Lo spazio minimo individuale può essere anche inferiore a tre metri quadrati, purché vi siano adeguati parametri compensativi

E’ ormai principio pacifico”, quanto meno in teoria, che il detenuto debba godere di uno spazio minimo” vitale. Se non che, appena, si cerca di definire i criteri di determinazione di tale spazio” i giudizi divengono sempre meno unanimi, specie nella giurisprudenza italiana.

In un primo tempo, anche alla luce delle decisioni della CEDU, si è ritenuto che lo spazio minimo” dovesse essere non inferiore a 3 metri quadrati, da calcolarsi al netto degli arredi e del letto ivi presente, poco importa se a castello. Ma se così è, quid iuris se lo spazio concesso è superiore a 3 metri quadrati? E se è inferiore? La risposta al primo quesito può essere rinviata, non essendo oggetto della decisione in commento, anche se di per sé un centimetro in più, avuto riguardo alle circostanze del caso, non può qualificare di per sé come umana” la detenzione in fondo, molto dipende anche dall’architettura e dalla geometria della cella . La risposta al secondo quesito dovrebbe essere più semplice se lo spazio è inferiore alla misura data, vi dovrebbe essere una lesione dei diritti del detenuto. Se non che ciò che appare chiaro in teoria, in pratica può risultare poco significativo, in quanto possono esservi misure compensative”, come il grado di libertà nella circolazione del detenuto e l’offerta di attività all’esterno della cella, e le condizioni complessive dell’istituto possono essere tali da annullare gli aspetti negativi del trattamento alla luce delle condizioni igieniche e dei servizi forniti. Insomma, se lo spazio calpestabile” per ciascun detenuto è superiore a 3 metri quadrati, si presume che le condizioni siano adeguate se è inferiore, si presume il contrario. Ciò dovrebbe riverberarsi sull’onere probatorio, sicché in mancanza di prova certa”, nel dubbio deve riconoscersi l’inadeguatezza della detenzione in caso di spazio vitale inferiore ai limiti richiesti. Superfice lorda”? Così ricostruito il sistema, non dovrebbero esserci particolari problemi nel comprendere la decisione in oggetto, che ha annullato la decisione impugnata, in quanto ha considerato solo la superfice lorda” ed ha comunque prima” valutato la sussistenza di soluzioni compensative per poi” concludere che vi era violazione solo per i periodi trascorsi in cella con uno spazio vivibile inferiore a 3 metri quadrati. La sentenza della Cassazione di per sé appare corretta alla luce del caso in concreto, ma in sé nasconde un’insidia, che è bene evidenziare senza particolare timore, data la delicatezza della materia. La dimensione dello spazio minimo vitale di 3 mq nella cella è una dimensione di tipo giurisprudenziale”, che deve aggiungersi alle condizioni generali di vita dell’istituto di pena. Allorché vi sia acqua corrente o la possibilità di avere un bagno decente, così come una luce adeguata e la possibilità di non essere isolati nelle ore diurne, approfittando anche dell’ora d’aria, non si può di per sé giustificare una restrizione di tale spazio minimo vitale. Tali elementi sono stati concessi” in ragione del progresso civile e di per sé non possono, senza contraddizione, essere utilizzati per comprimere gli spazi vitali del detenuto all’interno della cella. Se ben si osserva, infatti, la CEDU ha individuato in 3 mq lo spazio minimo”, ma non ha dettato alcuna indicazione per poter comprimere tale elemento oltre misura. Certamente 2,99 mq non sono molto dissimili da 3 mq e 3,01 mq non si distinguono assai da 2,99 mq. Dunque, quando vi è violazione o rispetto dei diritti del detenuto? Le condizioni carcerarie vanno prese in senso complessivo ed innanzi tutto interessa verificare le condizioni dell’Istituto e dei servizi” offerti quindi le condizioni igieniche e sanitarie delle celle infine dello spazio in effetti dato al detenuto. Spazio vitale” Nell’impostazione data dalla Corte di Cassazione italiana pare che tale procedimento sia in qualche modo ribaltato, posto che ormai pare interessi essenzialmente solo determinare con precisione geometrica lo spazio vitale” e se questo è inferiore a 3 mq quadrati si potrà lamentare una situazione intollerabile solo se anche il contesto carcerario sia tale. Si crede invece che se vi è inadeguatezza dell’Istituto, ogni indagine ulteriore sul punto sia irrilevante se la cella è senza riscaldamento o non vi è luce oppure se non è data alcuna possibilità di svolgere attività al di fuori della cella o non è prevista l’ora d’aria laddove la cella sia di 4 mq il detenuto avrà il diritto di lamentare condizioni inumane di detenzione? Ovviamente sì. Analogamente, se nell’Istituto tutto è perfetto, tranne la cella, si può ritenere che vi sia una compressione dei suoi diritti, ove il suo spazio vitale sia inferiore a 3 mq? La risposta deve essere ancora positiva, posto che diversamente tale riferimento non avrebbe valenza autonoma ma residuale. In sintesi, appare sinceramente poco edificante ridurre ogni discussione in materia a questione di centimetri, quando la posta in gioco è assai più alta e nobile. Ad ogni modo, il tempo chiarirà se la burocrazia avrà la meglio in materia e se le difficoltà di vita dei detenuti potranno essere vinte dall’uso di mobili smontabili”, in grado di far guadagnare centimetri, o da qualche altra invenzione” a fisarmonica o pneumatica. Tre metri quadrati sono uno spazio modesto circa due passi in lunghezza ed un passo e mezzo in larghezza ovvero la superficie di un letto matrimoniale. Allorché tale spazio non sia garantito ha davvero senso indagare, verificare e approfondire le condizioni generali” carcerarie per giustificare l’umanità della detenzione? E se tale spazio è di poco superiore ai 3 mq, ma diviso in 2 dai mobili presenti nella cella od è ulteriormente parcellizzato, è davvero così importante che il detenuto dimostri” che le condizioni complessive di detenzione non sono adeguate? Quando si parla, anche giuridicamente, di umanità e del rispetto dell’umanità del reo è indispensabile avere un alto valore di tale concetto diversamente, alla fine, l’uomo è ridotto ad oggetto e ciò che conta sono solo i suoi aspetti esteriori e, dunque, le sue misure e le misure dello spazio in cui è inserito. Un povero concetto di umanità porta ad una povera umanità ed una umanità, che non vede nell’uomo una ricchezza che va oltre il dato sensibile e misurabile, è una umanità inumana.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 maggio – 11 settembre 2017, numero 41211 Presidente Di Tomassi – Relatore Cocomello Ritenuto in fatto 1. In data 27/7/2014, G.H. all’epoca detenuto presso la Casa di reclusione di formulava istanza volta ad ottenere la riduzione di pena per il pregiudizio subito a causa di alcuni periodi di detenzione espiati, tra il omissis e il omissis , presso gli istituti penitenziari di OMISSIS , in violazione dei criteri posti dall’art. 3 della CEDU e delle libertà fondamentali. 2. Il Magistrato di Sorveglianza di Pisa in data 1/6/2016, accoglieva la suddetta istanza di riduzione pena soltanto con riferimento ad alcuni dei segmenti temporali indicati, in particolare in relazione a periodi detentivi trascorsi dal condannato presso gli istituti di omissis e di omissis , durante i quali, effettivamente, l’interessato è stato ristretto in condizioni di oggettivo sovraffollamento, in violazione dei parametri fissati dalla Corte Edu, alla luce dell’art. 3 della CEDU, così come interpretato dalla Corte medesima e con riferimento allo spazio che deve essere assicurato in cella ad ogni recluso, indicato come non inferiore ai 3 mq per ogni persona . Quanto all’iter logico della decisione, il Magistrato di Sorveglianza escludeva, preliminarmente, la fondatezza delle altre doglianze segnalate dal ricorrente come elementi indicativi di una generale condizione di detenzione disumana ed indecorosa mancanza di attività rieducative, mancanza di acqua calda, servizi igienici a vista e procedeva, solo successivamente a tale disamina, alla verifica degli spazi vivibili in cella, in relazione a ciascuno dei periodi di reclusione indicati, calcolando la sussistenza o meno dello spazio minimo vitale , secondo il criterio della superficie lorda ottenuta dividendo la superficie totale della camera detentiva per il numero dei suoi occupanti, senza attribuire rilievo agli arredi ed individuando la sussistenza della violazione invocata dal condannato solo per i luoghi ed i periodi in cui tale spazio era stato inferiore ai 3 metri quadrati. Il G. proponeva reclamo avverso il suddetto provvedimento, chiedendo il riconoscimento del diritto anche in relazione ai periodi oggetto di rigetto, evidenziando, tra l’altro, la errata modalità di calcolo dello spazio minimo pro capite adottata dal Magistrato di Sorveglianza, il quale non aveva tenuto conto dello scomputo della superficie occupata dagli arredi e dal letto, in violazione dei parametri fissati dalla Corte EDU, anche alla luce delle altre condizioni di detenzione lamentate, come la ristrettezza del tempo da trascorrere fuori dalla cella, la mancanza di privacy nell’uso dei servizi igienici e di acqua calda nei bagni. 3.1 Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze, con ordinanza del 27/9/2016, rigettava il reclamo proposto da G.H. e sosteneva la completezza e la correttezza della motivazione del provvedimento impugnato alla quale si riportava, espressamente condividendo i criteri giurisprudenziali applicati dal Magistrato di Sorveglianza ed affermando, altresì, che la limitatezza dell’ora d’aria nonché dell’acqua calda non erano sufficienti ad integrare la lesione dei diritti del detenuto. 4. Avverso tale decisione propone ricorso l’interessato, per il tramite del suo difensore, formulando quattro motivi di ricorso -con il primo motivo la difesa del G. censura la motivazione meramente apparente adottata nel provvedimento che, a fronte di articolati motivi di reclamo, si limiterebbe a richiamare per relationem la motivazione del Magistrato di Sorveglianza, senza operare alcuna autonoma valutazione sulle doglianze addotte con il secondo motivo, il ricorrente si duole della erroneità dei criteri di calcolo adottati nel computo dello spazio detentivo minimo parametrato, in tesi, alla superficie lorda, in contrasto con i criteri elaborati in merito dalla giurisprudenza di legittimità, con particolare riferimento ai periodi di detenzione trascorsi dal ricorrente nella Casa circondariale di ove era allocato, con altri due detenuti, in una cella di soli 9 mq. lordi e disponeva di uno spazio pro capite di 2,77 mq. con il terzo motivo, si censura l’omessa considerazione, nel provvedimento impugnato, della mancanza di un trattamento rieducativo in violazione dell’art. 3 CEDU e dell’art. 35-ter Ord. Penumero così come interpretati dalla Corte EDU con riferimento al regime detentivo cui era stato sottoposto l’istante durante il periodo trascorso presso le strutture di omissis , ove vigeva il così detto regime a celle chiuse , nonché presso l’istituto penitenziario di ove, al pari degli altri due istituti, non era prevista nessuna attività lavorativa, né lo svolgimento di corsi scolastici o professionali per i detenuti. con il quarto motivo, infine, il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione delle norme suddette anche in relazione alla costrizione, subita dal detenuto nella casa di reclusione di - , all’utilizzo di un bagno a vista , integrante, al contrario, di quanto ritenuto nel provvedimento, un trattamento disumano e degradante. 5. Il Procuratore Generale, con articolata requisitoria, depositata il 28/2/2017, evidenziava come erroneamente il provvedimento impugnato riconosceva, facendo proprie le motivazioni del Magistrato di Sorveglianza, rilievo determinante ed assorbente al fattore spazio, evidenziato nel reclamo del G. , omettendo di considerare le complessive condizioni di detenzione dello stesso, in violazione dei principi di cui all’art. 3 CEDU e dell’art. 35-ter Ord.Penumero , così come interpretati alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, in relazione alle quali chiedeva l’accoglimento del ricorso con annullamento dell’ordinanza impugnata e rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Firenze per nuovo esame. In considerazione, inoltre, della non univoca giurisprudenza di legittimità sul punto, il Procuratore Generale, formulava, altresì, richiesta di assegnazione, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. penumero , anche in relazione all’art. 610, comma 2, cod. proc. penumero , del ricorso alle Sezioni Unite, ricorrendo sul punto una questione di diritto suscettibile di dare luogo ad un contrasto giurisprudenziale. Considerato in diritto 1. Il ricorso merita accoglimento nei termini che seguono. 1.1Preliminarmente va ribadito che in tema di spazio intramurario il legislatore non ha inteso stabilire precisi standard di superficie dei locali destinati al soggiorno dei detenuti e delle celle di pernottamento degli stessi e che la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tramite un percorso di naturale evoluzione interpretativa, è intervenuta, con plurimi arresti fissando i parametri e i criteri per l’individuazione dei requisiti minimi della abitabilità intramuraria. Detti indici elaborati dalla Corte EDU stante il modulo di etero integrazione del precetto normativo introdotto dall’art. 35-ter, comma 1, Ord. Penumero operano quali elementi integrativi della fattispecie legale che appresta tutela al detenuto e ad essi è vincolato il giudice del reclamo che deve accertare e valutare, nella sua complessità, la condizione di fatto della carcerazione, al fine di decidere sulla fondatezza della doglianza di sottoposizione ad un trattamento inumano o degradante, il cui scrutinio è sindacabile sotto il profilo della inosservanza ed erronea applicazione di legge Sez.1, 15/3/2017,numero 31475, Zito Sez. 1, 9/9/2016, numero 26357, Macrina Sez. 2, 10/3/2017, numero 11980, Mocanu, rv. 269407 Sez. 1 3/7/2017, 39294, Marsala Sez. 1, 21/7/2017, numero 39585, Lecini . Nella materia in esame, conformemente ai principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza numero 49 del 2015, inoltre, l’obbligo di interpretazione adeguatrice incombe sul giudice nazionale in relazione a quei principi affermati dalla giurisprudenza convenzionale in relazione ai quali sussiste un orientamento sedimentato e consolidato, avallato, come si specificherà meglio nei paragrafi successivi, dall’intervento di pronunce della Corte di Strasburgo nella sua massima composizione. 2. Alla luce di tale premessa, deve ritenersi fondato, nei termini che seguono, il secondo motivo di ricorso, preliminare ed assorbente rispetto alle altre deduzioni formulate dalla difesa del G. , afferente all’ iter logico adottato dal provvedimento impugnato nella valutazione della sussistenza della lesione dei diritti del detenuto per violazione dell’art. 3 CEDU ed alle modalità di calcolo dello spazio vitale minimo in cella adottate dal provvedimento impugnato. 2.1 Sul punto il Collegio, anche in considerazione della richiesta di rimessione alle Sezioni Unite formulata dal Procuratore Generale, ritiene opportuno effettuare un excursus sui i criteri ed i parametri, univocamente elaborati in merito dalla giurisprudenza di legittimità, che il Collegio pienamente condivide, anche al fine di chiarire come, rispetto ad essi, non residuino orientamenti in contrasto. 2.2 Va innanzitutto evidenziato come la giurisprudenza di legittimità, sul tema della compatibilità degli spazi carcerari con i principi espressi nell’art. 3 della CEDU, abbia elaborato, in conformità alla stessa evoluzione della giurisprudenza convenzionale, non criteri rigidi ma opzioni interpretative connotate da quella necessaria elasticità che consenta una globale valutazione delle condizioni generali di detenzione. In particolare la giurisprudenza di questa Corte si è assestata sull’opzione interpretativa che individua la superficie di tre metri quadrati come c.d. spazio individuale minimo di disponibilità del singolo detenuto in cella collettiva e, pertanto, non come rigido criterio dimensionale, quanto, piuttosto, indice di riferimento, a partire dal quale deve effettuarsi ogni altra valutazione necessaria all’accertamento della lesione dei diritti del detenuto. Nelle più recenti sentenze della Corte di Cassazione, sul punto, si è dato, inoltre, atto del consolidamento di tale principio anche nell’ ambito della giurisprudenza convenzionale, da ultimo espressa con la decisione del 20 ottobre 2016 della Corte EDU, Grande Camera nel procedimento Mursic contro Croazia, nonché con l’ulteriore sentenza pilota della Corte EDU del 25/4/2017, Rezmives ed altri c. Romania. Sullo specifico tema della compatibilità degli spazi carcerari con l’art. 3 della Convenzione EDU, la Grande Camera, premesso che oggetto di valutazione sono le globali condizioni di detenzione del ricorrente, ha ribadito che, in caso di sovraffollamento grave, la mancanza di spazio in cella costituisce l’elemento centrale di cui tenere conto per stabilire se tali condizioni siano degradanti nel senso inteso dall’art. 3 della Convenzione medesima ed ha confermato che una superficie calpestabile di tre metri quadrati per ogni detenuto in una cella collettiva , deve rimanere la soglia minima pertinente ai fini della suddetta valutazione, al di sotto della quale sorge una presunzione di violazione della disposizione di cui all’art. 3, confutabile, tuttavia, con la dimostrazione della sussistenza di altri aspetti del regime restrittivo che, alla luce delle globali condizioni della detenzione e della sua durata, siano in grado di compensare, in maniera adeguata, la mancanza di spazio personale, come, ad esempio, il grado di libertà di circolazione del ristretto e l’offerta di attività all’esterno della cella nonché le buone condizioni complessive dell’istituto e l’assenza di altri aspetti negativi del trattamento in rapporto a condizioni igieniche e servizi forniti. 3.Assume pertanto specifico rilievo, preliminare ad ogni statuizione circa la sussistenza o meno del trattamento inumano o degradante invocato dal detenuto, l’individuazione dei criteri e delle modalità di computo dello spazio minimo individuale, prodromico, come detto, alla valutazione delle più generali condizioni di detenzione dello stesso. Anche in relazione a tale aspetto la giurisprudenza di legittimità, con un orientamento sostanzialmente unanime, ha chiarito che i tre metri quadrati al di sotto dei quali, se non emergono i diversi e significativi aspetti compensativi di cui si è detto, deve ritenersi la violazione dell’art. 3 CEDU vanno intesi come spazio utile al fine di garantire il movimento del soggetto recluso nello spazio detentivo, il che esclude di poter inglobare nel calcolo dello stesso lo spazio occupato dai servizi igienici, destinati a funzioni diverse da quelle correlate al movimento e, in ragione dell’ingombro che ne deriva, degli arredi fissi, ivi compreso il letto a castello Sez. 1, 19/12/2013, numero 5728/2014, Berni, rv. 257924 Sez. 1, 9/9/2016, numero 52819, Sciuto, rv. 268231 Sez. 1, 17/11/2016, numero 12338/17, Agretti Sez. 1 Sez. 1, 17/11/2016, numero 13124/17, Morello, rv. 269514 Sez. 1, 16/5/2017, numero 39245, Congiu Sez. F., 17/8/2017, numero 39207, Gongola . In relazione a tale ultimo aspetto la Corte, ha sottolineato, da un lato che il letto a castello, di prassi utilizzato per consentire l’alloggio di più detenuti nella stessa camera, presenta un peso tale da non poter essere spostato ed è quindi idoneo a restringere, al pari degli armadi appoggiati o infissi stabilmente al suolo, lo spazio, all’interno della camera detentiva e a costituire un ingombro e, dall’altro, che, dovendosi intendere la porzione di spazio individuale minimo come superficie funzionale alla libertà di movimento del recluso , già di per sé fortemente limitata dall’esperienza segregativa, non può essere considerata superficie utile alla integrazione della quota di spazio minimo individuale, quella occupata da tale tipo di letto di norma non compatibile neanche con una seduta eretta destinata, invece, esclusivamente a finalità di riposo Sez. 1, 17/11/2016, numero 13124/17, Morello, rv. 269514 . La giurisprudenza di legittimità, pertanto, è unanime nel ritenere che l’indicazione di una superficie di tre metri quadrati per ciascun detenuto in cella collettiva tale, per la sua esiguità, da costituire soglia minima di riferimento nella individuazione di uno spazio vitale deve poter consentire al detenuto di muoversi nello spazio a lui riservato e la ratio decidendi di tale opzione interpretativa è conforme ai più generali principi espressi dalla giurisprudenza convenzionale che, a prescindere dalle peculiarità proprie del singolo ricorso, chiarisce, anch’essa, che il riferimento dei tre metri quadrati è relativo alla superficie calpestabile e che per spazio minimo in cella collettiva va inteso lo spazio in cui il soggetto detenuto abbia la possibilità di muoversi Grande Camera, 20 ottobre 2016, Mursic c. Croazia Grande Camera, 16/12/2016, Klaufia ed altri c. Italia . 4. I suddetti principi non sono stati correttamente applicati con il provvedimento impugnato che, pertanto, merita censura sotto un duplice profilo. Preliminarmente, erra il Tribunale di Sorveglianza a giudicare corretto ed esente da vizi logici e da errori di giudizio l’ iter motivazionale seguito dal provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Pisa, al quale interamente si riporta. In tale provvedimento, infatti, venivano prima valutati i c.d. fattori compensativi in particolare limitatezza della c.d. ora d’aria e dell’acqua calda in cella e, solo successivamente, veniva calcolato lo spazio ritenuto fruibile dal condannato recluso in cella collettiva, giudicando la sussistenza di una detenzione in violazione dell’art. 3 CEDU, in relazione ai soli periodi di restrizione trascorsi in celle con uno spazio vivibile inferiore ai 3 mq. Tale modalità di valutazione, che finisce con l’isolare il fattore spazio dalle altre circostanze della detenzione, parcellizzando la valutazione a scapito di una globale considerazione delle stesse, non consente, tuttavia, di apprezzare il rispetto dei principi illustrati ai paragrafi che precedono, enunciati, con univoco orientamento da questa Corte, in conformità della giurisprudenza convenzionale in tema di compatibilità degli spazi carcerari con l’art. 3 della CEDU. Erra, inoltre, il Tribunale di Sorveglianza di Firenze nel condividere i criteri giurisprudenziali adottati dal provvedimento oggetto di reclamo per individuare il c.d. spazio minimo, calcolato dividendo la superficie della cella per il numero dei suoi occupanti senza attribuire alcun rilievo limitativo agli arredi i quali si sostiene nel loro ragionevole ingombro, sarebbero funzionali a garantire una detenzione umana , meno degradante di quella trascorsa in una cella disadorna in cui il recluso non dispone di beni ove appoggiare i propri effetti personali, sedersi o trascorrere il tempo . Tale opzione interpretativa, infatti, è in evidente contrasto con i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza CEDU e di legittimità, in base ai quali, dovendo intendere la porzione di spazio minimo come calpestabile o, comunque funzionale al movimento del detenuto in cella, implica che dalla superficie lorda della stessa debbano essere detratte l’area destinata ai servizi igienici e quella occupata da strutture tendenzialmente fisse, tra cui il letto a castello con eccezione, perciò, dei soli arredi facilmente amovibili o che consentano ampia libertà di movimento . Alla luce di tali considerazioni, non ravvisandosi i presupposti per disporre, come richiesto dal Procuratore Generale, la rimessione del procedimento alle Sezioni Unite, in assenza di qualsiasi profilo di contrasto, anche solo potenziale, il provvedimento impugnato va annullato con rinvio al Tribunale di Sorveglianza che si atterrà, nel rinnovato calcolo dello spazio minimo individuale in relazione agli Istituti di reclusione ed agli specifici periodi oggetto di reclamo, ai principi di diritto indicati e qualora dovesse risultare, in relazione ad alcuno di essi, la disponibilità da parte del ricorrente di una superficie libera inferiore ai tre metri quadrati, procederà all’analisi delle globali condizioni in cui si è svolta la detenzione, valutando la rilevanza di eventuali parametri compensativi. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Firenze.