Tirata di capelli: gesto catalogato come lesione personale

L’episodio si è verificato durante una lite. La donna è stata sanzionata con una multa di 400 euro per il comportamento tenuto. Inequivocabili le lesioni riportate dalla vittima.

Confronto furibondo, probabilmente per questioni sentimentali. Sulla scena un uomo e due donne. Non ci si limita però alle parole, bensì si passa alle vie di fatto, come testimonia l’azione compiuta da una litigante nei confronti dell’avversaria, cioè una violenta tirata di capelli. Il gesto vale una condanna per lesioni personali Cassazione, sentenza n. 44375, sezione V Penale, depositata il 26 settembre 2017 . Referto. L’assurdo episodio si verifica nel bar di un ospedale della Capitale. In origine il confronto riguarda una donna e un uomo, legati in passato da una relazione. All’improvviso, però, entra in gioco una terza persona, una donna, che però subisce un comportamento inurbano da parte dell’altra donna, comportamento consistito nello strattonamento dei capelli . Il gesto, che provoca ripercussioni fisiche, approda dinanzi al Giudice di pace, che condanna la donna che ha realizzato l’aggressione, ritenendola colpevole del reato di lesioni personali e sanzionandola con 400 euro di multa . Decisivo il racconto fatto dalla vittima, ma anche il referto medico che ha certificato la presenza di ferite al cuoio capelluto, ferite giudicate guaribili in cinque giorni . Inutili si rivelano le obiezioni mosse in Cassazione dalla donna sotto accusa. Anche per i giudici del Palazzaccio, difatti, sono evidenti le sue responsabilità per l’aggressione fisica compiuta. Irrilevante, innanzitutto, è ritenuto il richiamo a presunti episodi di violenza e disturbo da lei subiti e non addebitabili alla donna aggredita nel bar dell’ospedale. E improponibile, secondo i magistrati, è la tesi della legittima difesa , poiché dalla ricostruzione dei fatti è emerso che la donna sotto accusa ha fatto irruzione nel bar dell’ospedale, lanciando le chiavi contro l’uomo e aggredendo l’altra donna e afferrandola poi per i capelli .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 aprile – 26 settembre 2017, numero 44375 Presidente Vessichelli – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 13/01/2015, il Giudice di Pace di Roma condannava Re. Anumero Ma. alla pena di Euro 400,00 di multa, per il reato di cui all'art. 582, comma 2 c.p., per aver cagionato a Ca. Lu. lesioni personali al cuoio capelluto, giudicate guaribili in cinque giorni. 2. Avverso tale sentenza l'imputata ha proposto ricorso, a mezzo del suo difensore di fiducia, affidato a tre motivi di ricorso, lamentando - con il primo motivo, la ricorrenza del vizio della illogicità della motivazione, in quanto, sono state ritenute idonee a costituire riscontro alle dichiarazioni della p.o. quelle del teste Ve., senza però tener conto del ruolo rivestito da quest'ultimo in tutta la vicenda, di portatore di interessi confliggenti con quelli dell'imputata -con il secondo motivo, la ricorrenza del vizio del travisamento della prova, in quanto dalle dichiarazioni dei testi escussi non emerge con certezza quanto affermato dal giudicante in ordine all'esistenza di una passata relazione sentimentale tra la Re. ed il Ve. in secondo luogo, riguardo alla circostanza attenuante prevista dall'art. 62, numero 2 c.p. invocata dalla difesa, il giudice ha dimostrato di leggere in maniera parziale il dato istruttorio, avendo la teste D’Au. citato varie volte la Ca., quando ha descritto gli episodi di provocazione subiti dall'imputata in ultimo, anche le dichiarazioni dell'imputata sono state travisate, laddove il giudice ha ravvisato delle contraddizioni tra quanto dichiarato nel corso dell'esame dell'imputata e quanto emerso dalle sue spontanee dichiarazioni, circa il contatto fisico con la persona offesa -con il terzo motivo, la mancanza di motivazione, in ordine alla proposta tesi della legittima difesa, essendo emerso pacificamente dal dibattimento che la Re. era da sola e discuteva animatamente con la Ca. ed il Ve., con i quali aveva rapporti conflittuali, sicché risulta ragionevole la prospettazione, per cui l'imputata, temendo per la sua incolumità fisica abbia reagito nel momento in cui si è vista aggredire fisicamente. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile, siccome in più punti generico e, comunque, manifestamente infondato. 1. Ed invero, la sentenza impugnata senza incorrere in vizi ha compiutamente dato conto degli elementi di responsabilità a carico dell'imputata, evincibili dalle dichiarazioni della p.o. suffragate da quelle di Ve. Cr. e confortate dal referto medico in atti, attestante una contusione del cuoio capelluto della persona offesa, e, quindi, il contatto fisico avvenuto attraverso lo strattonamento dei capelli da parte della Re 2. In tale contesto, le deduzioni dell'imputata di cui al primo motivo di ricorso, circa l'inidoneità delle dichiarazioni del Ve. a costituire elemento di riscontro alle dichiarazioni della p.o., essendo il predetto portatore di interessi in contrasto con quelli dell'imputata, non si confrontano con l'intero compendio probatorio a carico della Re. e segnatamente con le dichiarazioni della p.o. ritenute del tutto attendibili, anche alla luce delle perfetta concordanza della prova dichiarativa con quella documentale, ossia con il referto medico in atti attestante le lesioni al cuoio capelluto. Sul punto è sufficiente richiamare i principi più volte affermati da questa Corte, secondo i quali le dichiarazioni della parte offesa possono essere legittimamente poste da sole a base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del racconto cfr. S.U., numero 41461 del 19.7.2012ex multis e tra le più recenti Sez. 4, numero 44644 del 18/10/2011, F., Rv. 251661 Sez. 3, numero 28913 del 03/05/2011, C, Rv. 251075 Sez. 3, numero 1818 del 03/12/ 2010, dep.2011, L. C, Rv. 249136 Sez. 6, numero 27322 del 14/04/2008, De Ri., Rv.240524 . Inoltre, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto, che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni cfr. ex plurimis Sez. 6, numero 27322 del 2008, De Ri., cit. Sez. 3, numero 8382 del 22/01/2008, Fi., Rv. 239342 Sez. 6, numero 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Za., Rv. 230899 Sez. 3, numero 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pa., Rv. 227493 Sez. 3, numero 22848 del 27/03/2003, As., Rv. 225232 , che nella fattispecie non si ravvisano. Peraltro, le censure relative alla inidoneità delle dichiarazioni del Ve. a costituire elemento di riscontro alle dichiarazioni dell'imputata si traducono in doglianze in fatto del tutto frammentarie, che non si confrontano con le argomentazioni specificamente spese in sentenza per dar conto della convergenza e dell'univocità degli elementi di responsabilità a carico dell'imputata. 3. Inammissibile si presenta il secondo motivo di ricorso, con il quale l'imputata si duole innanzitutto genericamente di un travisamento della prova testimoniale circa la sussistenza di una passata relazione sentimentale con Ve., atteso tale deduzione risulta sviluppata in violazione del principio dell'autosufficienza del ricorso a termini del quale quando i motivi riguardino specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante l'allegazione o la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente indicati, non potendo egli limitarsi ad invitare la Corte Suprema alla lettura degli atti indicati, posto che anche in sede penale è precluso al giudice di legittimità l'esame diretto degli atti del processo Sez. 2, numero 21779 del 18/02/2014 . 3.1. Per quanto concerne poi la configurabilità dell'attenuante di cui all'art. 62 numero 2 c.p. l'imputata non si confronta con quanto evidenziato nella sentenza impugnata circa la carenza di elementi idonei a tanto, posto che gli episodi di violenza e disturbo posti in essere nei confronti della medesima ricorrente risultano essere anonimi o, comunque, non attribuibili alla Ca 4. Manifestamente infondato si presenta, infine, il terzo motivo di ricorso, con il quale l'imputata si duole della mancanza di motivazione in ordine alla tesi della legittima difesa, atteso che la sentenza impugnata ha dato implicitamente conto della non configurabilità della scriminante in questione, in base alla ricostruzione dei fatti come operata in virtù delle dichiarazioni dei testi escussi, che hanno riferito di un'azione sviluppatasi su iniziativa della Re., che avrebbe fatto irruzione nel bar dell'Ospedale, lanciando le chiavi contro il Ve. e aggredendo la Ca., che afferrava per i capelli dopo una discussione con l'uomo. 5. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 2000,00, ai sensi dell'art. 616 c.p.p. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Motivazione semplificata.