«Non farti più vedere, altrimenti finisce male...»: parole che valgono una condanna

Sanzionati i proprietari di un bar, protagonisti di un’aggressione verbale nei confronti di una ex dipendente. Respinta la tesi difensiva, finalizzata a sminuire l’episodio. Per i giudici anche il contesto rende gravi le parole rivolte alla lavoratrice.

Clima tesissimo tra i proprietari di un bar e una ex dipendente. La presenza della lavoratrice non è più tollerata, come testimonia l’esplicito invito a non farsi più vedere nel locale. Le parole però vanno utilizzate con raziocinio, e dire, come in questo caso, a una persona Non farti più vedere, altrimenti finisce male equivale a minacciarla in modo serio. Consequenziale la condanna per i due titolari dell’esercizio commerciale. Cassazione, sentenza n. 42752/2017, Sezione Quinta Penale, depositata il 19 settembre . Contesto. Nessun dubbio per i giudici sulla colpevolezza dei proprietari – un uomo e una donna – di un bar. Inequivocabile l’aggressione verbale da loro messa in atto nei confronti di una ex dipendente. Logica perciò la condanna per minaccia , con pena fissata in 300 euro di multa a testa. Per il legale dei due imputati, però, la decisione pronunciata in Appello è eccessiva. Ciò perché, a suo dire, la frase pronunciata all’indirizzo dell’ex dipendente , cioè l’espressione Non farti più vedere, altrimenti finisce male ” , porta ad escludere l’esistenza del reato di minaccia, sia per la genericità del male minacciato, sia per l’inidoneità della condotta ad incutere timore . Questa visione non è però ritenuta corretta dalla Cassazione, che, difatti, conferma la condanna per i titolari del bar. Per i magistrati del ‘Palazzaccio’ va tenuto presente il contesto in cui si è svolto l’episodio, cioè il rapporto conflittuale tra datore di lavoro e lavoratrice . Di conseguenza, le parole rivolte alla ex dipendente sono sufficienti per parlare di minaccia vera e propria, poiché, osservano i giudici, è evidente la prospettazione di un male oscuro, idoneo a creare turbamento e timore nella persona presa di mira. E per ulteriore chiarezza viene anche sottolineato il fatto che è sufficiente la sola attitudine della condotta a intimorire, essendo irrilevante, invece, l’indeterminatezza del male minacciato .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 maggio – 19 settembre 2017, n. 42752 Presidente Sabeone – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 24/03/2016, la Corte d’Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ravenna del 22.9.2011, riduceva la pena nei confronti di S.E. e V.F. a Euro 300,00 di multa ciascuno, per il reato di cui all’art. 612 c.p. capi B ed E per aver minacciato di un male ingiusto G.F. ed assolveva gli imputati dal reato di cui all’art. 594 c.p. capi A e D perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. 2. Avverso tale sentenza gli imputati hanno proposto ricorso a mezzo del loro difensore di fiducia, affidato a cinque motivi, lamentando - con il primo motivo, l’inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 157, 161 e 171 c.p.p. anche in relazione agli artt. 178 ss. c.p.p. invero, la Corte d’Appello di Bologna notificava agli imputati, sia il decreto di citazione per la pubblica udienza, sia l’estratto contumaciale della sentenza, solo presso il loro difensore di fiducia, ai sensi dell’art. 157, comma 8 bis c.p.p., nonostante gli imputati, già a partire dall’inizio del procedimento penale e come risultante da tutti gli atti processuali, avessero provveduto a dichiarare domicilio per le notificazioni presso la loro residenza anagrafica pertanto, si configura nella fattispecie una nullità assoluta insanabile, essendo stata eseguita la notifica a norma dell’art. 157, comma 8 bis c.p.p. presso il difensore di fiducia, nonostante l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni - con il secondo motivo, l’inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 612 c.p. a carico di S.E. infatti, la frase pronunciata dall’imputata all’indirizzo della G. , coincidente con l’espressione non farti più vedere altrimenti finisce male , porta ad escludere l’esistenza del reato di minaccia, sia per la genericità del male minacciato, sia per inidoneità della condotta ad incutere timore nella persona cui era destinata - con il terzo motivo, l’inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 131 bis c.p. in relazione all’art. 612 c.p. infatti, con riguardo a V.F. , nonostante la formale valenza minacciosa della frase con la quale ebbe ad intimare alla G. di smetterla di recarsi presso il bar, sotto minaccia di un male fisico, l’imputato non intendeva concretamente porre in essere i comportamenti preannunciati inoltre, con riguardo a S.E. , la frase pronunciata all’indirizzo della sua ex dipendente portava ad escludere la sussistenza del reato di minaccia per la sua portata letterale o, comunque, a ritenerne l’estrema tenuità di essa ai sensi dell’art. 131 bis c.p. - con il quarto motivo, la contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, nonché dai verbali di udienza contenenti le dichiarazioni dei testimoni escussi su richiesta della difesa infatti, le valutazioni del Giudice che ha considerato le deposizioni testimoniali irrilevanti se lette favorevolmente, mendaci se interpretate secondo criteri più critici, coincidono con valutazioni solo personali, ossia mere opinioni non suffragate da alcun elemento oggettivo la valutazione del Giudice circa la reticenza e la non spontaneità dei testi risulta frutto di mere opinioni personali dell’organo giudicante, in quanto priva di qualsiasi elemento oggettivo di conferma fornito in sentenza anche l’affermazione secondo cui l’imputato V. aveva reso dichiarazioni mendaci in ordine alle utenze mobili a lui in uso all’epoca dei fatti, non tiene conto del fatto che è normale non ricordare numeri telefonici del passato, soprattutto se cambiati continuamente ed intestati anche al figlio invero è stata affermata la penale responsabilità degli imputati nonostante i due testi della difesa riferissero di non aver udito espressioni minacciose o parole offensive, ma soltanto una discussione in ordine al pagamento della retribuzione della G. -con il quinto motivo, la manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, nonché dai verbali di udienza contenenti le dichiarazioni dei testimoni escussi su richiesta della difesa invero le critiche dei giudici di secondo grado in ordine alle testimonianze in questione oltre ad essere generiche ed assolutamente personali, non risultano riferite al contenuto oggettivo delle stesse. Considerato in diritto 1.Va preliminarmente rideterminata la pena nei confronti degli imputati in Euro 50,00 di multa ciascuno per il reato di cui all’art. 612 c.p., atteso che la Corte territoriale ha determinato la pena in Euro 300,00 di multa, mentre i fatti si sono verificati nel 2008, nella vigenza della previsione di pena per il suddetto delitto sino a Euro 51 infatti, l’art. 1, D.L. 14 agosto 2013, n. 93, conv., con modif. dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119, che ha sostituito le parole fino a Euro 51 con le parole fino a Euro 1.032 è stato introdotto successivamente ai fatti e, quindi, non poteva trovare applicazione nella fattispecie. 2. Il ricorso nel resto è inammissibile, siccome manifestamente infondato. 2.1. Quanto al primo motivo, è sufficiente rilevare come più volte questa Corte abbia evidenziato che è affetta da nullità a regime intermedio la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello, a norma dell’art. 157, comma ottavo bis, cod. proc. pen., presso il difensore di fiducia, anziché presso il domicilio dichiarato o eletto dall’imputato Sez. 5, n. 8478 del 28/11/2016 . Peraltro, la nullità derivante dalla avvenuta notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello, a norma dell’art. 157, comma ottavo bis, cod. proc. pen., presso il difensore di fiducia, anziché presso il domicilio dichiarato o eletto dall’imputato, deve ritenersi sanata in tutti i casi in cui risulti provato che la notificazione non ha impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa Rv. 268883 . 2.1.1. Nel caso di specie, in applicazione dei suddetti principi, deve rilevarsi come non risulti dedotto in ricorso, né ciò si evince dal verbale di udienza del 24.3.2016- al quale questa Corte può accedere in ragione dell’eccezione proposta - che il difensore di fiducia degli imputati avv. Nicolai, presente, abbia proposto tale eccezione, restando così sanata la nullità a regime intermedio configurabile. 2.2. Manifestamente infondato si presenta il secondo motivo di ricorso. In proposito, va premesso che, per quanto concerne l’inidoneità dell’espressione non farti più vedere altrimenti finisce male proferita dalla S. nei confronti della p.o. ad integrare il reato di minaccia, non pare che tale questione, sulla base della incontestata sintesi dei relativi motivi abbia costituito oggetto di appello appunto, sicché viene inammissibilmente dedotta in questa sede in violazione del disposto di cui all’art. 606/3 c.p.p. In ogni caso, non illogicamente, la Corte territoriale ha ritenuto integrato il reato in contestazione, in relazione alla frase suddetta per il contesto di riferimento, avendo più volte la giurisprudenza di legittimità evidenziato come integri l’elemento oggettivo del reato di minaccia la prospettazione di un male oscuro, il cui concretizzarsi dipenda dalla persona che lo rappresenta e sia idoneo a creare turbamento e timore nella persona offesa Sez. 5, n. 50573 del 24/10/2013 . Nel reato di minaccia, elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante, invece, l’indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente. Sez. 5, n. 45502 del 22/04/2014 . 2.3. Manifestamente infondato si presenta, altresì, il terzo motivo di ricorso, atteso che, come appena accennato, correttamente la Corte territoriale, senza incorrere in vizi, ha ritenuto minacciose le frasi pronunciate dagli imputati all’indirizzo della p.o., specie in considerazione del contesto di riferimento rapporto conflittuale tra datore di lavoro e lavoratrice . Per quanto concerne, poi, l’applicabilità nella fattispecie della causa di esclusione della punibilità ex art. 131 bis c.p., ebbene non risulta che essa sia stata richiesta specificamente in appello, neppure all’udienza del 24.3.2016, pur essendo stata introdotta la norma in questione dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, sicché è preclusa in questa sede l’invocabilità di essa per la prima volta. 2.4. Inammissibili, siccome generici e, comunque, manifestamente infondati si presentano il quarto ed il quinto motivo di ricorso, con i quali vengono censurate le valutazioni della Corte territoriale in merito alla ritenuta inattendilità dei testi della difesa. Ed invero, non si colgono profili di illogicità nell’esposizione delle ragioni per le quali le dichiarazioni dei testi R. e G. sono state ritenute non attendibili, così come sono state ritenute mendaci le dichiarazioni del V. , a fronte della ricostruzione precisa logica e pacata della p.o Nell’ambito dell’attività valutativa del giudice ben rientra, invero, quella della valutazione circa l’attendibilità od inattendibilità della testimonianza della quale è tenuto a dar conto con percorso argomentativo adeguato, senza che in tale argomentare sia tenuto a ricercare riscontri , ma ad indicare gli elementi che depongono nel senso enunciato. I ricorrenti in realtà con i loro assunti tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, ma, secondo l’incontrastata giurisprudenza di legittimità, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone . 3. La sentenza impugnata va pertanto annullata limitatamente alla quantificazione della pena che va determinata in Euro 50,00 di multa per ciascun imputato, mentre i ricorsi vanno dichiarati inammissibili nel resto. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione della pena che determina in Euro 50,00 di multa dichiara inammissibile il ricorso nel resto. Motivazione semplificata.