Utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal testimone in caso di omissione di soccorso

Le dichiarazioni spontanee rese all’agente di Polizia Locale intervenuto sul luogo di un sinistro stradale e successivamente verbalizzate con sottoscrizione di dichiarante e verbalizzante, possono costituire elemento probatorio nel successivo procedimento penale.

Così la sentenza della Corte di Cassazione n. 43840/17 depositata il 22 settembre. Il caso. Previa concessione delle attenuanti generiche, il Tribunale di Milano condannava l’imputato per omissione di soccorso e fuga a seguito di un incidente stradale dallo stesso determinato. Il provvedimento viene impugnato con ricorso in Cassazione. Dichiarazioni spontanee. Con il primo motivo di ricorso, l’imputato si duole per l’inosservanza dell’art. 512 c.p.p. Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione in quanto sarebbero a suo dire inutilizzabili le dichiarazioni spontanee rese da un testimone ad un agente di polizia locale intervenuto sul posto. La doglianza era peraltro già stata sollevata in appello e correttamente i giudici ne avevano dichiarato l’infondatezza evidenziando come tali dichiarazioni erano state assunte e verbalizzate presso il Comando della Polizia Locale dell’agente intervenuto sul luogo del sinistro a cui il testimone aveva già sommariamente esposto i fatti. L’agente deve infatti essere qualificato come organo di Polizia Giudiziaria e le dichiarazioni spontanee da lui raccolte in atto formale sottoscritto da dichiarante e verbalizzante ben possono essere acquisite al fascicolo del dibattimento ai sensi dell’art. 512 c.p.p Per il resto le censure sollevate non fanno che riproporre inammissibili riletture delle circostanze di fatto. Per questi motivi, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 4 luglio – 22 settembre 2017, n. 43840 Presidente Blaiotta – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente Z.A. , con sentenza del 19/5/2015 confermava la sentenza emessa in data 4/7/2014 dal Tribunale di Milano che, concessegli le circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 8 e gg. 15 di reclusione per i reati, ritenuti in continuazione e di cui all’art. 189 comma 1, 6 e 7 CDS. perché, alla guida dell’autoveicolo VW Golf targato avendo con la propria condotta di guida, determinato un incidente stradale dal quale derivavano lesioni a S.Z. non ottemperava all’obbligo di fermarsi e prestare soccorso alle persone ferite. Commesso in omissis . 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, lo Z. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen Con un primo motivo si deduce inosservanza di norme processuali in relazione all’art. 512 cod. proc. pen. assumendo essere inutilizzabili le acquisite dichiarazioni rese da B.M. . Viene ricordato che nel corso del dibattimento di primo grado, su richiesta del Pubblico Ministero a cui si era opposta la difesa, il giudice aveva acquisito le dichiarazioni rese da B.M. all’agente di Polizia Locale ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., ma si assume che non sussistessero le condizioni previste da tale norma secondo cui può essere data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal Giudice nel corso dell’udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione in quanto nel caso di specie non si sarebbe verificata nessuna delle predette condizioni 1. Perché le dichiarazioni sono state raccolte da un agente della Polizia Locale, che nel caso in esame non rivestiva nessuna delle qualifiche indicate, nemmeno quella di agente od ufficiale di polizia giudiziaria. 2. In quanto non sarebbero stati svolti gli accertamenti necessari a verificare che il Bouchtarouif fosse effettivamente irreperibile. Con un secondo motivo si lamenta inosservanza di norme processuali in relazione all’art. 512 ed all’art. 603 cod. proc. pen. ed alla richiesta di rinnovazione dibattimentale. Il ricorrente ricorda che nel corso del procedimento di primo grado era stata chiesta l’acquisizione delle dichiarazioni rese dal S. e dal B. in sede di indagini difensive. La richiesta, che era poi reiterata in secondo grado con specifico motivo di impugnazione dell’ordinanza del primo giudice, era stata rigettata dal giudice di primo grado sul presupposto che le stesse non erano sottoscritte dalla parte. E analogo rigetto vi era stato da parte dei giudici di appello. Il ricorrente lamenta che, tuttavia, le stesse erano sottoscritte dal difensore che le aveva raccolte e dall’interprete e che la mancanza delle copie sottoscritte dal S. e dal B. dipendeva unicamente dalla circostanza che gli stessi avevano sottratto le predette copie, comportamento in ordine al quale è stata depositata querela. Il ricorrente rileva che, a prescindere che la sottrazione di un elemento probatorio non può certo avvantaggiare chi ha posto in essere la sottrazione stessa, la lettura delle dichiarazioni rese al difensore è prevista dallo stesso art. 512 cod. proc. pen. di cui il tribunale si è avvalso per leggere le dichiarazioni del B. . Ne consegue che, qualora ne sia divenuta impossibile la ripetizione, le stesse possono essere ammesse. Il rifiuto dei giudici dei due gradi, fondato sulla circostanza che le dichiarazioni non sono sottoscritte, non sarebbe condivisibile, essendo pacifico che il rifiuto di sottoscrivere le stesse da parte di chi le ha rese non le rende inesistenti, ma si dà semplicemente atto del rifiuto di sottoscriverle. Con un terzo motivo si lamenta vizio motivazionale in ordine alla sussistenza dell’incidente. Evidenzia che il S. ha sicuramente mentito, perché ha dichiarato che aveva un gonfiore, e tale gonfiore non risulta all’esame diagnostico effettuato dal medico, il che comporterebbe che le dichiarazioni del S. e quelle del suo amico , oltre essere più volte contraddittorie tra loro, sarebbero ab origine non veritiere. Inoltre le predette dichiarazioni sarebbero state smentite dai testi estranei R. e P. , relativamente allo svolgimento dei fatti al Pronto Soccorso e nello studio del difensore, il che dimostra ulteriormente la falsità delle predette dichiarazioni. Sulla base di tali elementi oggettivi, nonché sulle continue richieste di denaro da parte dei ragazzi per fornire una dichiarazione diversa, viene ricordato in ricorso che era stata avanzata l’ipotesi, che ci si duole non essere nemmeno stata considerata dal giudice di prime cure, che fosse stata posto in atto dai due ragazzi un’estorsione nei confronti dello Z. . Anche sul punto il ricorrente fa presente che è stata depositata denuncia, acquisita agli atti. E che, a far ritenere credibile tale ultima possibilità, oltre agli elementi sopra indicati, vi sarebbero ulteriori circostanze, e cioè che l’autovettura dello Z. non ha riportato alcun tipo di danneggiamento, il che sarebbe impossibile se si fosse verificato un urto frontale, e nemmeno i vestiti del S. hanno riportato alcun danno. Con un quarto motivo si deduce erronea applicazione della legge penale di cui all’art. 189, comma 6, CDS. Il ricorrente rammenta che la norma in esame integra il cosiddetto reato di fuga , ed è stata dettata al fine di consentire l’identificazione del soggetto che abbia causato un incidente. Ebbene, premesso che il primo presupposto per la sussistenza del reato è che l’incidente sia ascrivibile al comportamento del soggetto, si sostiene in ricorso che nel caso di specie alcun incidente vi sarebbe stato e quindi alcuna responsabilità sarebbe ascrivibile allo Z. , e per ciò solo lo stesso dovrebbe essere mandato assolto. Inoltre, viene ricordato che è richiesto necessariamente il dolo, anche eventuale, che si identifica nella volontà del conducente di sottrarsi all’identificazione. Nel caso di specie ciò non sarebbe avvenuto. Sul punto viene richiamato il precedente di questa sez. 4, 12/03/2013, n. 16982, Rv. 255429, secondo cui Nel reato di fuga previsto dall’art. 189, co. 6, CDS, l’accertamento del dolo, necessario anche se esso sia di tipo eventuale, va compiuto in relazione alle circostanze concretamente rappresentate e percepite dall’agente al momento della condotta, laddove esse siano univocamente indicative del verificarsi di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone. Si sostiene che lo Z. , pur non avendo alcuna colpa, si è immediatamente fermato ed ha chiesto al S. se si fosse fatto male avuta risposta negativa, lo stesso ha parcheggiato l’auto nel primo posto disponibile ad una decina di metri dal controviale. Dopo avere parcheggiato è sceso dall’auto ed ha avuto ulteriore conferma dell’inesistenza di lesioni, ed ha consegnato 20 Euro al S. , su sua richiesta. Dopodiché si è allontanato perché doveva andare a fare una commissione urgente dicendo al S. che sarebbe immediatamente tornato. Ed effettivamente lo Z. è tornato, si è presentato all’agente di Polizia Locale, ha rilasciato allo stesso i suo dati ed ha reso dichiarazioni. Ebbene, secondo il ricorrente, non vi è chi non veda come nel caso di specie non possa ravvisarsi nel comportamento alcun comportamento leso a sottrarsi alla propria identificazione egli ha lasciato la propria autovettura nelle immediate vicinanze, e si è immediatamente presentato agli agenti che stavano compiendo i rilievi. Sarebbe del tutto evidente che, se nell’animo dello Z. ci fosse stata la volontà di non farsi identificare, lo stesso non avrebbe parcheggiato l’autovettura sul luogo, e non sarebbe tornato per rendere le proprie dichiarazioni agli agenti. Con un quinto ed ultimo motivo si lamenta erronea applicazione dell’art. 189, comma 7, CDS. Si evidenzia Lo Z. si è immediatamente fermato per constatare le condizioni del S. , ed appurato che lo stesso da una parte non aveva riportato alcuna lesione, circostanza confermata dalla successiva visita al pronto Soccorso, dall’altra era già assistito dal B. , si è allontanato per fare immediatamente ritorno. La fattispecie contemplata dalla norma prevede che venga prestata l’assistenza necessaria e commisurata allo stato della persona, non certo che vi sia un’assistenza continua dopo che sono state verificate le condizioni della persona. È incontestabile che, una volta appurato che la persona non necessita di assistenza o che è già assistita da altre persone, non vi sia alcun obbligo di sostare ulteriormente. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. Ed invero, il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza, in larga misura, limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità. La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato tutte le tesi oggi riproposte. In primis, quanto alla dedotta questione di inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese da B. , acquisite ex art. 512 cod. proc. pen., i giudici del gravame del merito ne hanno condivisibilmente ritenuto l’infondatezza, evidenziando come le stese vennero assunte e verbalizzate, presso il Comando della Polizia Locale, tra l’altro dallo stesso operante intervenuto sul luogo del sinistro ed al quale il teste aveva già sommariamente riferito i fatti nell’immediatezza, nell’esercizio quindi delle sue funzioni e competenze istituzionali, sì da indubbiamente qualificarsi come agente di PG, conferentemente richiamando sul punto il precedente costituito dalla sentenza Sez. 1 n. 25295/2014 di questa Corte per cui sicuramente le spontanee dichiarazioni testimoniali in tal modo raccolte in atto formale, sottoscritto da dichiarante e verbalizzante, ben possono essere acquisite al fascicolo del dibattimento, ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., per la sopravvenuta impossibilità di ripetizione delle stesse. Corretto è anche l’assunto che l’imprevedibilità dell’impossibilità di ripetizione dell’atto va valutata con criterio ex ante , avuto riguardo non a mere evenienze ipotetiche, ma sulla base di conoscenze concrete, che nel caso che ci occupa non sussistevano atteso che il teste si presentava immediatamente e spontaneamente, e dava indicazioni in merito al proprio luogo di residenza, alla titolarità di regolare permesso di soggiorno e ad ogni informazione utile circa la propria reperibilità, indicazioni che non potevano che apparire veridiche, oltre che allo stato, anche in una prospettiva di stabilità sui territorio, dando in tal modo prova concreta della propria volontà di essere presente e disponibile Condivisibilmente, quindi, il giudizio di imprevedibilità della situazione sopravvenuta che avrebbe reso impossibile la ripetizione di quelle dichiarazioni veniva radicato a tali indicazioni ed alla dimostrata disponibilità verso gli inquirenti, confutandosi l’obiezione che, peraltro a distanza di oltre due anni, il teste non fosse più reperibile al domicilio indicato, e che non venisse effettuata alcuna ricerca per rintracciarlo, posto che la documentazione relativa alle vane ricerche di B. , di cui S. non aveva da tempo notizie perché non più residente a Milano, come si ricorda nel provvedimento impugnato, veniva prodotta dal p.m. all’udienza 9 maggio 2014. 3. Immune dalle dedotte censure appare anche il diniego opposto alla richiesta di rinnovazione istruttoria. Anche a prescindere dalla giusta considerazione che la Corte territoriale premette circa il fatto che la rinnovazione ex art. 603 cod. proc. pen., in assenza di elementi di novità, è istituto di carattere eccezionale, ad avviso del Collegio appare logico l’argomentare di entrambi i giudici del merito secondo cui si trattava di dichiarazioni non sottoscritte, in merito alla cui paternità non vi è quindi prova certa, e che di conseguenza non apporterebbero alcun elemento anche solo utile ai fini della decisione. D’altro canto, ricordano i giudici del gravame del merito come in sede dibattimentale S. riferiva che, dopo vari tentativi dell’imputato di fargli firmare una carta riferiva anche di una carta già sottoscritta di cui peraltro disconosceva la firma , recatosi presso lo studio dell’avv. Cozzi su insistenza di Z. all’epoca del fatto con patente abbiamo trovato la carta tutta scritta, il mio amico letta, io l’ho guardata, non voglio firmarla e me ne sono andato giù , aggiungendo che era scritta anche sul computer e che, non essendo in grado di capirne il tenore non comprendendo bene la lingua italiana, B. , che invece lo aveva compreso, gli aveva consigliato di non firmarla. Logico e dirimente, in proposito, appare il rilievo che non si comprende per quale motivo S. e B. avrebbero dovuto afferrare ed appropriarsi di quelle carte , posto che non avevano voluto firmarle e che, in quanto inserite nel computer, ben sapevano essere agevolmente riproducibili. 4. Quanto all’accaduto, l’odierno ricorrente, ancorché rubrichi le proprie do-glianze come vizio motivazionale o violazione di legge, in realtà propone censure di merito, chiedendo in concreto a questa Corte di legittimità una rivalutazione del compendio probatorio che le è inibita. La Corte territoriale, con motivazione logica e congrua, ha ribadito la positiva valenza accusatoria dei racconti della persona offesa e del teste, tali da riscontrarsi reciprocamente, quanto sia al comportamento di guida dell’imputato, che, investendo la persona offesa e provocandone la caduta a terra, determinava un sinistro in concreto idoneo a produrre eventi lesivi, che all’inottemperanza dell’obbligo di fermarsi e di quantomeno assicurarsi delle condizioni fisiche dell’investito, che subiva lesioni non certo gravi ma comunque refertate nell’immediatezza al pronto soccorso in atti . Del resto, come ricorda il provvedimento impugnato, lo stesso Z. , riferendo che si stava recando ad un appuntamento di lavoro in zona, riferiva che, subito dopo aver svoltato a destra, sentiva un colpetto sul cofano della macchina , e, a specifica domanda se si fosse accorto di aver impattato con un soggetto, rispondeva certo , in tal modo sostanzialmente confermando la dinamica dell’investimento riferita dalla persona offesa e dal teste. I giudici del gravame del merito, argomentatamente e logicamente ritenuto del tutto verosimile, come ribadito da S. , che, proprio per l’urgenza di quell’appuntamento, l’imputato avesse proseguito la marcia, parcheggiando l’auto in altro luogo successivamente individuato su indicazione della persona offesa , salvo poi ritornare a piedi e, all’affermazione della persona offesa di provare dolore ad un braccio, offrirle del danaro per un caffè chiedendole di far finta di niente, perché evidentemente preoccupato dal fatto di non essere in quel momento abilitato alla guida, se è vero che la patente, già sospesagli, gli veniva ritirata all’atto della redazione del verbale d’incidente. Nel provvedimento impugnato si rileva che certo è che quello strumentale, solo successivo ritorno, ed a maggior ragione quel suo accesso al pronto soccorso il giorno stesso, nonché l’evolversi della vicenda, confermano la piena consapevolezza di Z. di aver determinato con la propria condotta di guida il verificarsi di un sinistro, con verosimili conseguenze lesive per la persona coinvolta, e la sua volontà di sottrarsi all’identificazione ed alle conseguenze del proprio agire. Nel provvedimento impugnato vengono confutati, uno ad uno, i rilievi difensivi oggi riproposti tout court. Quanto alla prospettata falsità del racconto accusatorio, a all’affermazione di una condotta estorsiva della persona offesa e del teste, logica appare l’affermazione di incomprensibilità, se così fosse stato, del motivo per cui l’imputato, a cui a suo dire la persona offesa aveva riferito di non essersi fatto nulla, lamentando dolore solo al suo ritorno, non avesse immediatamente presentato denuncia, piuttosto che corrispondere a S. all’incirca un migliaio di Euro . Né si comprenderebbe secondo il logico argomentare dei giudici del gravame del merito perché, se come asserito da Z. , la sera stessa dell’incidente, dietro versamento di 700 Euro, aveva ottenuto una dichiarazione, da lui stesso redatta in stampatello e sottoscritta da S. e B. , il cui contenuto era la fotografia esatta di quello che era successo, forse la carta di cui la p.o. disconosceva la firma , già la mattina successiva avesse acconsentito ad un incontro con S. , peraltro facendosi accompagnare da R. , limitandosi a proporgli, alla richiesta di altri soldi, se voi rilasciate ai Vigili direttamente la dichiarazione che corregge il verbale nella parte in cui il Vigile dispone il ritiro della patente, sempre che questa dichiarazione sia spontanea e non suggerita da me, io sono disposto a darvi una mancia se non ricordo male 300 Euro . Il testimone R. , peraltro, come si ricorda nel provvedimento impugnato, ricordava una richiesta dei due ragazzi di 250 Euro e riferiva che, al rifiuto di Z. , i due erano andati via, senza fare alcun cenno alla proposta dell’imputato per ottenere una correzione delle precedenti dichiarazioni rese. 5. Quanto poi al verificarsi dell’incidente e agli accadimenti relativi allo stesso, la Corte territoriale, evidenziato che l’impatto contro la persona offesa non era certo stato violento, per cui è del tutto verosimile che non vi sia stato alcun danno all’auto od ai vestiti di S. , offre una motivazione che appare correttamente collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità secondo cui ai fini della configurabilità del reato di cui all’articolo 189, comma 6, del codice della strada, che punisce l’utente della strada che, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, il dolo richiesto deve investire, innanzitutto ed essenzialmente, l’omesso obbligo di fermarsi in relazione all’evento dell’incidente, ove questo sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, e va apprezzato come eventualmente sussistente avendo riguardo alle circostanze fattuali del caso laddove queste, ben percepite dall’agente, siano univocamente indicative di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone così ex multis questa Sez. 4, n. 863/2008 . Come ricordato da questa Corte di legittimità vedasi tra le altre Sez.4, n. 9128/2012 , il codice della strada all’art. 189 descrive in maniera dettagliata il comportamento che l’utente della strada deve tenere in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, stabilendo un crescendo di obblighi in relazione alla maggiore delicatezza delle situazioni che si possono presentare. Così è previsto, per quanto qui interessa, l’obbligo di fermarsi in ogni caso, cui si aggiunge, allorché vi siano persone ferite, quello di prestare loro assistenza. L’inottemperanza all’obbligo di fermarsi è punita con la sanzione amministrativa in caso di incidente con danno alle sole cose comma quinto e con quella penale della reclusione fino a quattro mesi in caso di incidente con danno alle persone comma sesto . In tale seconda ipotesi, se il conducente si è dato alla fuga, la norma contempla la possibilità dell’arresto in flagranza nonché la sanzione accessoria della sospensione della patente la sanzione penale è più grave reclusione fino ad un anno e multa per chi non ottempera all’obbligo di prestare assistenza. Si tratta di comportamenti diversi, lesivi di beni giuridici diversi ed attinenti, nel caso dell’inosservanza dell’obbligo di fermarsi, alla necessità di accertare le modalità dell’incidente e di identificare coloro che rimangono coinvolti in incidenti stradali e nel caso di omissione di soccorso, a principi di comune solidarietà. Quanto al reato di cui all’art. 189, comma 6, trattasi di un reato omissivo di pericolo, il cui elemento materiale consiste, come si è già osservato, nell’allontanarsi dell’agente dal luogo dell’investimento così da impedire o comunque, ostacolare l’accertamento della propria identità personale, l’individuazione del veicolo investitore e la ricostruzione delle modalità dell’incidente. Quanto poi all’obbligo di prestare assistenza, è pacifico che l’elemento soggettivo del detto reato ben può essere integrato dal semplice dolo eventuale, cioè dalla consapevolezza del verificarsi di un incidente, riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, non essendo necessario che si debba riscontrare l’esistenza di un effettivo danno alle persone e nella specie il Panariello, per sua stessa ammissione, si era reso conto di avere urtato l’autovettura condotta dal Campo e di essersi allontanato spaventato dal fatto di non avere rinnovato l’assicurazione dell’auto . Come ancora affermato da questa Corte di legittimità nell’arresto giurisprudenziale prima richiamato, la sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata non è elemento costitutivo del reato che è integrato dal semplice fatto che in caso d’incidente stradale con danni alle persone non si ottemperi all’obbligo di prestare assistenza. Tale condotta, come già precisato in passato cfr. ex multis questa Sez. 4, n. 8626 del 7/2/2008, Rv. 238973 va tenuta a prescindere dall’intervento di terzi, poiché si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell’incidente medesimo. I motivi dedotti, pertanto, non paiono idonei a scalfire l’impianto motivazionale della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale affronta con argomentazioni esaustive e logicamente plausibili le questioni propostele. 6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.