Riga l’auto della polizia, la videosorveglianza non lo “salva” dall’aggravante delle pubblica fede

Per pubblica fede ex art. 625, comma 1, n. 7, c.p. deve intendersi il senso di affidamento verso la proprietà altrui su cui si basa chi deve lasciare una cosa, anche solo temporaneamente incustodita, e la mera presenza di un sistema di videosorveglianza non è idonea ad escludere la sussistenza dell’aggravante in esame.

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 42514/17, depositata il 18 settembre. Il caso. Il Tribunale dichiarava l’imputato colpevole del reato di cui agli artt. 81 e 635 c.p. in relazione all’art. 625, comma 1, n. 7, c.p. per avere con più condotte esecutive di un unico disegno criminoso, deteriorato rigandone la carrozzeria, alcune autovetture in uso ai Carabinieri. Avverso la pronuncia della Corte d’Appello che confermava quanto disposto dal Tribunale, l’imputato ricorreva in Cassazione. L’esposizione alla pubblica fede. La doglianza del ricorrente si basa sull’applicazione dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, nel caso specie, infatti, le autovetture rigate dal ricorrente erano parcheggiate in una zona limitrofa ad una caserma dei Carabinieri sottoposta a videosorveglianza, la Cassazione conferma la correttezza di quanto disposto in Appello. Gli Ermellini, infatti, richiamando quanto già consolidato in giurisprudenza, affermano che per pubblica fede ex art. 625, comma 1,n. 7, c.p. deve intendersi il senso di affidamento verso la proprietà altrui su cui si basa chi deve lasciare una cosa, anche solo temporaneamente incustodita, e la mera presenza di un sistema di videosorveglianza non è idonea ad escludere la sussistenza dell’aggravante in esame. Ne deriva, quindi, che la mera sussistenza dell’aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non può essere esclusa per la sola sussistenza di videosorveglianza, dal momento che quest’ultima non costituisce, di per se, una difesa idonea a impedire la consumazione dell’illecito attraverso un immediato intervento ostativo. Per questo motivo la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 aprile – 18 settembre 2017, numero 42514 Presidente Davigo – Relatore Cervadoro Ritenuto in fatto Con sentenza emessa in data 18 aprile 2013 il Tribunale di Trapani, in composizione monocratica, dichiarava C.S. colpevole del reato di cui agli artt. 81 cpv. e 635 cpv. in relazione all’art. 625, comma 1, numero 7 , c.p. per avere, agendo con più condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso, deteriorato rigandone la carrozzeria alcune autovetture in uso ai Carabinieri e, previa concessione della circostanza attenuante comune ex art. 62, comma 1, numero 6 c.p.p., lo condannava alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Con sentenza emessa in data 13 giugno 2016, la Corte d’Appello di Palermo, III Sezione Penale, confermava la sentenza di primo grado e condannava l’imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali. Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo, con unico motivo, la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e c.p.p. per manifesta illogicità della motivazione risultante dal raffronto tra il testo del provvedimento impugnato e un atto del processo specificamente indicato. Il ricorrente chiede, in particolare, l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 625, comma 1, numero 7 , c.p., in quanto, nel caso in esame, le autovetture danneggiate si trovavano parcheggiate negli appositi stalli riservati al personale dell’Arma, siti lungo il perimetro della Caserma dei Carabinieri di Alcamo e l’intera area perimetrale della caserma era dotata di un sistema di video-sorveglianza con facoltà di controllo per 24 ore al giorno da parte dei militari di servizio presso il corpo di guardia. Di talché, la vigilanza sulla res avrebbe avuto carattere continuativo. In sintesi, come asseritamente dimostrato dalle trascrizioni di udienza allegate, il perimetro della caserma ove si svolgeva il controllo delle videocamere e lo spazio riservato al parcheggio delle auto dei militari identificherebbero il medesimo spazio e non, come erroneamente sostenuto in sentenza, luoghi diversi. Inoltre, nel caso di specie, sarebbe stato possibile risalire all’autore del danneggiamento proprio grazie al funzionamento delle videocamere. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, essendo il reato non aggravato art. 635 c.p. estinto a seguito della remissione della querela. Considerato in diritto 1. Con l’unico motivo di ricorso solo formalmente vengono evocati vizi di legittimità in concreto le doglianze sono articolate sulla base di rilievi che tendono ad una rivalutazione del merito delle statuizioni della Corte territoriale, e sono privi della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. c , in relazione all’art 591 lett. c c.p.p. in ragione della mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità Cass.Sez.IV numero 5191/2000 Rv.216473 . 2. La motivazione della Corte territoriale, che va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, si appalesa completa, priva di vizi logici, del tutto aderente alle premesse fattuali acquisite in atti, compatibile con il senso comune, e ai principi di diritto enunciati da questa Corte. 3. Per pubblica fede ai sensi dell’art. 625, comma 1, numero 7, c.p., deve intendersi il senso di affidamento verso la proprietà altrui su cui si basa chi deve lasciare una cosa, anche solo temporaneamente, incustodita cfr. Cass., Sez. IV, sent. numero 5113/2008 e questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che la mera presenza di un sistema di videosorveglianza non è idonea ad escludere la sussistenza dell’aggravante in oggetto. La circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non è esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di videoregistrazione, che non può considerarsi equivalente alla presenza di una diretta e continua custodia da parte del proprietario o di altra persona addetta alla vigilanza cfr., da ultimo, Cass., Sez. V, sent. numero 45172/2015, Rv. 265681 . Sussiste, pertanto, l’aggravante di cui all’articolo 625, comma 1, numero 7, c.p. qualora il furto di un veicolo esposto alla pubblica fede sia commesso in un luogo avente un sistema di videosorveglianza, il quale, ancorché consenta la conoscenza postuma delle immagini registrate dalla telecamera, non costituisce di per sé una difesa idonea a impedire la consumazione del’illecito attraverso un immediato intervento ostativo v. Cass., Sez. V, sent. numero 17407/2014 Sez. V, sent. numero 6682 del 08/11/2007 Rv. 239095 . 4. La Corte d’Appello, con motivazione logica sorretta da accertamento di fatto insuscettibile di censura in questa sede, ha quindi evidenziato, nella sentenza impugnata, che il controllo era svolto nell’area perimetrale intorno alla caserma e non già sulla via dove sono i posti riservati ai militari e che non è in alcun modo risultato che detta area di parcheggio sia soggetta ad un controllo svolto costantemente né che vi sia stata la possibilità di immediato intervento del controllore in grado di interrompere in ogni momento l’azione delittuosa. E contro tali valutazioni sono dal motivo in esame formulate mere contestazioni di veridicità, in un impensabile tentativo di ottenere da questa Corte di legittimità un revisione di merito delle valutazioni stesse a ciò aggiungasi che, anche nell’ipotesi in cui le caratteristiche della videosorveglianza descritte nel ricorso fossero corrispondenti a verità, le doglianze fatte proprie dal ricorrente, alla luce della giurisprudenza di questa Corte sopra citata, sarebbero comunque del tutto ininfluenti ai fini della sussistenza o meno della aggravante in questione. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. penumero , con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa v. Corte Cost. sent. numero 186/2000 , nella determinazione della causa di inammissibilità al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di millecinquecento Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento a favore della Cassa delle ammende.