Stanza invasa dal monossido: due turisti morti e albergatore condannato

Chiusa definitivamente la battaglia giudiziaria, a oltre vent’anni dal tragico episodio. Il proprietario dell’hotel è colpevole di omicidio colposo. Egli non ha garantito che fosse sicuro lo scaldabagno a metano presente nella stanza.

Oltre vent’anni di battaglia legale per ribadire, senza alcun dubbio, la responsabilità dell’albergatore per la morte di due turisti, ospiti della sua struttura e uccisi dal monossido di carbonio proveniente dallo scaldabagno a metano presente nella stanza. Fatale la disattenzione dell’imprenditore che non impedì agli operai, cui erano stati affidati alcuni lavori di ristrutturazione, di chiudere il foro che fungeva da scarico dei gas combusti provenienti dall’impianto Cassazione, sentenza numero 41555, sezione terza penale, depositata il 12 settembre 2017 . Fumi. Definitiva la condanna per il titolare dell’albergo, ritenuto colpevole di omicidio colposo e sanzionato con sei mesi di reclusione . Una volta ricostruito nei dettagli il bruttissimo episodio, verificatosi nel marzo del 1995, nel Lazio, quando due turisti americani, marito e moglie, furono trovati morti in una stanza d’albergo invasa da monossido di carbonio fuoriuscito dallo scaldabagno a metano a causa dell’ostruzione del condotto di scarico verso l’esterno , emerso le responsabilità del titolare. Quest’ultimo non aveva compiuto il proprio dovere, cioè verificare che lo scaldabagno non costituisse insidia per gli ospiti della stanza in cui esso era installato e avvisare il responsabile della ditta incarica dei lavori ristrutturazione e il direttore dei lavori dell’esistenza di un foro e informarli che esso aveva la specifica funzione – solo a lui nota, perché non immediatamente riconoscibile all’esterno – di scarico dei gas provenienti dall’impianto . Questa visione non può essere messa in discussione, osserva ora la Cassazione, dal richiamo dell’albergatore a una nuova testimonianza da cui emerge che l’impresa esecutrice dei lavori aveva rimosso nel febbraio del 1995 la canna fumaria che portava all’esterno i fumi dello scaldabagno . Questo elemento non modifica, secondo i giudici del ‘Palazzaccio’, il quadro accusatorio nei confronti del titolare della struttura alberghiera. In sostanza, se anche fosse provato che la canna fumaria era stata effettivamente tolta dall’impresa , resterebbe il dato indiscusso rappresentato dalla inidoneità dell’impianto a recapitare correttamente i fumi fuori dalla stanza utilizzata dai due turisti americani. Su questo fronte, difatti, è comunque evidente la violazione dell’obbligo di accertare che l’uso della stanza avvenisse in sicurezza . E in questa ottica è decisivo, come detto, il riferimento alla inopinata chiusura del foro che, in assenza della canna fumaria, rappresentava l’unica valvola di sfogo per i fumi prodotti dallo scaldabagno.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 luglio – 12 settembre 2017, n. 41555 Presidente Amoresano – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1.Il sig. Fr. Na. ricorre per l'annullamento dell'ordinanza del 29/09/2016 della Corte di appello di Perugia che ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza del 17/05/2004 della Corte di appello di Roma irr. il 17/05/2007 che l'aveva definitivamente condannato alla pena di sei mesi di reclusione per il reato di omicidio colposo plurimo di cui all'art. 589, cod. pen 1.1.Con unico motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 125, 630, lett. c , 631, 634, cod. proc. pen., 6, Convenzione E.D.U. e 4, prot. n. 7, della Convenzione, nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Deduce, al riguardo, che la Corte di appello avrebbe dovuto limitarsi ad una delibazione sommaria della nuova prova invece di spingersi in valutazioni più pregnanti tipiche della cognizione piena e tali da anticipare, in buona sintesi, il giudizio di merito vero e proprio. Considerato in diritto 2.Il ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato. 3.Il ricorrente è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 589, cod. pen., per aver provocato la morte di due cittadini americani perché la stanza dell'hotel di sua proprietà in cui essi alloggiavano era stata invasa da monossido di carbonio fuoriuscito a causa dell'ostruzione del condotto di scarico verso l'esterno. I fatti risalgono al 20/03/1995. 3.1.La Corte di appello di Perugia ha giustificato la propria decisione richiamando, in premessa, gli argomenti utilizzati dalla Corte di appello di Roma che, nel ribaltare la pronuncia assolutoria di primo grado, aveva sottolineato l'obbligo non assolto dal titolare dell'albergo di verificare, prima di consentirne l'uso, che lo scaldabagno non costituisse insidia per gli ospiti della stanza in cui esso era installato e di avvisare il responsabile della ditta incaricata dei lavori di ristrutturazione ed il direttore dei lavori dell'esistenza di un foro e di informarli altresì che lo stesso aveva la specifica funzione, solo a lui nota perché non immediatamente riconoscibile all'esterno, di scarico dei gas combusti provenienti dall'impianto scaldacqua installato nella stanza occupata dalle vittime così anche la sentenza di questa Corte, Sez. 4, n. 39581 del 17/05/2007 . Da tali premesse la Corte di appello ha tratto la conseguenza della irrilevanza della nuova prova proposta in quanto non idonea a inficiare il primo argomento di condanna l'obbligo di verificare la fonte di pericolo prima del suo uso di per sé sufficiente. Questa Suprema Corte - si legge nell'ordinanza - aveva infatti chiaramente affermato che la sussistenza di tale obbligo prescindeva dalla concomitante esecuzione dei lavori di ristrutturazione in conseguenza dei quali il foro era stato chiuso dall'impresa. 3.2.La Corte di appello affronta anche ulteriori aspetti della vicenda come l'inadeguatezza, sotto vari profili, dell'impianto di scarico dello scaldabagno indipendentemente dall'installazione di una canna fumaria, argomento -sostengono i Giudici distrettuali - non affrontato nell'istanza di revisione e già valutato ai fini della pronuncia di inammissibilità di precedenti analoghe istanze così che anche la questione relativa alla dedotta rimozione, ad opera dell'impresa esecutrice dei lavori, della canna fumaria che, secondo le deduzioni del ricorrente, avrebbe consentito la regolare fuoriuscita all'esterno dei gas di scarico, non ha alcuna rilevanza. 3.3.La nuova testimone ha infatti affermato che l'impresa esecutrice dei lavori il 17/02/1995 aveva rimosso la canna fumaria che recapitava all'esterno i fumi dello scaldabagno introducendo così - secondo le deduzioni difensive - un elemento in grado di alterare a suo favore il quadro probatorio sul quale si era formato il giudizio di condanna, un quadro che presupponeva, invece, un'incolpevole chiusura del foro da parte dell'impresa stessa. 3.4.Sennonché, richiamando quanto già affermato dalla Corte di appello di Roma con la sentenza di condanna, la Corte di appello di Perugia sottolinea che la responsabilità del Na. non poteva venir meno neanche a motivo dell'intervento di terzi nelle opere di installazione e ciò proprio per il suo obbligo di accertarsi che la caldaia, prima dell'uso, non costituisse fonte di pericolo. Per cui, anche se si accertasse che la canna fumaria era stata effettivamente rimossa dall'impresa esecutrice dei lavori, ciò non avrebbe inciso sulla autonoma responsabilità del Na. che avrebbe dovuto comunque verificare che l'uso della stanza avvenisse in condizioni di sicurezza e ciò a prescindere dall'ulteriore rilievo che, come sostiene la Corte di appello, l'irregolarità dell'impianto di scarico dei fumi riferibile al Na. andrebbe comunque a costituire a suo carico un profilo gravemente colposo, di rilievo nella causazione dei tragici eventi . 3.5.Il ricorrente si lamenta del fatto che così facendo la Corte territoriale ha anticipato il giudizio riservato alla fase del merito, arrogandosi competenze che non le appartengono la Corte territoriale considerando la sussistenza di una responsabilità oggettiva del condannato pur sempre esistente, collegato all'obbligo di verifica degli impianti prima dell'uso da parte di terzi ed al difettoso funzionamento dell'impianto di scarico, non può esimersi dal compiere approfonditi apprezzamenti di merito, al fine di escludere l'idoneità contestualizzata delle testimonianze assunte ritenendole inadatte a sostenere la richiesta di revisione . E' certamente vero che il giudice della fase rescindente non può effettuare una valutazione della prova tipica della fase di merito riservata al contraddittorio, posto che l'accertamento della corrispondenza a vero del fatto da provare è riservato alla fase rescissoria art. 631, cod. proc. pen. , sicché sono estranee a questa fase le valutazioni di attendibilità del testimone erroneamente effettuate dalla Corte di appello di Perugia. 3.6.Il punto, però, è un altro. Quel che sostiene l'ordinanza impugnata è l'indifferenza delle ragioni della condanna al nuovo argomento di prova, posto che, quand'anche si provasse che la canna fumaria era stata effettivamente tolta dall'impresa, resterebbe il dato indiscusso e non contestato della inidoneità dell'impianto a recapitare correttamente i fumi fuori dalla stanza e della violazione dell'obbligo di accertare che l'uso della stessa avvenisse in sicurezza. Il ricorrente lamenta che in realtà la inidoneità dell'impianto a recapitare i fumi all'esterno, considerato l'uso precedente della caldaia, non assurgerebbe a causa esclusiva dell'evento provocato invece dall'inopinata chiusura del foro. Osserva questa Corte che tale ragionamento non tiene in debita considerazione il lungo lasso di tempo intercorso tra la dedotta rimozione della canna e l'evento letale, oltre un mese di tempo, di per sé idoneo a non privare di valido sostrato fattuale l'obbligo violato di garantire l'uso in sicurezza della stanza occupata dai due turisti americani. Stando infatti alle stesse deduzioni difensive, l'eliminazione di tale canna fumaria non costituì un evento inatteso ed imprevisto perché rientrava nell'ambito dei lavori di ristrutturazione dello stabile nel quale si trovava l'hotel. La nuova prova, dunque, non altera le basi fattuali del rapporto di causalità tra la condotta omissiva del ricorrente e l'evento letale ma comporterebbe, semmai, l'estensione della responsabilità anche ad altre persone, senza escludere la propria. Ne risulta, piuttosto, rafforzato l'obbligo di avvisare l'impresa di non chiudere il foro, e ciò benché a non ne fosse nota solo a lui la funzione, visto che la rimozione della canna fumaria ad opera di terzi non lo esonerava in ogni caso dal dovere di consentire l'uso della stanza in condizioni di sicurezza b l'impianto non fosse in ogni caso a norma, con conseguente affermata irrilevanza dell'eventuale intervento di terzi. 4.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186 , l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.