Se il quadro indiziario non cambia, la misura cautelare resta la stessa

In tema di sequestro di persona a scopo di estorsione non è necessario che l’ingiusto profitto che l’agente si propone di conseguire lo avvantaggi personalmente.

Lo chiarisce la Corte di Cassazione con sentenza n. 39858/17 depositata il 1° settembre. Il caso. Il Tribunale di Roma confermava l’ordinanza del GIP con cui veniva respinta l’istanza di revoca della misura della custodia carceraria proposta dall’imputato, applicatagli in quanto indiziato di concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione. In particolare, il Tribunale fondava la sua decisione sul fatto che dall’esame della persona offesa non erano emersi elementi tali da modificare il quadro indiziario in senso favorevole dell’indagato. Risultava, inoltre, corretta la qualificazione giuridica del fatto e l’assenza di ulteriori dati non valutati all’interno della decisione presa in sede di riesame. L’imputato ricorre per cassazione. Quadro indiziario. I Giudici della Suprema Corte, nel ritenere corretta la soluzione adottata dal Tribunale, ritiene opportuno ribadire che relativamente alla fattispecie di sequestro di persona a scopo di estorsione non è necessario che l’ingiusto profitto che l’agente si propone di conseguire lo avvantaggi personalmente. Infatti, la legge prevede che è sufficiente che il soggetto agisca al fine ottenere un’utilità per sé o per altri, che nel caso di specie si identificano con i creditori della persona offesa, con i quali il ricorrente aveva cooperato volontariamente. A tal proposito, la Corte di Cassazione rileva che l’indirizzo giurisprudenziale condiviso sancisce che integra gli estremi del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione ex art. 630 c.p. la condotta criminosa consistente nella privazione della libertà di una persona finalizzata a conseguire una prestazione patrimoniale, pretesa per liberare il sequestrato, anche se in esecuzione di un precedente rapporto illecito . Per tutti questi motivi, gli Ermellini dichiarano inammissibile il ricorso e condannano il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 31 agosto – 1 settembre 2017, n. 39858 Presidente Di Tomassi – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 12 maggio 2017 il Tribunale di Roma, costituito ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza emessa in data 28 marzo 2017 dal G.i.p. del Tribunale di Roma, con la quale era stata respinta l’istanza, avanzata dall’imputato P.M. , di revoca della misura della custodia in carcere, già applicatagli perché gravemente indiziato di concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione. 1.1 A fondamento della decisione il Tribunale rilevava che dall’esame della persona offesa, svoltosi nelle forme dell’incidente probatorio, non erano emersi elementi a discarico in grado di modificare il quadro indiziario in senso favorevole dell’indagato, poiché era stato confermato il suo ruolo di carceriere, indottosi a liberare l’ostaggio soltanto perché consapevole dell’approssimarsi delle forze dell’ordine e dell’imminente scoperta del luogo in cui questi era stato trattenuto. Rilevava altresì la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e l’assenza di dati ulteriori non valutati nell’ambito della decisione assunta in sede di riesame, in grado di smentire gli indizi acquisiti ed escludere le esigenze cautelari. 2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l’indagato a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per violazione di legge, di norme processuali e vizio di motivazione in relazione al disposto degli artt. 273, 274, 275, 299 cod. proc. pen. e dell’art. 630 cod. pen Secondo la difesa, il Tribunale ha errato nel mantenere la misura in esecuzione, poiché all’esito dell’incidente probatorio era emerso che il P. non aveva offerto alcun contributo alle condotte di usura, all’apprensione della persona offesa ed alla formulazione delle richieste di denaro in cambio della sua liberazione, sicché la sua condotta, intervenuta in un momento successivo al sequestro e non finalizzata ad ottenere un corrispettivo economico, quindi priva del dolo specifico, avrebbe dovuto essere rapportata alla fattispecie di cui all’art. 605 cod. pen. e, a ragione della sua minore gravità rispetto all’imputazione attuale, avrebbe dovuto operarsi una rinnovata valutazione della personalità dell’indagato e sostituirsi la custodia in carcere con gli arresti domiciliari con eventuale applicazione del braccialetto elettronico. Tale misura, sulla quale i giudici cautelari non hanno speso alcuna argomentazione, risulta più proporzionata al fatto, alla minore entità della pena irrogabile ed alla prospettiva verosimile dell’applicazione della sospensione condizionale della pena all’esito del giudizio principale. Inoltre, è erronea e carente anche la motivazione con la quale si è confermata la scelta della misura in esecuzione il ricorrente è soggetto giovanissimo, incensurato e ha offerto al fatto di reato un contributo marginate, quindi se n’è affermata la pericolosità sociale in assenza di concreti dati probatori che dessero conto della concretezza ed attualità della probabilità di recidivazione. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi che ripetono censure già esaminate e respinte dai giudici cautelari. 1.Con riferimento al requisito della gravità indiziaria il ricorrente ripropone un tema, che è stato già vagliato e respinto dal Tribunale con motivazione chiara, esaustiva e priva di qualsiasi vizio, oltre che aderente ai motivi di appello. Si è osservato al riguardo che il progredire delle indagini e l’espletamento dell’incidente probatorio con l’esame della persona offesa non avevano apportato al processo dati conoscitivi idonei a modificare il quadro indiziario, poiché il B. aveva confermato le precedenti dichiarazioni accusatorie, a detta delle quali il P. , non presente al momento in cui egli aveva contratto il suo debito e pattuito le condizioni usurarie per la restituzione, né in quello della sua forzata apprensione e conduzione del nascondiglio ove era stato trattenuto contro la sua volontà, era stato presente per almeno due giorni in quel luogo, gli aveva somministrato acqua, alimenti ed un telefono, sino a quando gli aveva intimato di seguirlo nella fuga per le campagne dopo avere percepito l’imminente sopraggiungere delle forze dell’ordine. A giudizio del Tribunale, se le informazioni acquisite non indicano il suo coinvolgimento nell’attività usuraria e nemmeno nella fase iniziale del sequestro di persona, che del resto non gli è stato contestato, ciò nonostante restano immutati i dati conoscitivi sul suo ruolo attivo nel trattenere il sequestrato e sorvegliarlo con funzioni di carceriere, che nella fuga aveva abbandonato il luogo della sua detenzione, non nell’intento di ridargli la libertà, ma di evitare l’arresto imminente e la scoperta del nascondiglio. 1.1 Col ricorso si insiste nel sostenere che il quadro indiziario sarebbe mutato e si ripropone una ricostruzione giuridica alternativa, che i giudici dell’appello hanno già disatteso e che non risulta nemmeno del tutto logica e plausibile che il P. non sia coinvolto nell’erogazione di prestiti usurari, nel prelevamento della vittima e nella sua conduzione nel luogo in cui era stata trattenuta, non significa che non abbia condiviso con i correi la medesima finalità di ricavare un’utilità economica dalla privazione della libertà personale del debitore, che ha contribuito a sorvegliare, nutrire e trattenere nel casolare prescelto per la sua detenzione, come evidenziato nell’ordinanza impugnata. Del resto nell’impugnazione resta inspiegato per quale ragione diversa e lecita egli si sarebbe indotto a collaborare con i complici, -la consapevolezza del cui ruolo non si nega in capo al ricorrente-, ed avrebbe ingiunto all’ostaggio di fuggire con lui per le campagne per impedirne il ritrovamento da parte delle forze di polizia. Inoltre, in punto di diritto si trascura che la fattispecie di sequestro di persona a scopo di estorsione non pretende che l’ingiusto profitto che l’agente si propone di conseguire lo avvantaggi personalmente, poiché la norma prevede che il soggette agisca al fine di ottenere un’utilità per sé o per altri, che in questo caso d’identificano nei creditori del B. , con i quali il ricorrente aveva volontariamente cooperato. Inoltre, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, qui condiviso e riaffermato Cass. sez. 2, n. 20032 del 5/05/2015, Mastrodonato, rv. 263536 sez. 1, n. 17728 del 01/04/2010, Ruggeri, rv. 247071 sez. 5, n. 12762 del 22/3/2006, Maiani, rv. 234553 Sez. Un. n. 962 del 17/12/2003, Youang Yunwen ed altri, rv. 226489 , integra gli estremi del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione previsto dall’art. 630 cod. pen., -fattispecie plurioffensiva in cui l’elemento oggettivo si caratterizza per lo scopo di ottenere un profitto ingiusto dal prezzo della liberazione-, la condotta criminosa consistente nella privazione della libertà di una persona finalizzata a conseguire una prestazione patrimoniale, pretesa per liberare il sequestrato, anche se in esecuzione di un precedente rapporto illecito. 1.2 Deve dunque concludersi per la correttezza e congruità motivazionale delle argomentazioni con le quali il Tribunale ha negato l’acquisizione di nuovi elementi conoscitivi rispetto agli indizi già apprezzati in sede di riesame. Questa Corte ha già affermato che l’istanza di revoca della misura cautelare non può trovare adito allorché si fonda su censure che investono quegli stessi elementi indiziari posti a base dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, e questi risultano immutati nella loro valenza e gravità in quanto, nelle sedi di esame dell’istanza di revoca e dell’appello avverso il provvedimento di diniego, avuto riguardo alla formulazione dell’art. 299 cod. proc. pen., possono essere oggetto di valutazione solo fatti nuovi anche se apprezzati congiuntamente a quelli originariamente esaminati, dai quali risulti un mutamento in melius del quadro indiziario, e non gli stessi elementi già apprezzati anche in sede di riesame sez. 6, n. 14300 del 04/02/2014, Rosaci, rv. 259450 . Tale rilievo si riflette anche sulla valutazione delle esigenze cautelari, rispetto alle quali il Tribunale ha ritenuto che alcuna nuova acquisizione legittimasse la scelta di una misura differente rispetto a quella in esecuzione. Per le considerazioni svolte il ricorso, indifferente ai puntuali e congrui rilievi dell’ordinanza contestata, è inammissibile e tanto comporta la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, a ragione dei profili di colpa insiti nella presentazione di siffatta impugnazione, anche al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.