Molesta una bambina sul bus: maniaco condannato

L’episodio si è verificato su un autobus a Roma. L’uomo è stato fermato dai passeggeri e poi arrestato dai carabinieri. Pena fissata in ventidue mesi di reclusione.

È salito ubriaco sull’autobus, si è seduto di fianco a una bambina e ha iniziato a strusciarsi con la schiena su di lei. Inutile l’intervento della madre, che è stata anche picchiata dal maniaco. Ora, però, a distanza di tre anni dal bruttissimo episodio, l’uomo deve fare i conti con la giustizia per lui è definitiva la condanna per violenza sessuale Cassazione, sentenza n. 39549/17, sez. III Penale, depositata oggi . Contatto. Luglio 2015 a Roma. Su un autobus un uomo, poco sopra i 40 anni di età, si siede di fianco a una bambina, e inizia a strusciare su di lei la propria schiena. Inutili le proteste della ragazzina, inutile anche la reazione della mamma, che viene picchiata dal maniaco. Sono poi i passeggeri presenti sul veicolo a intervenire per fermare l’uomo, evidentemente alterato. Subito dopo il bus si ferma e i carabinieri arrestano il maniaco, che, ora, tre anni dopo il fattaccio, si vede condannato definitivamente a ventidue mesi di reclusione. La pena è dovuta non solo alla violenza sessuale perpetrata ai danni della ragazzina ma anche alle lesioni provocate alla mamma. Il legale dell’uomo prova in Cassazione a ridimensionarne il comportamento, evidenziando che lo sfregamento è avvenuto utilizzando le spalle, dunque con una zona non erogane del corpo e che, di conseguenza, quella azione non ha avuto l’effetto di appagare gli istinti sessuali , anche perché non c’era stato contatto con le parti intime della vittima . Ogni obiezione si rivela però inutile. Per i magistrati del ‘Palazzaccio’, come già per i giudici della Corte d’appello di Roma, vi è stato comunque un toccamento lascivo che ha riguardato le zone erogene della minore, cioè cosce e seno . A questo proposito viene evidenziato che l’uomo aveva alle sue spalle la giovane e poteva facilmente appoggiare la propria schiena al fianco della ragazzina e, ruotandola leggermente, strusciare il suo seno . Allo stesso tempo, viene ritenuta lapalissiana l’invasione della sfera sessuale della minore , invasione realizzatasi col raggiungimento di zone erogene come cosce e seno.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 luglio – 30 agosto 2017, n. 39549 Presidente Savani – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 2.11.2016, la Corte d'Appello di Roma, in riforma della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare della stessa città in data 9.3.2016, ritenuta l'ipotesi attenuata di cui all'art. 609bis, ultimo comma, c.p., ha rideterminato la pena nei confronti di Ma. Ca. in anni 1, mesi 10 di reclusione con conferma delle statuizioni civili oltre spese a favore delle stesse, per il reato di cui al capo A , art. 609bis e 609ter c.p., perché, con violenza consistita nella repentinità dell'azione tale da non consentire alcuna difesa della vittima, aveva costretto una minore di anni 14 a subire atti sessuali consistiti nello sfregamento del suo corpo sulle cosce e sul seno della ragazzina capo B , art. 582 e 585 c.p., perché aveva colpito la madre della minore, intervenuta a difesa della ragazza, con violenti pugni e calci su tutto il corpo causandole contusioni giudicate guaribili in giorni 30 capo C , art. 590 c.p., perché, nelle circostanze di tempo e di luogo indicate, nel mentre sferrava un pugno alla madre, per imprudenza, aveva colpito il naso della minore causandole lesioni giudicate guaribili in giorni 2 in Roma il 3.7.2015. 2. Con il primo motivo, l'imputato lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p. in relazione agli art. 609bis e 609ter c.p. Deduce, in primo luogo, che i contestati atti di sfregamento contro la persona offesa non erano stati percepiti da alcun testimone, se non dalla madre della vittima, costituitasi parte civile nel processo in secondo luogo, lo sfregamento sarebbe avvenuto utilizzando le spalle, dunque non con una zona erogena del corpo inoltre era improbabile riuscire a sfregare la parte posteriore del proprio corpo contro il seno della ragazza procedendo alla cieca comunque, l'autodeterminazione della persona offesa non era stata messa in pericolo, perché non era stata impedita nei movimenti da atti di violenza. L'azione di posarsi o sfregarsi con il retro del proprio corpo su un'altra persona non aveva avuto l'effetto di appagare i propri istinti sessuali né integrava l'ipotesi di violenza nei confronti di un'altra persona. La condotta era piuttosto inquadrabile nell'atto di molestie ex art. 660 c.p., siccome non vi era stato un atto lesivo della libertà sessuale della persona offesa o che avesse suscitato libido nel soggetto agente. Con il secondo motivo, deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p., e chiede, nella denegata ipotesi in cui venga ritenuta corretta la qualificazione della condotta sub art. 609bis e 609ter c.p., che, quanto meno, venga riconosciuta la forma tentata di reato. Egli non era entrato in contatto con le parti intime della vittima né aveva fatto in modo che questa entrasse in contatto con le sue. L'avvicinamento, oltre ad essere stato fortuito, non aveva creato un'immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima. Pertanto, il contatto, se volontario, era al più riconducibile al mero tentativo di raggiungere una zona erogena della vittima, tentativo tuttavia non andato a buon fine. Con il terzo motivo, denuncia la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p. I Giudici si erano immotivatamente ed ingiustificatamente discostati dal minimo edittale della pena, considerate la minima invasività degli atti posti in essere e la minima compressione della libertà sessuale della vittima derivante dalla valutazione globale del fatto e dal modesto danno subito. Quanto alla pericolosità sociale, i precedenti penali erano molto risalenti nel tempo, di lieve entità perché tutti reati contravvenzionali e per il più grave dei quali era stata disposta la sospensione condizionale della pena. La Corte costituzionale aveva stabilito che la reazione penale doveva essere parametrata in modo proporzionato sia al disvalore dell'evento, sia a quello dell'azione ed alla condotta contemporanea o susseguente al reato nonché alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo, sicché ai fini di una determinazione della pena congrua ed adeguata il Giudice doveva considerare con maggior favore il profilo della ridotta gravità del fatto costituente reato. Chiede l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Le contestazioni sono invero assai generiche e riguardano solo il reato di cui al capo A . L'imputato lamenta che l'unico teste sia stato la parte civile, e cioè la madre della ragazzina, ma non ha fatto derivare da tale assunto alcuna conseguenza e non si è confrontato con la parte della motivazione della sentenza impugnata secondo cui le argomentazioni del primo Giudice sulla valutazione del narrato della persona offesa erano condivisibili perché la donna aveva reso delle dichiarazioni che erano apparse in sé del tutto coerenti e che avevano trovato un concreto riscontro nelle sommarie informazioni testimoniali dei passeggeri dell'autobus e nei referti ospedalieri. Le altre considerazioni sono del tutto ininfluenti a che lo sfregamento sarebbe avvenuto utilizzando le spalle, dunque non con una zona erogena del corpo non rileva perché, a parte l'opinabilità dell'assunto, è certo che il toccamento lascivo ha riguardato le zone erogene della minore, e cioè cosce e seno, donde il tempestivo intervento difensivo della madre b che lo sfregamento nei termini prospettati sarebbe stato materialmente impossibile è circostanza smentita dalla motivazione congrua e logica della sentenza impugnata, a tenore della quale la posizione assunta dall'imputato non appariva incompatibile con il predetto sfregamento, considerato che l'uomo aveva alle sue spalle la giovane e poteva facilmente appoggiare la propria schiena al fianco della ragazza e, ruotandola leggermente, strusciare il suo seno c che lo sfregamento non avrebbe compromesso la libertà di autodeterminazione della ragazza che non era stata impedita nei movimenti non esclude di per sé la consumazione del reato che dipende dalla perpetrata invasione della sfera sessuale della minore d che lo sfregamento non avrebbe appagato i suoi istinti sessuali e quindi, nel caso, sarebbe stata più appropriata una contestazione di molestie non è assunto condivisibile alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa zone genitali o comunque erogene , essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'azione dell'aggressore o che quest'ultimo consegua la soddisfazione erotica fattispecie in cui è stata ritenuta la consumazione in relazione alla condotta dell'imputato consistita nel leccamento di una guancia dovuto ad un bacio non riuscito ed al contemporaneo toccamento delle parti intime di una ragazza minorenne Cass., Sez. 3, n. 4674/15, c.comma 22.10.2014, dep. 2.2.2015, Rv 262472 si veda anche la successiva Sez. 3, n. 17414/16, c.comma 18.2.2016, dep. 24.2.2016, Rv 266900 che, affermando il medesimo principio di diritto, ha ravvisato il tentativo nell'ipotesi di condotta consistita nell'abbassarsi i pantaloni, scoprire il pene, afferrare la nuca della vittima, e cercare con forza di avvicinare la testa della medesima per costringerla ad un rapporto orale, non conseguito in quanto la donna riusciva a divincolarsi prima dell'arrivo delle forze dell'ordine . Corretta appare dunque la qualificazione del fatto contestato dalla Pubblica Accusa ed accertato dai Giudici di merito. L'uomo, palesemente ubriaco, dopo aver chiesto più volte informazioni all'autista, si era andato a sedere sul posto collocato sul copriruota del bus, accanto alla ragazzina, sebbene vi fossero altri posti liberi nella vettura e si era strusciato vistosamente contro le cosce ed il seno della persona offesa, provocando l'immediata reazione della madre. L'uomo aveva dapprima negato il fatto ed ingiuriato la donna, come da conferma di un passeggero, poi l'aveva colpita con calci e pugni e, accidentalmente, aveva colpito anche la bambina, come da testimonianza di ben tre passeggeri. L'imputato sostiene di non essere entrato in contatto con le parti intime della ragazzina o che sia avvenuto il viceversa e sostiene altresì che l'avvicinamento fortuito non aveva determinato l'immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, donde la qualificazione del fatto come tentativo. La censura, oltre che generica, appare illogica, a meno di non interpretare la prospettazione del tentativo come ipotesi subordinata. Ed invero, i Giudici di merito hanno accertato che il contatto con le zone erogene della ragazzina vi è stato e tanto basta, alla stregua della giurisprudenza citata, ad integrare la fattispecie consumata. Quanto al trattamento sanzionatorio, la censura non coglie nel segno, perché la Corte territoriale ha rideterminato la pena, partendo dal minimo edittale, applicando l'attenuante di cui all'art. 609bis, comma 3, c.p., e riconoscendo le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto alla contestata aggravante, mostrando di aver già accolto la doglianza formulata. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. procomma pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Viene disposta altresì la liquidazione delle spese della parte civile come in dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese di parte civile che liquida in complessivi Euro 3.500,00 oltre accessori di legge da distrarsi a favore dello Stato.