Genitore non è a conoscenza dei redditi dei figli conviventi: condannato per falsità ideologica

Madre condannata per reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, si difende in Cassazione sostenendo di non aver inserito, tra le informazioni necessarie a fini della dichiarazione ISEE, i redditi dei figli solo perché non ne era a conoscenza.

Sulla questione si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 42896/17, depositata il 20 settembre. Il caso. La Corte d’Appello confermava la decisione presa dal Tribunale di primo grado condannando l’imputata per il reato di cui all’art. 483 c.p. falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico . La ricorrente in Cassazione lamenta, nel merito, la manifesta illogicità della motivazione nel giudizio di responsabilità, in quanto, sostiene che è stato desunto il dolo dall’inserimento del nominativo dei figli nella dichiarazione ISEE anche se lo stesso non dimostra che la donna fosse a conoscenza dei redditi degli stessi. Censure nel merito . La Corte di legittimità ha confermato il ragionamento posto in essere dalla Corte d’Appello in riferimento alla presenza del nominativo dei figli nella dichiarazione ISEE come prova di mancata indicazione dei loro redditi. Tale indicazione, secondo la Cassazione, è prova che l’imputata fosse consapevole dell’obbligo di tener conto dei redditi dei figli. Infatti, gli Ermellini affermano che Tale consapevolezza, peraltro, non è negata nemmeno dalla ricorrente, la quale si è trincerata, piuttosto, dietro l’affermazione di non sapere quale fosse il reddito dei congiunti . La dichiarazione stessa dell’imputata, totalmente negativa, è emblematica di un omissione consapevole e inescusabile, che dimostra la volontà di omettere un dato rilevante per la determinazione dell’ISEE, e quindi del dolo richiesto nella specie. Per questi motivi la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 17 agosto – 20 settembre 2017, n. 42896 Presidente Petruzzellis – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Caltanissetta ha, con la sentenza impugnata, confermata quella emessa dal Tribunale di Enna, che aveva condannato C.M.C. per il reato di cui all’art. 483 cod. pen Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, l’imputata presentò al comune di Leonforte una dichiarazione utile ai fini della ricostruzione dell’indicatore della situazione economica equivalente ISEE , relativa all’anno 2008, non veritiera, in quanto nella stessa non erano indicati i redditi percepiti dai figli V.A. e V.N. , ammontanti ad Euro 25.220, nonché il proprio patrimonio immobiliare la proprietà di un terzo di un terreno sito nello stesso comune . 2. Ricorre per cassazione il difensore dell’imputata sollevando censure in rito e in merito. 2.1. Nel merito, lamenta che sia stato attribuito rilievo, in funzione del falso contestato, alla mancata indicazione, nella dichiarazione ISEE, della proprietà di 1/3 del terreno di Leonforte, sebbene si trattasse di terreno privo di reddito dominicale cita l’art. 31 del DPR 917/86, il quale dispone che, in caso di perdita - per eventi naturali - di almeno un terzo del prodotto, il reddito dominicale è da considerare inesistente . - Sotto il profilo soggettivo, lamenta la manifesta illogicità della motivazione, concernente il giudizio di responsabilità. Irragionevolmente deduce - è stato desunto il dolo dall’inserimento del nominativo dei figli nella dichiarazione ISEE, laddove tale inserimento non dimostra affatto che la donna fosse a conoscenza dei redditi percepiti dai figli, i quali, sebbene dimoranti con lei, erano sempre stati silenti circa i propri redditi. Richiama la testimonianza della figlia N. , che avrebbe confermato i non idilliaci rapporti intrattenuti con la madre ed il fatto che era fuggita di casa per raggiungere il compagno di vita che si era scelto. Il ragionamento della Corte di merito è contraddittorio, invece, nella parte in cui evoca un obbligo di accertamento della condizione reddituale dei figli, laddove il modus vivendi di costoro - che rivolgevano alla madre continue richieste di denaro, giustificate dalla mancanza di occupazione - era più che eloquente in ordine alle loro condizioni economiche. Rappresenta - aggiunge pretesa illogica esigere la verifica materiale e/o contabile della situazione patrimoniale dei figli della ricorrente, in assenza di emergenze storico-fattuali di segno opposto . Richiama giurisprudenza di questa Corte, che ritiene insufficiente ad integrare gli estremi del reato il comportamento passivo dell’agente. 2.2. Nel rito, lamenta che, senza alcuna motivazione, sia stata rigettata la richiesta, formulata ex art. 597 cod. proc. pen., di integrazione probatoria, consistente nell’assunzione della testimonianza di V.N. , il quale avrebbe potuto confermare che l’imputata era costretta a continui esborsi di denaro a favore dei figli, a dimostrazione del fatto che era ignara dei redditi percepiti da costoro. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato. 1. Sotto il profilo oggettivo, si rileva che - ai sensi del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 109 - il soggetto che intende richiedere prestazioni o servizi sociali o assistenziali collegati, nella misura e nel costo, a determinate situazioni economiche, è tenuto a fornire le informazioni necessarie per la determinazione dell’indicatore della situazione economica equivalente ISEE , risultante dalla somma dei redditi. Tale indicatore del reddito è combinato con l’indicatore della situazione economica patrimoniale nella misura del 20% dei valori patrimoniali, come definiti nella parte seconda della tabella 1 allegata alla stessa legge art. 2 . Ebbene, tale tabella pone a base del calcolo - per quanto riguarda i fabbricati e i terreni edificabili ed agricoli intestati a persone fisiche diverse da imprese - il valore dell’imponibile definito ai fini ICI al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di presentazione della domanda, tant’è che la dichiarazione sostitutiva unica DSU , cui il richiedente è tenuto, deve contenere i dati reddituali e patrimoniali del nucleo familiare. Nessun fondamento ha, pertanto, la pretesa del ricorrente di fare riferimento - per la determinazione del valore del terreno - al reddito dominicale dello stesso, giacché si tratta di parametro irrilevante per la determinazione della situazione economica patrimoniale, tant’è che la dichiarazione sostitutiva - redatta conformemente al modellotipo di cui all’articolo 4, comma 6, del decreto legislativo n. 109 del 1998 - esigeva ed esige la specifica indicazione dei beni patrimoniali posseduti, e non già il loro reddito dominicale. A tanto va aggiunto che, in appello, la ricorrente aveva addotto a propria scusante, quanto all’omessa indicazione del terreno, la modesta estensione del cespite ed il fatto che questo era gestito dal fratello. Nulla era stato dedotto in ordine alla perdita dei prodotti del terreno nella misura del 30%, sicché anche la doglianza riferita all’assenza di reddito è inidonea trattandosi di deduzione in fatto non sottoposta alla valutazione del giudice di merito - a influenzare il giudizio sulla sussistenza del reato. 2. Sotto il profilo soggettivo, nessuna incongruenza o caduta di logicità è ravvisabile nel ragionamento della Corte d’appello, che ha fatto leva sull’inserimento di V.A. e V.N. nella dichiarazione sostitutiva unica e sul fatto che nessuna indicazione, circa il reddito di costoro, era stata fornita tanto, per dedurre la consapevolezza dell’imputata circa l’obbligo di tener conto dei redditi dei figli e di indicarli nel loro ammontare. Tale consapevolezza, peraltro, non è negata nemmeno dalla ricorrente, la quale si è trincerata, piuttosto, dietro l’affermazione di non sapere quale fosse il reddito dei congiunti. Ma la dichiarazione totalmente negativa è effettivamente emblematica di una omissione consapevole e inescusabile , giacché la convivenza, non negata, di C. con i figli pag. 2 del ricorso - dimostra, da sola, che la donna sapeva dell’esistenza di redditi in capo a costoro, per cui, se avesse voluto rispettare il dettato normativo, avrebbe dovuto informarsi circa il loro ammontare e, non riuscendovi, avrebbe dovuto astenersi dal rendere la dichiarazione o, al massimo, farne menzione nella DSU. Il suo silenzio sul punto è effettivamente indicativo, quindi, della sua consapevole volontà di omettere un dato rilevante per la determinazione dell’indicatore della situazione economica equivalente e, quindi, del dolo richiesto nella specie. Prive di pregio sono, sul punto, le ulteriori deduzioni della ricorrente il fatto che i figli fossero bamboccioni e avanzassero continue richieste di denaro, pur lavorando saltuariamente , e il fatto che V.A. avesse deciso - non è spiegato quando - di andare a convivere con un uomo , giacché non intaccano il ragionamento della Corte di merito, fondato su dati certi e altrimenti indicativi della situazione psicologica della dichiarante in ordine all’attestazione cui era tenuta. 3. Tanto dimostra anche la totale infondatezza della lamentela in rito, giacché i continui esborsi di denaro a favore dei figli , che avrebbero dovuto essere oggetto della testimonianza di V.N. , pur accertati, non avrebbero intaccato in nessuna maniera il ragionamento e la conclusione dei giudici di merito, giacché - a parte le molteplici e insondabili ragioni che avrebbero potuto essere alla base delle richieste di denaro e dei conseguenti esborsi - sarebbe rimasta intatta la prova che i figli avevano conseguito - nel periodo che interessa - redditi da lavoro e che detti redditi non furono dichiarati. 4. Il ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende, che, tenuto conto della natura delle doglianze sollevate, si reputa equo quantificare in Euro 2.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000 a favore della Cassa delle ammende