel merito della valutazione in ordine alle risultanze del predetto documento, senza tener conto che la consapevolezza di aver diritto a una retribuzione integrativa non equivaleva certamente alla ben diversa consapevolezza che, atteso che il reddito complessivo veniva erogato in parte dal Comune e in parte dall’INPS, sarebbero stati emessi due distinti CUD. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è infondato. La nullità dedotta, a prescindere dalla sua effettiva ravvisabilità, è sanata, ex art. 183, lett. b , cod. proc. penumero , avendo il ricorrente rilasciato, in data 20-7-2016, procura speciale al difensore per proporre ricorso per cassazione, così avvalendosi della facoltà al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato. 2. Nemmeno il terzo motivo di ricorso può trovare accoglimento. Il giudice a quo ha infatti dato atto che si trattava di documento privo di firma e senza alcuna attestazione circa la data e la provenienza dello stesso e dunque non acquisibile. Peraltro, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, la Corte d’appello è entrata comunque nel merito della valutazione delle risultanze del documento, ritenendo inverosimile che l’imputato non avesse contezza dell’erogazione, in suo favore, della retribuzione integrativa ricevuta per i lavori socialmente utili svolti. La mancata acquisizione del documento non ha pertanto prodotto alcun pregiudizio alla difesa, avendo la Corte d’appello mostrato di non averne comunque espunto le risultanze dal proprio orizzonte cognitivo e valutativo. 3. Fondato è invece il secondo motivo di ricorso. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dai giudici di merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre Sez. U.,13-12-1995, Clarke, Rv. 203428 . Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve pertanto essere volto a verificare che quest’ultima a sia effettiva , ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata b non sia manifestamente illogica , perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica c non sia internamente contraddittoria , ovvero sia esente da antinomie e da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o tra le affermazioni in essa contenute d non risulti logicamente incompatibile con altri atti del processo , indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente, nei motivi posti a sostegno del ricorso, in misura tale da risultare radicalmente inficiata sotto il profilo logico Cass., Sez. 1, numero 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516 . Nel caso in disamina, l’apparato logico posto a base della sentenza di secondo grado non è esente da vizi, non evincendosi con chiarezza sulla base di quali argomentazioni i giudici di merito siano pervenuti all’asserto relativo alla sussistenza di un sostrato probatorio idoneo a valicare la soglia del ragionevole dubbio e a supportare adeguatamente la declaratoria di responsabilità, sotto il profilo della ravvisabilità dell’elemento psicologico del reato. La pronuncia della Corte d’appello si basa,infatti, esclusivamente sulla constatazione del divario fra reddito dichiarato e reddito effettivamente percepito. Ma l’apparato giustificativo del decisum non può ridursi alla semplice riproduzione delle risultanze acquisite, dovendo il giudice elaborare il materiale probatorio disponibile e dare puntuale risposta alle argomentazioni difensive cass.,Sez. 6, numero 34042 del 11-2-2008, Napolitano , La Corte d’appello asserisce che il delitto in esame si perfeziona con la sola volontà di evadere la normativa, a prescindere dal conseguimento del risultato. Tale affermazione collide però con il dato oggettivo, risultante dalla stessa contestazione e confermato dal giudice a quo, nella motivazione della sentenza impugnata, secondo cui il reddito complessivo del B. era pari ad Euro 11.049 e dunque inferiore alla soglia stabilita dalla legge per l’ottenimento del beneficio. Ne deriva che, quand’anche l’imputato avesse dichiarato il reddito effettivo, avrebbe comunque avuto diritto al patrocinio a spese dello Stato. Non si comprende dunque come tale dato possa conciliarsi con la conclusione secondo cui la condotta incriminata era preordinata a eludere la normativa. Si pone dunque in netta antitesi con le risultanze obiettive, alle quali è approdato l’accertamento giudiziale e di cui dà atto il giudice a quo, l’asserzione relativa alla ravvisabilità, in capo all’imputato, della piena consapevolezza dell’illecito, formulata dalla Corte d’appello in termini apodittici e senza alcuna tematizzazione del profilo inerente all’inutilità della falsità, ai fini dell’esito positivo dell’istanza inoltrata. È vero,infatti, quanto afferma il giudice a quo circa la configurabilità del delitto in esame anche laddove il reddito realmente percepito consenta ugualmente l’ammissione al gratuito patrocinio e quindi anche qualora le omissioni o alterazioni di fatti veri risultino ininfluenti, ai fini del superamento del limite di reddito, previsto dalla legge per l’ammissione al beneficio Sez. U. numero 6591 del 2009 . Tuttavia l’inutilità del falso non può non indurre a porsi l’interrogativo circa l’effettiva ravvisabilità del dolo del reato di cui all’art. 95 d. P. R. numero 115 del 2002. Questa Corte,infatti, nel ribadire che, ai fini dell’integrazione del reato in disamina, è necessaria la sussistenza del dolo, ha già avuto modo di chiarire che è da ritenersi viziata la sentenza di condanna che affermi la ravvisabilità di quest’ultimo senza adeguatamente motivare sul fatto che il reddito effettivo dell’imputato non fosse ostativo all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato Cass., Sez. 4 numero 21577 del 21/04/2016, Rv. 267307 . La Corte territoriale avrebbe dunque dovuto chiarire le ragioni per le quali ha ritenuto inattendibile la prospettazione difensiva secondo la quale il fatto è ascrivibile ad un errore. Qualora, infatti, la prospettazione difensiva sia estrinsecamente riscontrata da alcuni dati oggettivi, il giudice deve farsi carico di confutarla specificamente, dimostrandone in modo rigoroso l’inattendibilità, attraverso un adeguato apparato argomentativo. Più in generale, occorre osservare come il giudice sia tenuto ad interrogarsi in merito alla plausibilità di spiegazioni alternative alla prospettazione accusatoria, qualora esse vengano additate dall’oggettività delle acquisizioni probatorie. La regola di giudizio compendiata nella formula dell’ al di là di ogni ragionevole dubbio impone infatti al giudicante l’adozione di un metodo dialettico di verifica dell’ipotesi accusatoria, volto a superare l’eventuale sussistenza di dubbi intrinseci a quest’ultima, derivanti, ad esempio, da autocontraddittorietà o da incapacità esplicativa, o estrinseci, in quanto connessi, come nel caso in disamina, all’esistenza di ipotesi alternative dotate di apprezzabile verosimiglianza e razionalità Cass., Sez. 1, numero 4111 del 24-10-2011, Rv. 251507 . Può infatti addivenirsi a declaratoria di responsabilità, in conformità al canone dell’ oltre il ragionevole dubbio , soltanto qualora la ricostruzione fattuale a fondamento della pronuncia giudiziale espunga dallo spettro valutativo soltanto eventualità remote, astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e dell’ordinaria razionalità umana Sez. 1 numero 17921 del 3-3-2010, Rv. 247449 Sez. 1 numero 23813 del 8-5-2009, Rv. 243801 Sez. 1, numero 31456 del 21-5-2008, Rv. 240763 . La condanna al di là di ogni ragionevole dubbio implica che, laddove venga prefigurata una ipotesi alternativa, siano individuati gli elementi di conferma della prospettazione fattuale accolta, in modo che risulti l’irrazionalità del dubbio derivante dalla sussistenza dell’ipotesi alternativa Cass., Sez. 4, numero 30862 del 17-6-2011, Rv. 250903 Sez 4, numero 48320 del 12-11-2009, Rv. 245879 . Dunque, sulla base dei criteri appena esposti, il giudice di merito avrebbe dovuto ricostruire, con precisione, l’accaduto, in stretta aderenza alle risultanze processuali e verificare se queste ultime, valutate non in modo parcellizzato ma in una prospettiva unitaria e globale, potessero essere ordinate in una costruzione razionale e coerente, di spessore tale da prevalere sulla versione difensiva e da approdare sul solido terreno della verità processuale Cass., 25-6-1996, Cotoli, Rv. 206131 , facendo uso di massime di esperienza consolidate e affidabili e non di mere congetture. Non può pertanto affermarsi che i giudici di secondo grado abbiano preso adeguatamente in esame tutte le deduzioni difensive né che siano pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi, sotto il profilo della razionalità e sulla base di apprezzamenti di fatto esenti da connotati di contraddittorietà o di manifesta illogicità e di un apparato logico coerente con una esauriente analisi delle risultanze agli atti Sez. U., 25-11-1995, Facchini, Rv. 203767 . 4. La sentenza impugnata va dunque annullata, con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro, per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro.