Commerciava vongole troppo piccole, condannato

Condannato il legale rappresentante di una società per aver detenuto e commercializzato 750 kg di vongole con una dimensione inferiore alla minima consentita.

Così ha deciso il Collegio di Legittimità con la sentenza n. 41531/17, depositata il 12 settembre. Il caso. Il Tribunale dichiarava la responsabilità penale dell’imputato per il reato di cui all’art. 15, comma 1, lett. c l. n. 963/65 Tutela delle risorse biologiche e dell'attività di pesca , per avere in qualità di legale rappresentante di una società, detenuto e commercializzato circa 750 kg di vongole con una dimensione inferiore alla minima consentita, senza avere un’autorizzazione dagli organi competenti. Avverso tale pronuncia l’imputato proponeva ricorso in Cassazione. La struttura commerciale. Nel caso di specie la Cassazione ritiene di dover rigettare le doglianze sollevate dal ricorrente. La semplicità della struttura organizzativa della società, infatti, induce i Giudici a ritenere che non possa esimersi la responsabilità del soggetto tenuto al controllo del rispetto sulla normativa connessa allo svolgimento del’oggetto sociale. Inoltre, in merito al trattamento sanzionatorio, lamentato dal ricorrente come troppo severo, viene valutato dalla Corte come del tutto legale e comunque al di sotto del minimo edittale, secondo quanto disposto dal recente art. 8 d.lgs. n. 4/12 Pene principali per le contravvenzioni e dalla l. n. 381/88. Per questi motivi la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 dicembre 2016 – 12 settembre 2017, n. 41531 Presidente Ramacci – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Il Tribunale di Pesaro, rigettando la opposizione a decreto penale dallo stesso proposta, ha dichiarato, con sentenza del 3 marzo 2016, la penale responsabilità di B.C. in ordine al reato di cui all’art. 15, comma 1, lettera c , della legge n. 963 del 1965, per avere, in qualità di legale rappresentante della omissis Srl, detenuto e commercializzato circa 710 Kg di vongole aventi una dimensione inferiore a quella minima, senza la prescritta autorizzazione degli organi competenti, e lo ha, pertanto, condannato alla pena pecuniaria ritenuta di giustizia. Avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione, in proprio, il B. , deducendo due motivi di ricorso il primo relativo ad una ipotizzata violazione di legge nonché al vizio di motivazione per essere stato il ricorrente dichiarato responsabile del reato in questione, sebbene egli, pur rivestendo la qualifica, peraltro sostanzialmente onoraria, di Presidente del Consiglio di amministrazione della omissis Srl, non aveva compiti di gestione della fase commerciale, al cui svolgimento egli non era peraltro culturalmente attrezzato avendo sempre svolto le funzioni di semplice marinaio, essendo stati questi compiti delegati al Direttore generale, sig. P.M. , coimputato in concorso con l’attuale ricorrente e destinatario dell’originario decreto penale dal medesimo non opposto e divenuto, pertanto, definitivo nei suoi confronti. Quale secondo motivo di impugnazione il ricorrente ha dedotto, sempre sotto il profilo della violazione di legge, la illegittimità della sentenza impugnata per essere stata determinata la pena a carico del B. in misura superiore al massimo previsto relativamente al periodo in cui la condotta contestata sarebbe stata compiuta. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Osserva, infatti, il Collegio che, affinché la responsabilità penale del legare rappresentante della società cui è, dal punto di vista economico, ascrivibile la condotta materiale oggetto della imputazione, sia scriminata dalla avvenuta delega di funzioni ad altro soggetto, cui competeva di verificare la correttezza della esecuzione delle operazioni oggetto della imputazione, è necessario, oltre che tale delega risulti dalla esistenza di norme interne preventivamente fissate Corte di cassazione, Sezione III penale, 26 maggio 1994 n. 6170 , anche che questa si riferisca ad una realtà imprenditoriale che, per dimensioni aziendali, giustifichi la necessità di decentrare sotto il profilo soggettivo le responsabilità, non potendo questa, per motivi logici prima ancora che giuridici Corte di cassazione, Sezione VI penale, 29 ottobre 1997, n. 9715 , essere integralmente addossata ad un unico soggetto, circostanza, invece, pienamente legittima, ove si tratti di una struttura commerciale caratterizzata da una certa semplicità Corte di cassazione, Sezione III penale, 22 novembre 2013, n. 46710 . Nel caso di specie, appare ricorrere questa seconda ipotesi tipologica, anche in funzione della struttura societaria della impresa della quale il B. era al momento dei fatti il legale rappresentante si tratta, infatti, di una Srl, il che induce a ritenere la esistenza di una struttura sociale non particolarmente complessa, nella quale la pur esistente delega di funzioni non vale comunque ad esimere il soggetto dall’esercitare il doveroso controllo sul rispetto della normativa connessa allo svolgimento dell’oggetto sociale. Né ha un qualche rilievo il fatto che il ricorrente, privo di competenze tecniche, fosse stato investito della sua carica a scopi solo onorifici e con il carattere della gratuità, trattandosi, a tutto voler concedere, di profili meramente interni irrilevanti con riguardo alle eventuali responsabilità esterne. Relativamente al secondo motivo di impugnazione, osserva il Collegio che, diversamente da quanto sostenuto dal B. , il trattamento sanzionatorio applicabile alla fattispecie a lui contestata, cioè quello previsto dall’art. 24 della legge n. 935 del 1965, ora abrogato per effetto della entrata in vigore del dlgs n. 4 del 2012, che all’art. 8 prevede, per la condotta addebitata al B. , sanzioni più severe di quelle precedenti, non è affatto stato violato dalla sentenza ora impugnata. Infatti, l’originario impianto sanzionatorio, era già stato modificato con la legge n. 381 del 1988, nel senso di prevedere, quanto alle sanzioni pecuniarie, una forcella edittale oscillante, operata la conversione della precedente moneta con quella avente corso legale, fra Euro 516 ed Euro 3098. Del tutto legale è, pertanto, la sanzione irrogata a carico del B. in misura, contenuta al di sotto del medio edittale, pari ad Euro 1.500,00 di ammenda. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del prevenuto al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.