Punibile lo “street food” se i frigoriferi non sono idonei alla conservazione degli alimenti

Il divieto di impiego nella produzione di alimenti, di vendita, detenzione per la vendita, somministrazione o comunque distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione è violato anche nel caso in cui la cattiva conservazione riguardi le modalità estrinseche della stessa e non le caratteristiche intrinseche dell’alimento.

Lo hanno affermato i Supremi Giudici con la sentenza n. 45539/17, depositata il 3 ottobre. La vicenda. La Corte d’Appello di Catania confermava la pronuncia di primo grado con cui l’imputato era stato condannato per aver somministrato e commercializzato abusivamente cibi e bevande. Gli alimenti, venduti sulla pubblica via, erano infatti privi di etichettatura e non rintracciabili, risultavano conservati in un frigorifero anch’esso collocato sulla strada e privo di rilevatore della temperatura, mentre alcune bevande era risultate non perfettamente conservate. L’imputato impugna la condanna con ricorso per cassazione rilevando, oltre ad infondate doglianze di merito, l’illegittimità della sentenza per erronea applicazione della legge penale in relazione alla sussistenza del reato. Reato o contravvenzione? In particolare il ricorrente ritiene la propria condotta non riconducibile alla fattispecie contestata ex art. 516 c.p. Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine , posto che la non genuinità non risultava dall’esame e dalle reali condizioni degli alimenti, ma dalla mera assenza di etichettatura e dalla non tracciabilità. Il Collegio, accogliendo la censura, ritiene configurabile la diversa fattispecie di reato contravvenzionale di cui agli artt. 5, lett. b e 6 l. n. 283/1962 Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande . La giurisprudenza ha infatti riconosciuto la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 5, lett. b cit. secondo il quale è vietato l’impiego nella produzione di alimenti, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione anche nel caso in cui la cattiva conservazione non si riferisca alla caratteristiche intrinseche dell’alimento, ma concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, le quali devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, alle regole di comune esperienza . Nel solco di tale interpretazione, è dunque fuori dubbio che la custodia in frigoriferi non idonei alla conservazione determini violazione del divieto summenzionato. In conclusione la Corte, riqualificando il fatto, annulla senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 maggio – 3 ottobre 2017, n. 45539 Presidente Savani – Relatore Ciriello Ritenuto in fatto 1.- Con sentenza emessa in data 12.06.2015 la Corte di Appello di Catania, per quanto qui rileva, ha confermato la sentenza del 27.02.2014 del Tribunale di Catania, condannando F.G.S. , oltre al pagamento delle spese processuali, alla pena di mesi tre di reclusione pena sospesa , per avere quest’ultimo, in violazione dell’art. 516 c.p., somministrato e commercializzato abusivamente, sulla pubblica via, bevande, cibi cotti e carni animali in assenza di etichettatura e tracciabilità, conservandole all’interno di un frigorifero, anch’esso tenuto su strada, privo del rivelatore della temperatura. Le vivande, peraltro, risultavano non in perfetto stato di conservazione. 2.- Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione, tramite il proprio difensore, l’imputato, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato. 2.1.- Con il primo motivo di ricorso il ricorrente rileva l’illegittimità della sentenza, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p., per illogica motivazione ed erronea applicazione della legge penale, in relazione alla sussistenza del reato. Infatti, la difesa, nel suo atto di appello, aveva censurato la sentenza di primo grado, chiedendo l’assoluzione dell’imputato, per mancanza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, di cui all’art. 516 c.p Ciononostante, la Corte di appello ha ritenuto sussistenti tutti gli elementi del reato contestato, motivando semplicemente sulla presunzione della non genuinità della merce, asserita dal veterinario intervenuto sul luogo. Tuttavia, osserva il ricorrente, tale circostanza non venne obiettivamente accertata, ritenendosi supposta a causa della mancanza di etichette e della mancata tracciabilità delle vivande. 2.2.- Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce l’illogicità della motivazione e l’erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p., in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche nonostante la difesa avesse evidenziato elementi quali l’età, lo stato di disoccupazione e, più in generale, la personalità dell’imputato che avrebbero fondato la concessione delle stesse. 2.3.- Con il terzo motivo la difesa rileva la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b , con riferimento alla negata conversione della pena detentiva in libertà controllata. La Corte di Appello di Catania, infatti, aveva negato la concessione del beneficio in questione, ritenendolo inapplicabile a causa dei pregressi precedenti penali dell’imputato. Tuttavia, osserva la difesa, i precedenti penali non costituiscono ragione ostativa alla concessione della libertà controllata, in luogo della pena, purché, come stabilito dallo stesso art. 56, L. 689/1981, la condanna non sia superiore a tre anni nel quadriennio precedente alla commissione del reato per il quale si richiede l’applicazione del beneficio, ovvero si siano registrati precedenti specifici nel decennio precedente, situazioni nelle quali il ricorrente non si trovava, potendo quindi legittimamente godere della conversione. Considerato in diritto Pur risultando infondate le doglianze nel merito, deve essere accolto il primo motivo di ricorso con assorbimento degli ulteriori motivi con il quale l’imputato, riproponendo doglianza già proposta in appello si duole dell’erronea qualificazione dei fatti contestati ai sensi dell’art. 516 c.p. evidenziando l’insussistenza degli elementi del reato contestato, atteso che la non genuinità dei prodotti era desunta, non dall’esame degli stessi e dalle reali condizioni dei prodotti carne , ma dalla non tracciabilità degli stessi e dalla assenza di etichettature e dalla conservazione in un frigo privo di rilevatore di temperatura. Dalla lettura delle sentenze di merito, invero, emerge che i fatti contestati concretamente al ricorrente e quindi accertati nel corso del giudizio, sono riconducibili alla diverse fattispecie di reato, di natura contravvenzionale, quali i reati di cui agli artt. 5 lett.b, e 6 L 283/62. In base alla giurisprudenza di questa corte invero, ai fini della configurabilità della contravvenzione prevista dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b, che vieta l’impiego nella produzione di alimenti, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non è necessario che quest’ultimo si riferisca alle caratteristiche intrinseche di dette sostanze, ma è sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, le quali devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza Sez. U, n. 443 del 19/12/2001, dep. il 09/01/2002, Butti, Rv. 220716 . In questo senso anche la custodia in frigoriferi inidonei alla conservazione determina la violazione del divieto di commercializzazione del prodotto Sez. 3, n. 9477 del 21/01/2005, Ciccariello . Per tale reato non risulta necessario alcun accertamento sulle caratteristiche intrinseche degli alimenti, essendo sufficiente l’esame visivo dei luoghi in cui essi erano conservati, nel caso di specie avvenuto cfr. sez. III, 14/06/2016, ud. 14/06/2016, dep.25/10/2016 , n. 44927 . Tuttavia, la riqualificazione dei fatti in tale fattispecie impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in quanto, trattandosi di contravvenzione, la prescrizione risulta maturata rispetto ai fatti del 19 febbraio 2009. Pertanto si impone, all’esito della riqualificazione, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato estinto per prescrizione. P.Q.M. Riqualificato il fatto come contravvenzione ai sensi degli artt. 5 lett.b, e 6 L 283/62 annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.