Rifiuto di consegna: quando può dirsi accertato il radicamento in Italia?

Ai fini del rifiuto di consegna di un cittadino di un altro Paese membro dell’Unione, la nozione di residenza rilevante presuppone un radicamento reale e non estemporaneo della persona nello Stato in cui si trova.

Così ha deciso la Suprema Corte con sentenza n. 39862/17 depositata il 1° settembre. Il caso. La Corte d’Appello di Milano disponeva la consegna dell’imputato in esecuzione del mandato d’arresto europeo emesso dal Tribunale rumeno di Vaslui che lo aveva condannato, con sentenza irrevocabile, alla reclusione per il reato di guida in stato d’ebbrezza. L’imputato ricorre per cassazione deducendo violazione di legge e di motivazione circa l’accertamento del suo radicamento in Italia, laddove proprio nell’ordinanza di convalida dell’arresto veniva rilevata la residenza italiana. Per tale motivo, il ricorrente chiede di poter scontare la pena in Italia. Nozione di residenza rilevante. La Suprema Corte, nel ritenere il ricorso inammissibile, afferma che secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini del rifiuto di consegna di un cittadino di un altro Paese membro dell’Unione, la nozione di residenza” rilevante presuppone un radicamento reale e non estemporaneo della persona nello Stato . Tale radicamento si desume dalla legalità della sua presenza in Italia, dall’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, dalla distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, dalla fissazione in Italia della sede principale e consolidata dagli interessi lavorativi, familiari ed affettivi e, infine, dal pagamento di eventuali oneri contributivi e fiscali . Nozione di dimora rilevante. Per quanto riguarda, invece, la nozione di dimora” rilevante, questa si identifica con il soggiorno nello Stato stabile e di una certa durata, idoneo a consentire l’acquisizione di legami con lo Stato stesso pari a quelli che si instaurano in caso di residenza . Nella fattispecie, vista la tardività e l’inidoneità delle deduzioni ad incidere sulla legittimità delle valutazioni contenute nel provvedimento impugnato, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 31 agosto – 1 settembre 2017, n. 39862 Presidente Di Tomassi – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1.Con sentenza del 21 luglio 2017 la Corte di appello di Milano disponeva la consegna del C.G.A. in esecuzione del mandato di arresto Europeo emesso dal Tribunale di Vaslui, in data 8 maggio 2017. Il Tribunale rumeno aveva chiesto la consegna per eseguire la sentenza irrevocabile che aveva condannato il C. alla pena di anno uno, mesi quattro di reclusione per il reato di guida in stato di ebbrezza. 2. Avverso tale sentenza proponeva personalmente ricorso per cassazione il C. che deduceva 2.1. vizio di legge e di motivazione il provvedimento impugnato non offrirebbe alcuna motivazione circa la possibilità di richiedere un nuovo processo nel paese d’origine al riguardo si comunicava che il processo a carico del C. era stato comunque riaperto e l’udienza di trattazione era stata fissata per il 31 agosto 2017 era pertanto verosimile che la pena fosse rideterminata, anche in misura inferiore all’anno, ovvero alla soglia di pena minima necessaria per l’attivazione della procedura del mandato di arresto Europeo 2.2. vizio di legge e di motivazione in relazione all’accertamento del radicamento del C. in Italia non sarebbe stato valorizzato il fatto che nell’ordinanza di convalida dell’ arresto era stata rilevata la stabile residenza del ricorrente in Italia. A sostegno della dimostrazione del risalente radicamento al ricorso venivano allegati numerosi documenti tessera sanitaria, buste paga, carta d’identità . Sul punto si rilevava, altresì, che la Corte di appello, nel disporre la consegna, non aveva attivato i poteri istruttori conferitigli dall’art. 16 della legge n. 69 del 2005. Infine il C. chiedeva, con lo stesso atto di ricorso, di poter scontare la pena in Italia 2.3. vizio di legge e di motivazione non sarebbe stato considerato che in Italia in relazione al reato contestato, il C. avrebbe potuto chiedere la sostituzione della pena detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità si ribadiva, infine, che all’esito del nuovo processo aperto in Romania il ricorrente avrebbe potuto essere condannato ad una pena inferiore o pari ad anni uno di reclusione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.1. Il primo motivo di ricorso che deduce la mancata valutazione delle garanzie offerte dallo Stato rumeno nei confronti degli imputati che dimostrino di non essere stati posti a conoscenza del processo celebrato a loro carico è manifestamente infondato. La effettiva tutela del diritto alla partecipazione al processo risulta, infatti, smentita dalle stesse allegazioni del ricorrente che ha comunicato che a seguito di istanza per la riapertura del procedimento a suo carico è stata fissata udienza in data 31 agosto 2017. L’esito di tale incidente procedurale, allo stato, non è noto, non essendo stato prodotto alcun provvedimento giudiziario di revoca del titolo sul quale si fonda la richiesta di consegna. Pertanto non vi sono elementi per considerare inefficace il titolo esecutivo che è - ad oggi per quanto risulta al collegio - pienamente efficace. Le deduzioni circa il possibile esito del nuovo procedimento sono, invece, meramente ipotetiche ed inidonee ad incidere sulla legittimità del provvedimento impugnato. 1.2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce la mancata valutazione del radicamento in Italia del ricorrente, è inammissibile. Si premette che secondo la giurisprudenza che si condivide la nozione di residenza rilevante - dopo la sentenza n. 227 del 2010 della Corte costituzionale - ai fini del rifiuto di consegna di un cittadino di altro Paese membro dell’Unione, ai sensi dell’art. 18, lett. r , della Legge 22 aprile 2005 n. 69, presuppone un radicamento reale e non estemporaneo della persona nello Stato, desumibile dalla legalità della sua presenza in Italia, dall’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, dalla distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, dalla fissazione in Italia della sede principale anche se non esclusiva e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, dal pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. La nozione di dimora , rilevante ai medesimi fini, si identifica con un soggiorno nello Stato stabile e di una certa durata, idoneo a consentire l’acquisizione di legami con lo Stato pari a quelli che si instaurano in caso di residenza Cass. sez. 6 n. 9767 del 26/02/2014, Rv 259118 . Il ricorrente, irreperibile nel corso del giudizio svoltosi innanzi alla Corte di appello, chiede per la prima volta, in questa sede, di poter scontare la pena in Italia, allegando a sostegno della richiesta varia documentazione finalizzata alla dimostrazione dello stabile radicamento. In materia di tempestività delle allegazioni il collegio condivide e ribadisce la giurisprudenza secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso proposto nell’interesse di un cittadino di altro Paese membro dell’Unione Europea che abbia chiesto di scontare la pena in Italia a norma dell’art. 18, comma primo, lett. r della L. 22 aprile 2005, n. 69 corredato da allegazioni in ordine allo stabile radicamento nel territorio dello Stato, se lo stesso non è preceduto da corrispondente deduzione proposta alla Corte d’appello infatti, mentre quest’ultima può svolgere ogni opportuna verifica delle allegazioni, alla Corte di legittimità difettano poteri sostitutivi o di integrazione istruttoria e la sua cognizione, ai sensi dell’art. 609 cod. proc. pen. - applicabile anche al ricorso per cassazione di cui all’art. 22 della legge n. 69 del 2005 - è limitata ai motivi proposti e alle questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo, nonché a quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello Cass. sez. 6 n. 24540 del 4/06/2015, Rv. 264171 Cass. sez. 6 n. 47071 del 4/12/2009, Rv. 245456, sulla attivazione dei poteri istruttori solo nei casi in cui la persona colpita dal mandato di arresto chieda di scontare la pena in Italia Cass. sez. 6 n. 41910 del 07/10/2013, Rv. 257023 . Segnatamente, il collegio ritiene che in materia di mandato di arresto Europeo la valutazione di circostanze di fatto accertabili anche attraverso l’attivazione di poteri istruttori, tipici della giurisdizione di merito, qualora sia stata proposta in modo specifico solo in Cassazione, rivela una insanabile frattura della catena devolutiva, con conseguente inammissibilità del relativo motivo di ricorso. Nel caso di specie le allegazioni in ordine al radicamento sono state prodotte solo con il ricorso in cassazione si tratta pertanto di deduzioni tardive ed inidonee ad incidere sulla legittimità delle valutazioni esposte nel provvedimento impugnato. Il ricorrente, infatti, nel corso del giudizio celebrato di fronte alla Corte di appello non forniva alcuna indicazione circa il suo stabile radicamento o la sua volontà di scontare la pena in Italia le relative deduzioni, proposte solo con il ricorso per cassazione sono, pertanto, tardive e, dunque, inammissibili. 1.3. Infine, è manifestamente infondato anche l’ultimo motivo di ricorso con il quale il ricorrente lamenta l’iniquità della condanna rumena in relazione alla più mite risposta sanzionatoria riservata dall’ordinamento italiano alle condotte di guida in stato di ebbrezza. Sul punto il collegio ribadisce che con specifico riferimento al rispetto del requisito della c.d. doppia punibilità oggetto delle censure del ricorrente, per soddisfare la condizione prevista dall’art. 7, comma primo, della L. 22 aprile 2005, n. 69, non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell’ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma del nostro ordinamento, ma è sufficiente che la concreta fattispecie sia punibile come reato da entrambi gli ordinamenti, nulla rilevando l’eventuale diversità, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato Cass. sez. 6 n. 11598 del 13/03/2007, Rv 235947 Cass. sez. 6 n. 45525 del 20/12/20/0/, Rv 248969 . Anche in questo caso i rilievi proposti sono, pertanto, manifestamente inidonei ad incidere sulla legittimità del provvedimento impugnato. 2. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 2000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2000.00 alla Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22 comma 5 L. n. 69 del 2005.