Le offese contenute negli scritti difensivi sono giustificate se rilevanti e funzionali rispetto all’oggetto di causa

In tema di delitti contro l’onore, ai fini della configurabilità dell’esimente di cui all’art. 598 c.p., è necessario che le frasi ingiuriose concernano, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l’accoglimento della domanda proposta.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 40824/17, depositata il 7 settembre u.s., si è pronunciata in materia di delitti contro l’onore, con particolare rilievo alla configurabilità dell’esimenti di cui all’art. 598 c.p Il caso. Il Tribunale di Lecco confermava la sentenza del Giudice di Pace in sede, con la quale una giovane avvocatessa, imputata del reato di diffamazione, veniva condannata al risarcimento dei danni in favore della controparte costituitasi parte civile per le presunte offese riportate in alcuni scritti difensivi. Nella specie, l’imputata, avvocato e parte attrice in un procedimento civile per richiesta di risarcimento danni, veniva accusata di aver scritto frasi denigratorie ed offensive all’indirizzo della propria controparte, altrettanto avvocato, racchiuse in una memoria conclusionale dl 24 marzo 2011 ed in una successiva del 14 aprile 2011. Avverso siffatto provvedimento l’imputata propone ricorso, deducendo, personalmente, violazione di legge e vizio motivazionale quanto alla ritenuta insussistenza della causa di non punibilità di cui all’art. 599 c.p. A tenore della difesa, il comportamento scorretto di controparte avrebbe indotto la ricorrente a scrivere nei propri atti le frasi indicate nel capo di imputazione, poste alla base degli atti defensionali di parte avversa. Si porrebbe, in tal senso, a parere dell’avvocato ricorrente, tutti i presupposti per l’operatività dell’art. 599 c.p Con il ricorso, viene altresì contestata la violazione di legge ed il vizio di motivazione riguardo alla ritenuta insussistenza dell’esimente di cui all’art. 598 c.p., in quanto gli atti in cui erano contenute le espressioni incriminate erano parte di un giudizio civile in cui la ricorrente agiva contro la propria collega allo scopo di ottenere il risarcimento del danno subito a seguito di un infondato esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecco, conclusosi con provvedimento di proscioglimento dunque, la ricorrente, assume di assume di aver rappresentato un giudizio negativo sulla condotta della collega strumentale rispetto al diritto che intendeva far valere in giudizio. Fatto non punibile ai sensi dell’art. 598 c.p I Giudici della Quinta Sezione della Corte di Legittimità condividono la seconda censura difensiva. In particolare, evidenziano gli Ermellini nella sentenza in commento che l’art. 598 c.p. disciplina la non punibilità delle offese contenute negli scritti o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro procuratori nei procedimenti dinnanzi all’autorità giudiziaria, ovvero dinanzi all’Autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo. Ciò significa che l’impiego di un termine offensivo costituisce il presupposto per l’impiego della norma e che il riconoscimento della causa di non punibilità dipende non dalla gravità dell’offesa, ma dalla strumentalità o meno rispetto alle ragioni fatte valere innanzi all’autorità giudiziaria o amministrativa. Dunque, ai fini di cui si discute, non è rilevante la continenza del linguaggio utilizzato, bensì il conteso in cui le offese vengono incastonate. Nel caso in esame, l’imputata agiva in giudizio per il risarcimento dei danni alla medesima causati da un procedimento disciplinare ingiustamente instaurato a seguito di un esposto, infondato, di controparte. In ragione di siffatte circostanze, la Corte di Piazza Cavour ha ritenuto che i termini utilizzati dalla ricorrente vadano stigmatizzate nell’intenzione di qualificare come illegittima” l’iniziativa disciplinare proposta ingiustamente dalla propria collega. Sussistendo, allora, il carattere della strumentalità tra l’offesa e l’oggetto della controversia, il ricorso proposto coglie nel segno. In più occasioni, all’uopo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che in tema di delitti contro l’onore, ai fini della configurabilità dell’esimente di cui all’art. 598 c.p., è necessario che le frasi ingiuriose concernano, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l’accoglimento della domanda proposta. Per tali motivi, la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata perché il fatto non è punibile ai sensi dell’art. 598 c.p.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 luglio – 7 settembre 2017, n. 40824 Presidente Fumo – Relatore Morelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Lecco ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Lecco che aveva condannato V.L. alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile in quanto colpevole di diffamazione in danno di R.L. . 1.1. Viene fatto carico alla V. , avvocato e parte attrice in proprio in un procedimento civile volto ad ottenere il risarcimento del danno, di avere scritto frasi denigratorie ed offensive all’indirizzo della sua controparte R. , pure avvocato, in una memoria conclusionale datata 24.3.11 e in una memoria datata 14.4.11. 1.2. A fronte delle censure formulate dalla difesa con l’atto di appello, secondo cui il Giudice di Pace aveva illegittimamente estrapolato le frasi contestate dall’insieme degli atti di causa, senza tenere conto del fatto che espressioni analoghe erano state impiegate dalla stessa parte civile, nei suoi atti, all’indirizzo dell’avversaria e, in ogni caso, era operante la scriminante di cui all’art. 598 c.p., il Tribunale ha ritenuto che l’accusa, rivolta alla R. , di avere agito per motivi abietti non possa essere scriminata né ai sensi dell’art. 599 c.p., in quanto non corrisponde ad una analoga provocazione da parte della persona offesa, né ai sensi dell’art. 598 c.p., posto che non vi è un nesso di strumentalità fra le frasi utilizzate e la tesi sostenuta dall’imputata in giudizio attraverso gli atti incriminati. 2. Propone ricorso l’imputata, personalmente, deducendo, con il primo motivo, violazione di legge e vizi motivazionali quanto alla ritenuta insussistenza della causa di non punibilità di cui all’art. 599 c.p Si sostiene che il complessivo scorretto comportamento professionale della R. in danno della ricorrente aveva indotto quest’ultima a scrivere nei propri atti le frasi indicate nell’imputazione, non dissimili da quelle, parimenti offensive, che la controparte aveva scritto nei propri atti. Sarebbero quindi integrati tutti i presupposti per l’operatività dell’art. 599 c.p 2.1. Con il secondo motivo si deducono violazione di legge e vizi motivazionali con riguardo alla ritenuta insussistenza dell’esimente di cui all’art. 598 c.p. in quanto gli atti nei quali erano state formulate le espressioni, a dire dell’accusa, offensive, erano parte di un giudizio civile in cui la ricorrente agiva contro la R. allo scopo di ottenere il risarcimento dei danni subiti in quanto quest’ultima aveva presentato un esposto contro la V. al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecco, ne era sorto un procedimento disciplinare all’esito del quale la V. era stata prosciolta, sicché il giudizio negativo sulla condotta della collega era strumentale rispetto al diritto che si intendeva far valere in giudizio. 3. All’odierna udienza è comparso il difensore della parte civile che ha depositato un atto di rinnovazione della costituzione di parte civile, ha chiesto che sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso, anche per vizi formali, ed ha depositato conclusioni e nota spese. Considerato in diritto 1. Le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate dalla difesa di parte civile all’odierna udienza non colgono nel segno. Il ricorso è stato presentato dalla V. personalmente, in ciò legittimata nella sua qualità di imputata, a nulla rilevando, quindi, che ella sia un avvocato non abilitato al patrocinio innanzi alla Corte di Cassazione. Poiché il ricorso reca il timbro di deposito avanti all’Ufficio del Giudice di Pace, è da ritenere che sia stato depositato dall’imputata personalmente e che la stessa sia stata identificata. 2. Il secondo motivo di ricorso è fondato, in quanto ricorre, nella specie, la causa di non punibilità di cui all’art. 598 c.p Va premesso che se il Tribunale, nel corso del giudizio di secondo grado, ha fondato la propria motivazione sulla sola espressione motivi abbietti , se ne deve trarre la conclusione che abbia implicitamente escluso la rilevanza penale di tutte le altre frasi indicate nell’imputazione, peraltro assai meno incisive ed ampiamente riconducibili all’aspro contenzioso in atto fra le due avvocatesse. Anche in questa sede, pertanto, i motivi di ricorso verranno esaminati con esclusivo riguardo alla affermazione, contenuta nella memoria conclusionale del 24.3.11, secondo cui la R. , controparte della V. nel procedimento civile volto ad ottenere il risarcimento del danno, aveva sottoposto una collega che sapeva innocente ad un procedimento disciplinare ingiusto per motivi abietti, dovuti alla rabbia di essere criticata . Il giudice d’appello fonda la propria decisione sulla valenza particolarmente negativa del termine abietto ed è essenzialmente in ragione di ciò che esclude la strumentalità fra le frasi utilizzate e le tesi prospettate nella controversia civile a cui attengono. La motivazione non è condivisibile. L’art. 598 c.p. disciplina la non punibilità delle offese contenute negli scritti o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinnanzi all’autorità giudiziaria, ovvero dinnanzi all’autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo ciò significa che l’impiego di un termine offensivo costituisce il presupposto per l’applicazione della norma altrimenti non sarebbe neppure ipotizzabile la commissione del delitto di diffamazione e che il riconoscimento della causa di non punibilità dipende, non dalla gravità dell’offesa, ma dalla strumentalità o meno rispetto alle ragioni fatte valere innanzi all’autorità giudiziaria o all’autorità amministrativa. In altri termini, non è in questione la continenza del linguaggio che si presuppone essere offensivo, quanto piuttosto il contesto in cui le offese vengono pronunciate. 2.1. Nel caso che ci occupa, la V. agiva in giudizio contro la R. per ottenere il ristoro dei danni subiti a seguito di un procedimento disciplinare, iniziato su denuncia di costei, poi definito con una archiviazione. È evidente che l’avere definito come dettata da motivi abietti e dovuti alla rabbia per essere stata criticata l’iniziativa della R. , che aveva portato all’instaurazione del procedimento disciplinare nei confronti della V. , è strumentale rispetto alla pretesa di vedere riconosciuta la mala fede della controparte ed il proprio diritto al risarcimento dei danni che da quell’illegittima iniziativa derivarono. Il termine abietto non è stato, quindi, utilizzato per qualificare in senso negativo e dispregiativo la persona della R. in modo del tutto avulso dal contenzioso in atto, ma piuttosto per stigmatizzare anche se con l’impiego di un termine non consono e dal significato intrinsecamente offensivo, ma proprio in questo sta la ragione della causa di non punibilità l’illegittimità dell’iniziativa disciplinare da costei posta in essere con il deliberato intento di danneggiare la ricorrente. Sussiste, pertanto, il carattere di strumentalità fra l’offesa e l’oggetto della controversia, nei termini chiariti dalla costante giurisprudenza di legittimità, fra cui, da ultimo Sez. 5, n. 2507 del 24/11/2016.dep. 18/01/2017, Rv. 269075 In tema di delitti contro l’onore, perché possa ricorrere la scriminante prevista dall’art. 598 cod. pen. relativa alle offese eventualmente contenute in scritti presentati o discorsi pronunciati dalle parti o dai loro difensori in procedimenti innanzi alla autorità giudiziaria od amministrativa , è necessario che le espressioni ingiuriose concernano, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l’accoglimento della domanda proposta . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è punibile ai sensi dell’art. 598 c.p.