Acquisizione di verbali di prova di altro procedimento: l’importanza del contraddittorio

La partecipazione del difensore dell’imputato, nei cui confronti si intenda utilizzare la prova in un altro processo, deve essere effettiva, cioè tale da consentire al difensore di porre domande e ricevere risposte nel corso dell’esame del dichiarante nel processo a quo con specifico riferimento alla posizione dell’imputato nel processo ad quem.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 41766/17 depositata il 13 settembre. Il caso. Nel caso di specie, l’imputato veniva sottoposto a processo e condannato, in primo e secondo grado, per il delitto di falsa testimonianza commesso nell’ambito di altro processo penale. Proponeva ricorso, lamentando l’inosservanza del disposto di cui all’art. 238, comma 2 -bis c.p.p., per essere stati irritualmente acquisiti nel processo di falsa testimonianza, il verbale di dichiarazioni rese dal perito nell’ambito dell’altro procedimento, nonché la relazione di perizia relativa alla trascrizione di alcune conversazioni che avrebbero per l’appunto costituito il fondamento della decisione sulla falsa testimonianza. Normativa precedente alla l. n. 63/2001 La Corte, ritenendo fondato il ricorso, fa innanzitutto un brevissimo excursus sulla tematica relativa all’acquisizione di prove, assunte in un dato processo, che possono essere utili in altro procedimento penale, con riguardo sia al periodo precedente che successivo alla entrata in vigore della l. n. 63/2001 e della modifica dell’art. 111 Cost Ed infatti, prima di tale intervento, ai sensi dell’art. 238 c.p.p., era possibile acquisire i verbali di prove di altro processo penale, se assunte nell’incidente probatorio o in dibattimento, nonché i verbali di prove formate in un processo civile, purchè definito con sentenza passata in giudicato. L’unico limite era previsto per i soggetti di cui all’art. 210 c.p.p. il secondo comma dell’art. 238, infatti, consentiva l’acquisizione ove le dichiarazioni di tali soggetti fossero state assunte solo nei confronti degli imputati i cui difensori avessero partecipato all’assunzione dell’atto. Ad ogni modo le parti avevano facoltà di chiedere nuovamente l’esame dei dichiaranti già escussi nel processo a quo , dei quali si acquisivano le dichiarazioni. e successiva. Tale gap normativo, è stato risolto con la modifica introdotta dalla l. n. 63/2001, attraverso una generalizzazione della norma e la previsione, in ogni caso, che tutte le prove dichiarative assunte in altro procedimento penale, in incidente probatorio o dibattimento, siano acquisite e utilizzate solo se alle stesse vi abbia partecipato il difensore dell’imputato. Il discorso è valido, secondo il giudici, anche per i verbali delle dichiarazioni dei periti insieme alle relazioni cui fanno riferimento che costituiscono parte integrante dei verbali stessi. Tale modifica ha teso quindi a raddrizzare” quella stortura normativa che si era creata immediatamente dopo l’introduzione del comma 2-bis e che aveva riguardato unicamente il caso della assunzione delle dichiarazioni rese dai soggetti di cui all’art. 210 c.p.p Importanza del contraddittorio. Se è tale dunque il principio normativo, è evidente, quindi, che non può ritenersi sufficiente, come hanno ritenuto i primi giudici, a mera partecipazione, per pura casualità, al processo in cui fu acquisita la prova, del difensore dell’imputato del processo in cui si chiede l’acquisizione, stante che non ci si può accontentare, come ha fatto la Corte di merito nel caso di specie di un simulacro di contraddittorio , portatore di una impropria e apparente funzione di garanzia .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 giugno – 13 settembre 2017, n. 41766 Presidente Paoloni – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Lecce Sezione distaccata di Taranto -, con sentenza del 04/04/2016 ha confermato la decisione di primo grado con cui L.P.D. è stato ritenuto responsabile del reato previsto dall’art. 372 cod. pen. La falsa testimonianza sarebbe stata commessa nell’ambito di un processo penale in cui si procedeva per il reato di detenzione illegale di armi L.P. , in qualità di testimone, avrebbe falsamente dichiarato nel corso del giudizio che l’imputato, tale S.C. , si era recato, unitamente ad altra persona, presso la sua abitazione per mostragli la foto di un abbeveratorio, laddove invece, secondo la ricostruzione processuale, l’incontro ebbe ad oggetto la vendita di un’arma che lo stesso ricorrente aveva interesse ad acquistare. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato articolando tre motivi di ricorso. 2.1. Con il primo si deduce la erronea applicazione della legge penale e l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità ed inutilizzabilità in relazione agli artt. 191 e 238, comma 2-bis, cod. proc. pen. si contesta la ritualità dell’acquisizione dal procedimento penale originale, nel cui ambito la falsa testimonianza fu resa, del verbale dell’esame dibattimentale del perito e della relazione di perizia di trascrizione di alcune conversazioni telefoniche, poi utilizzate nella sentenza di condanna del ricorrente al fine di provare la falsità della testimonianza. Assume il difensore che l’acquisizione e la utilizzazione ai fini della colpevolezza del L.P. di quel verbale di prova sarebbe stata compiuta in violazione del divieto probatorio previsto dall’art. 238, comma 2 bis, cod. proc. pen., perché il difensore del ricorrente non aveva partecipato all’assunzione della prova nel processo avente ad oggetto la detenzione illegale dell’arma. Si sostiene, in particolare, che la utilizzabilità di quel verbale di prova non potrebbe farsi discendere dal fatto che nel processo a quo , al quale L.P. era estraneo, il difensore di questi partecipò in qualità di difensore di alcuni imputati. La Corte di appello di Lecce ha invece ritenuto sufficiente, ai fini dell’acquisizione e dalla utilizzazione probatoria del verbale di prova dell’esame del perito e della connessa relazione, la circostanza che nel processo in cui la falsa testimonianza fu resa, il difensore del L.P. abbia in qualche modo partecipato, anche se non nella veste di difensore del soggetto nei cui confronti la prova sia stata poi utilizzata a carico nel processo ad quem . 2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di norma processuale prevista a pena di inutilizzabilità, per avere la Corte di Appello, al fine di provare la colpevolezza del L.P. , utilizzato le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia da S.C. nel procedimento avente ad oggetto il delitto di detenzione illegale di armi e richiamate in motivazione dalla sentenza emessa all’esito di quel giudizio e successivamente acquisita nel processo a carico del L.P. . In particolare, per affermare la falsità della deposizione del L.P. , che, come detto, aveva riferito nel processo a quo di essere stato interessato all’acquisto di un abbeveratorio in pietra e non di un’arma, il Tribunale ha evidenziato come S. , nel corso del suo interrogatorio, non avesse fatto nessun riferimento all’interesse del L.P. per l’abberevatorio. Secondo il difensore, le dichiarazioni richiamate in sentenza non avrebbero potuto essere utilizzate in assenza dell’acquisizione del verbale di interrogatorio in questione nel processo avente ad oggetto la falsa testimonianza, non potendo nella specie trovare applicazione l’art. 238 cod. proc. pen. 2.3. Con il terzo motivo si eccepisce si eccepisce il vizio di motivazione della sentenza in ordine alle ragioni per cui la testimonianza dell’imputato sarebbe stata falsa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato quanto ai primi due motivi di ricorso. 2. Con riferimento al primo motivo, la questione attiene al come debba essere intesa la previsione normativa di cui all’art. 238, comma 2 bis, cod. proc. pen., secondo cui i verbali di prova assunte in dibattimento in altro procedimento penale possono essere utilizzati contro l’imputato soltanto se il suo difensore abbia partecipato all’assunzione della prova. Come detto, secondo la Corte di Appello di Lecce Sezione distaccata di Taranto la utilizzazione probatoria contro l’imputato della prova formata in altro procedimento sarebbe possibile anche nei casi in cui il difensore di questi abbia in qualunque modo partecipato alla formazione della prova, cioè anche nel caso in cui occasionalmente egli abbia preso parte in qualità di difensore di un imputato del processo a quo diverso da quello nei cui riguardi si intenda utilizzare la prova nel processo ad quem . 3. Si tratta di una affermazione di principio non condivisibile sotto molteplici profili perché, da una parte, applica erroneamente l’art. 238, comma 2 bis, cod. proc. pen. e, dall’altra, sovrappone questioni giuridiche distinte quella della utilizzabilità di un verbale di prova di dichiarazioni acquisite in un diverso procedimento e quella delle condizioni di utilizzabilità probatoria in un diverso procedimento dei risultati delle conversazioni intercettate. 4. Quanto alla utilizzabilità del verbale delle dichiarazioni rese dal perito nel processo a quo , la legge 1 marzo 2001, n. 63, al fine di dare attuazione ai principi di cui all’art. 111 della Costituzione, ha apportato modifiche al regime della utilizzabilità delle prove formate in altri procedimenti. Prescindendo dalla circolazione di atti fra procedimenti diversi che sono nella fase delle indagini preliminari per la quale assumono rilievo gli artt. 117 relativo alla richiesta di atti ed informazione da parte del pubblico ministero all’autorità giudiziaria competente , 371 che regola il collegamento delle indagini ed il coordinamento, lo scambio e la comunicazione di atti tra diversi uffici del pubblico ministero in relazione all’attività investigativa compiuta o da compiere e 270 cod. proc. pen. relativo alla utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi da quello in cui sono state disposte , la tematica attiene alla circolazione probatoria fra autonomi processi nei quali, tuttavia, può risultare utile acquisire ciò che è stato assunto aliunde. In tal caso, oltre che all’art 234 cod. proc. pen., relativo alla produzione documentale, assume rilievo l’art. 238 cod. proc. pen. La disposizione in parola prevedeva, nel testo vigente prima della entrata in vigore della legge n. 63 del 2001 e della modifica dell’art. 111 Cost., la possibilità di acquisire i verbali di prove di altro processo penale, se assunte nell’incidente probatorio o in dibattimento, nonché i verbali di prove formate in un processo civile, definito con sentenza passata in giudicato. Solo per i soggetti di cui all’art. 210 cod. proc. pen. era previsto, al comma 2 bis, un limite alla generalizzata possibilità di utilizzazione delle prove assunte in altro processo, atteso che le dichiarazioni dei soggetti in questione potevano essere utilizzate esclusivamente nei confronti degli imputati i cui difensori avessero partecipato all’assunzione dell’atto. L’acquisizione diretta delle prove assunte in altro processo era poi, peraltro, bilanciata dal diritto delle parti di chiedere ed ottenere nuovamente l’esame dei dichiaranti già escussi nel processo a quo. Le parti, cioè, potevano chiedere al giudice di sentire nuovamente la stessa persona già escussa nell’altro processo ed il giudice, dopo aver disposto, ai sensi dell’art. 495 cod. proc. pen., l’acquisizione dei verbali delle prove già assunte, era libero di valutare la manifesta superfluità o meno della richiesta del nuovo esame della stessa fonte da cui quelle dichiarazioni provenivano. Il sistema subiva una eccezione nei processi di criminalità organizzata, cui erano assimilati i processi a carico di imputati di reati sessuali, per i quali l’art. 190 bis cod. proc. pen. imponeva al giudice una valutazione più rigorosa ai fini della ammissione dell’esame della persona già escussa nel processo a quo in tal caso, infatti, il nuovo esame avrebbe potuto essere ammesso solo se ritenuto assolutamente necessario. Il terzo comma dell’articolo in questione prevedeva, a sua volta, la possibilità di acquisire direttamente, mediante il sistema delle letture, gli atti la cui ripetizione fosse stata impossibile in particolare l’acquisizione era consentita per gli atti intrinsecamente irripetibili, formati nel procedimento di provenienza perquisizioni e sequestri , e per quelli che erano diventati tali per fatti sopravvenuti. Il quarto comma della norma, infine, prevedeva che, al di fuori dei casi disciplinati dai commi precedenti, i verbali di dichiarazioni formati in altro procedimento potessero essere utilizzati solo con il consenso dell’imputato ovvero ai sensi dell’art. 500-503 cod. proc. pen. 5. Tale impianto normativo appariva, sotto molteplici profili, solo parzialmente compatibile con i principi previsti dal nuovo art. 111 della Costituzione. Quanto al comma 2 bis dell’articolo 238 cod. proc. pen., introdotto dalla legge 7 agosto 1997 n. 267, esso era, da una parte, simmetrico, limitatamente ai soggetti ivi contemplati, anche con l’attuale art. 111 Cost. che impone la formazione della prova con il metodo dialettico ma non anche che il contraddittorio debba necessariamente realizzarsi davanti al giudice del merito e, dall’altra, tuttavia, in contrasto con il dettato costituzionale nella parte in cui non prevedeva alcunché per l’ipotesi che venissero acquisiti, come nel caso di specie, verbali di dichiarazioni rese in dibattimento da soggetti diversi da quelli riconducibili all’art. 210 cod. proc. pen. Già al momento della introduzione della norma in esame, la dottrina aveva evidenziato il carattere unilaterale e parziale della modifica normativa e come un’attuazione più generale del principio del contraddittorio avrebbe richiesto una estensione del disposto normativo a tutte le dichiarazioni acquisite da altro procedimento, atteso che, diversamente, si sarebbe potuta configurare una disparità di trattamento fra dichiarazioni testimoniali provenienti da altro processo, pienamente utilizzabili nei confronti di tutte le parti del processo ad quem, e dichiarazioni assunte in altro processo da imputati di reato connesso o collegato probatoriamente che, invece, avrebbero potuto essere utilizzate solo nei confronti degli imputati i cui difensori avessero partecipato all’assunzione dell’atto. Peraltro, la stessa legge aveva introdotto il comma 1 bis dell’art. 403 cod. proc. pen. che escludeva la utilizzabilità delle prove assunte in incidente probatorio nei confronti degli imputati la cui difesa non avesse partecipato alla formazione dell’atto, salva l’ipotesi in cui gli indizi di colpevolezza fossero emersi solo dopo che la ripetizione dell’atto era divenuta impossibile. Il sistema delineato dal legislatore per la utilizzabilità delle prove assunte in incidente probatorio era, cioè, già dal 1997, perfettamente compatibile ed attuativo del principio del contraddittorio l’utilizzazione della prova assunta in incidente probatorio era subordinata alla partecipazione effettiva al contraddittorio del soggetto nei cui confronti quella prova si intendeva usare, salva la possibilità di estendere la utilizzazione di quella determinata prova anche ad indagati che non avessero potuto partecipare alla sua assunzione per essere, essi, stati raggiunti da indizi di colpevolezza dopo che la ripetizione dell’atto probatorio fosse divenuta oggettivamente impossibile. 6. Il tema è strettamente connesso al carattere relativo del principio del contraddittorio. Se è vero, infatti, che l’accezione oggettiva del contraddittorio impone che la prova si formi attraverso l’esame incrociato delle parti, le quali, in tal modo, possono avere la possibilità di verificare la attendibilità del dichiarante e di sviluppare tutti i temi di prova che ritengono rilevanti, è altrettanto vero che la formazione della prova risente inevitabilmente degli interessi specifici delle parti che partecipano al momento assuntivo. Nel processo di formazione della prova, le parti cercano, tendenzialmente, di far emergere, di sviluppare, di evidenziare quelle tematiche e quelle circostanze che poi potranno essere più facilmente valorizzate in riferimento ad un determinato capo di imputazione, alla specifica posizione personale di un determinato imputato ed alla strategia processuale in concreto prescelta. La prova di un determinato fatto sarà tanto più vicina alla verità e processualmente più utile, quanto più sarà formata in contraddittorio dagli stessi soggetti nei cui confronti è destinata ad essere utilizzata la dottrina già da tempo aveva evidenziato i diversi ambiti di potenzialità persuasiva che un analogo strumento gnoseologico o addirittura uno stesso atto può avere. 7. In tale quadro di riferimento la legge n. 63 del 2001 è intervenuta sul disposto dell’art. 238 cod. proc. pen., dando attuazione al dettato costituzionale anche in riferimento agli specifici aspetti fin qui evidenziati. Si è innanzitutto modificata la norma contenuta nel comma 2 bis dell’art. 238 cod. proc. pen., stabilendo che i verbali di dichiarazioni assunte in altro procedimento penale, in sede di incidente probatorio, in dibattimento, o in un giudizio civile, definito con sentenza passata in giudicato, possono essere utilizzati nei confronti di un imputato in un altro processo solo se il suo difensore abbia partecipato all’assunzione della prova ovvero se nei suoi confronti faccia stato la sentenza civile. Si tratta di una innovazione legislativa finalizzata a porre fine proprio a quella peculiare situazione che si era venuta a creare all’indomani dell’introduzione del comma 2 bis della norma in esame e che aveva escluso, solo per le dichiarazioni assunte dai soggetti indagati ex art. 210 cod. proc. pen., la possibilità di utilizzazione nei confronti di imputati i cui difensori non avessero partecipato alla formazione dell’atto. Per effetto della modifica in esame, quindi, tutte le prove dichiarative assunte in incidente probatorio o in dibattimento in altro procedimento penale possono essere utilizzate solo a condizione che il difensore dell’imputato nel procedimento ad quem abbia partecipato alla loro assunzione. Né, quanto ai limiti di operatività del principio in questione, si può dubitare che tra i verbali di prove di altro procedimento penale dei quali, ai sensi dell’art. 238, comma 1, cod. proc. pen., è ammessa l’acquisizione, devono considerarsi ricompresi anche i verbali delle dichiarazioni dei periti, unitamente alle relazioni che questi abbiano eventualmente redatto, costituendo esse, normalmente, parte integrante dei suddetti verbali e facendo, di solito, i periti riferimento alle medesime per ampliare e completare le loro dichiarazioni in tal senso, Sez. 1, n. 9536 del 17/01/2001, Tedeschi, Rv., 218334 Sez. 3, n. 43498 del 02/10/2012, H., Rv. 253767, non massimata sul punto . L’esigenza di dare attuazione al contraddittorio sotto il profilo soggettivo, impone tuttavia che la partecipazione del difensore dell’imputato, nei cui confronti si intenda utilizzare la prova in un altro processo, sia effettiva, cioè tale da consentire al difensore di porre domande ed ottenere risposte nel corso dell’esame del dichiarante nel processo a quo con specifico riferimento alla posizione dell’imputato nel processo ad quem . 8. In tale contesto il principio affermato dalla Corte di Appello di Lecce Sezione distaccata di Taranto viola l’art. 238, comma 2 bis, cod. proc. pen. La Corte di merito ha interpretato la norma in questione come se il suo testo fosse sostanzialmente quello vigente prima della modifica operata dalla legge n. 63 del 2001, perché si è accontentata di un simulacro di contraddittorio, di una partecipazione astratta, occasionale, ineffettiva del difensore del difensore dell’imputato nei cui confronti nel processo ad quem si intende utilizzare la prova assunta in un altro processo penale. In tal modo però si finisce per attribuire ad un elemento puramente casuale, quale quello di avere uno degli imputati nel processo a quo le stesso difensore dell’imputato nei cui confronti si intende utilizzare la prova nel processo ad quem , una impropria e apparente funzione di garanzia, non considerando, proprio in virtù della concezione relativistica del contraddittorio, che il difensore del L.P. nel processo a quo esercitò la attività professionale nell’interesse di un soggetto diverso, in relazione ad un fatto di reato diverso, in attuazione di una strategia processuale diversa, ignorando che L.P. sarebbe stato poi chiamato a rispondere in un altro processo del reato di falsa testimonianza. Nella specie, dunque, non si può affermare che il difensore del L.P. partecipò alla assunzione della prova nel processo a quo . 9. Sotto altro profilo, con specifico riferimento alla perizia trascrittiva di conversazioni telefoniche intercettate, l’interpretazione fornita dalla Corte di merito conduce ad una sovrapposizione di questioni giuridicamente distinte. Attraverso l’acquisizione del verbale di prova dell’esame del perito reso nel processo avente ad oggetto la detenzione illegale di armi, si è utilizzato a fini probatori in un altro procedimento quello avente ad oggetto il reato di falsa testimonianza il contenuto delle conversazioni intercettate nel procedimento a quo , con una sostanziale vanificazione della disciplina prevista dall’art. 270 cod. proc. pen., cioè della norma specifica che disciplina i limiti di utilizzabilità in altri procedimenti dei risultati delle captazioni. In tal modo si è estesa l’utilizzabilità probatoria delle intercettazioni al di là delle condizioni previste, da una parte, dall’art. 238 cod. proc. pen., con specifico riferimento alle dichiarazioni rese dal perito trascrittore, e, dall’altra, dall’art. 270 cod. proc. pen., con riguardo alla trascrizione delle conversazioni. Né dal testo della sentenza impugnata emergono elementi in ordine alla acquisizione nel processo ad quem dei supporti magnetici delle conversazioni intercettate, ovvero si affronta il tema della possibilità di utilizzare in detto processo non tanto le dichiarazioni del perito, quanto il contenuto delle intercettazioni effettuate nell’altro procedimento. 10. La sentenza deve quindi essere annullata con rinvio per un nuovo esame sul punto alla Corte di Appello che dovrà verificare se ed in che limiti l’esame del perito e, soprattutto, il contenuto delle intercettazioni disposte ed eseguite nel procedimento avente ad oggetto il reato di detenzione illegale di arma siano utilizzabili nel procedimento avente ad oggetto il reato di falsa testimonianza. 11. Anche il secondo motivo di ricorso è fondato. La Corte di merito, al fine di provare la falsità delle testimonianza resa dal L.P. , ha fatto riferimento, oltre alla conversazione telefonica di cui si è già detto, al contenuto nella sentenza divenuta irrevocabile, avente ad oggetto il reato di detenzione illegale di armi, in cui si richiamano le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia dal S.C. , imputato in quel processo. Prescindendo in questa sede dall’affrontare il tema dei limiti dell’oggetto della prova ricavabile da una sentenza irrevocabile pronunciata aliunde, la Corte di merito sembrerebbe far discendere la utilizzabilità probatoria delle dichiarazioni rese da S. dal carattere irrevocabile della sentenza avente ad oggetto il reato di detenzione illegale di armi, e quindi, dall’art. 238 bis cod. proc. pen 12. Si tratta di una impostazione non condivisibile. La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni affermato che l’acquisizione di sentenze divenute irrevocabili costituiscono prova dei fatti considerati come eventi storici, mentre le prove in esse utilizzate non sono sottratte al regime di utilizzabilità nel diverso procedimento ne consegue che nel caso di specie il regime stabilito dall’art. 238, comma 2 bis, cod. proc. pen. non poteva essere superato dalla circostanza che un riferimento a quelle dichiarazioni era riportato nella sentenza di condanna acquisita agli atti Sez. 1, n. 11488 del 16/03/2010, Bisio, Rv. 246778 Sez. 6, n. 1269 del 04/12/2003, dep. 2004 , Brambilla Rv. 229996 più recentemente, Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017 , UST CISL VCO, non massimata . Ne discende ulteriormente che la Corte territoriale non poteva utilizzare, per spiegare l’incongruenza contenuta nella deposizione testimoniale del L.P. , le dichiarazioni rese da S. nell’interrogatorio di garanzia, trattandosi, da una parte, di prove non assunte in dibattimento o in un incidente probatorio, e quindi sottratte alla disciplina prevista dall’art. 238, comma 2 bis, cod. proc. pen., e, dall’altra, di un atto, l’interrogatorio di garanzia non acquisito nel processo ad quem . Anche sul punto, quindi, la sentenza deve essere annullata con rinvio per un nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Lecce.