Per essere violenza sessuale, va provata nel caso concreto l’idoneità della minaccia

Secondo la Cassazione integra il delitto di violenza sessuale non solo la violenza che pone il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre tutta la resistenza possibile, realizzando un vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che si manifesta o nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, tale da sorprendere la vittima e da prevenirne la manifestazione di dissenso .

Cosi ha deciso la Cassazione con la sentenza numero 39495/17, depositata il 29 agosto. Il caso. La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado, con la quale era riconosciuta la responsabilità di due imputati infermieri in relazione al reato di cui all’artt. 609-bis e 61 numero 9 c.p., per aver costretto mediante violenza, una donna, che si trovava in ospedale per recare assistenza alla sorella, a recarsi in uno stanzino, con la scusa di misurare la pressione, e a subire atti di violenza sessuale. Avverso tale pronuncia gli imputati ricorrevano in Cassazione. La violenza sessuale. Nel caso di specie, la Cassazione afferma che sia da applicarsi il principio secondo il quale, integra il delitto di violenza sessuale non solo la violenza che pone il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre tutta la resistenza possibile, realizzando un vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che si manifesta o nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, tale da sorprendere la vittima e da prevenirne la manifestazione di dissenso, ovvero con il compimento di atti idonei a superare la volontà contraria della persona offesa, soprattutto se la condotta criminosa si esplica in circostanze di luogo o di tempo tali da vanificarne ogni possibile reazione della vittima . Nel caso in esame, a parere della Corte, non risulta provato in punto motivazionale come gli imputati abbiano integrato l’elemento della coercizione della libera determinazione della sfera sessuale della donna, emergendo, inoltre, dalla vicenda che non furono poste in essere particolari forme di violenza o minaccia e trovandosi la donna in un luogo non isolato. L’idoneità della violenza. La Corte afferma, inoltre, che l’idoneità della minaccia a coartare la volontà della vittima sia da esaminarsi nel caso concreto, e non in modo aprioristico, effettuando, per cui, una valutazione sulle circostanze oggettive e soggettive. Per questi motivi la Cassazione, rilevando la carenza motivazionale della sentenza impugnata, la annulla e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 gennaio 2016 – 29 agosto 2017, numero 39495 Presidente Cavallo – Relatore Galterio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 26.9.2014 la Corte d’Appello di Bari, nel confermare la responsabilità di C.P. e A.M. in relazione al reato di cui agli articolo 609-bis e 61 numero 9 c.p. per aver costretto, mediante violenza, P.G. , recatasi a prestare assistenza notturna alla sorella ricoverata in ospedale, a subire e a compiere atti sessuali abusando dei poteri e violando i doveri inerenti ad un pubblico servizio in quanto entrambi infermieri di turno quella notte nell’ospedale, ha riconosciuto, a parziale riforma della sentenza di primo grado, la circostanza della minore gravità di cui all’articolo 609-bis ult. comma c.p., riducendo la pena inflitta al C. a due anni di reclusione e all’A. ad un anno e dieci mesi, con il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione e dichiarando entrambi interdetti dalla professione di infermiere per il periodo corrispondente alla pena principale. Avverso la suddetta pronuncia entrambi gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione, ognuno autonomamente per il tramite del rispettivo difensore, per i motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’articolo 174 disp. att. c.p.p L’A. ha articolato un unico motivo con il quale deduce, in relazione al vizio di cui all’articolo 606 lett. e c.p.p. l’incongruenza logica della motivazione che da una parte riconosce l’attenuante della minor gravità ritenendo che la vittima fosse persona adulta e potenzialmente in grado di chiedere aiuto e dall’altra afferma l’abuso sessuale commesso con violenza escludendo il consenso della donna, senza considerarne le concrete capacità di reazione, ove fosse stata realmente dissenziente, che le avrebbero consentito di scappare, urlare e difendersi che vengono invece negate dalla Corte di Appello in ragione della sua fragilità psicologica. Le dichiarazioni della p.o. risulterebbero, secondo il ricorrente, ampiamente contraddette dalle risultanze istruttorie che avevano evidenziato l’assoluta mancanza di lividi, contusioni o altri segni comprovanti il costringimento fisico, l’assenza di lacerazioni ai vestiti, così come di tracce di liquido seminale, oltre alla circostanza relativa allo scambio tra la p.o. e gli imputati del numero dei rispettivi telefoni cellulari nel corso di quella stessa notte. Risultanze queste a cui si aggiunge la preordinata macchinazione ordita dalla vittima per registrare, successivamente, ai fatti” le conversazioni avute con gli imputati ed archiviarle con un file dall’eloquente titolo omissis , tale da smentire la ritenuta fragilità emotiva e psicologica di costei. 2. Il C. ha articolato, a sua volta, due motivi. Con il primo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli articolo 609-bis e 609-nonies c.p., che la pena accessoria dell’interdizione dalla professione di infermiere non poteva essergli applicata considerata l’anteriorità del tempo del commesso reato, risalente al 30.11.2007, rispetto all’entrata in vigore della 1.1.10.2012 numero 172. Con il secondo motivo lamenta, in relazione al vizio di cui all’articolo 606, lett. e c.p.p., le contraddizioni della sentenza che aveva coperto con l’asserita debolezza psicologica della vittima, peraltro non riscontrata dalla diagnosi del suo medico curante che ne aveva affermato invece la piena capacità di intendere e di volere malgrado il disturbo ossessivo di grado pronunciato da cui era affetta, tutte le incongruenze logiche della vicenda narrata, prima fra tutte lo scambio dei numeri di cellulare con l’imputato, da costei collocato temporalmente nella querela sporta successivamente al compimento del primo atto sessuale ed invece in dibattimento prima di tale atto, dopo il di lui tentativo di baciarla, nonché l’aver seguito volontariamente il C. , senza esitazioni, dopo le pressanti avances di costui nello stanzino, nella medicheria dell’ospedale dove si sarebbero svolte le violenze sessuali da costei asseritamente subite, e successivamente anche l’A. , ed infine la mancanza di qualsivoglia reazione o resistenza malgrado i fatti si fossero svolti all’interno di un ospedale pieno di pazienti e di medici, neppure nell’intervallo tra i due episodi quando la p.o. avrebbe potuto riferire alla sorella o al medico del reparto quanto accaduto risultanze queste che evidenziano il suo consenso agli approcci sessuali dei due imputati, non emergendo dalla sentenza alcuna difficoltà, né tanto meno l’impossibilità di sottrarsi alle avances di costoro. Considerato in diritto Il ricorso deve ritenersi fondato nei limiti di seguito indicati. In relazione all’unico motivo articolato dall’A. , da esaminarsi congiuntamente attesa la sostanziale identità delle doglianze svolte dal C. con il secondo motivo, va rilevato che non essendo in contestazione il compimento degli atti sessuali, consistiti in toccamenti del seno della p.o. ed atti di masturbazione portando la di lei mano sul proprio pene fino alla eiaculazione, che entrambi gli imputati ammettono di aver compiuto sostenendo tuttavia che la suddetta condotta sarebbe stata posta in essere con il consenso della vittima, la problematica si incentra sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato in contestazione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, integra il delitto di violenza sessuale, nella fattispecie di cui al primo comma dell’articolo 609-bis cod. penumero non solo la violenza che pone il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre tutta la resistenza possibile, realizzando un vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che si manifesta o nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa tale,Sorprendere la vittima e da prevenirne la manifestazione di dissenso Sez. 3, numero 27273 del 15/06/2010 - dep. 14/07/2010, Rv. 247932 , ovvero con il compimento di atti idonei a superare la volontà contraria della persona offesa, soprattutto se la condotta criminosa si esplica in circostanze di luogo e di tempo tali da vanificare ogni possibile reazione della p.o. Sez. 3, numero 40443 del 28/11/2006 - dep. 12/12/2006, Zannelli, Rv. 235579 Sez. 3, numero 6643 del 12/01/2010 Ud. dep. 18/02/2010, Rv. 246186 . Essendosi i due episodi contestati svolti all’interno del reparto di un ospedale, sia pure in piena notte, dove erano degenti svariati pazienti oltre al personale di turno ed esclusa perciò l’ipotesi in cui al contesto ambientale consegua la limitazione della libertà del soggetto passivo, così costretto a subire atti sessuali contro la propria volontà, avendo i giudici di appello riconosciuto che avrebbe potuto potenzialmente chiedere aiuto, né facendosi menzione di atti particolarmente repentini, la sentenza impugnata non chiarisce come si sia realizzata la coercizione della libera autodeterminazione della sfera sessuale della donna, tenuto conto che l’ipotesi della costrizione appare contraddetta allorquando la Corte pugliese, nel riconoscere l’attenuante di cui all’ultimo comma dell’articolo 609-bis, afferma che non furono poste in essere particolari forme di violenza o di minaccia risultando solo che costei si trovasse su un lettino al fine di farsi misurare la pressione, senza che nulla venga precisato in ordine alle modalità con cui sia attuata l’immobilizzazione della p.o., tale da non consentirle alcuna forma di reazione. Quand’anche lo stato di inebetimento ed incredulità in cui si sarebbe trovata la P. le avesse impedito di urlare chiamando aiuto, tenuto conto che il C. le aveva ripetuto che se avesse gridato l’avrebbero presa per pazza e che avrebbe recato scompiglio in tutto l’ospedale, senza che tali ammonizioni integrino comunque, in difetto di prospettazione di un danno ingiusto, l’ipotesi della minaccia, la sentenza impugnata non spiega tuttavia perché la p.o. non fosse libera di andar via, così da sottrarsi agli atti libidinosi dei due infermieri. Tale lacuna motivazionale appare ancor più evidente ove si consideri che i due imputati risultano aver agito separatamente, a distanza di alcune ore l’uno dall’altro, sia pur inducendo la p.o. entrambi con un raggiro, ovverosia con la scusa di misurarle la pressione, a recarsi nella medicheria del reparto, il che lascia oscure le ragioni - tenuto conto che l’azione ingannevole è rimasta circoscritta all’averla attratta nella stanza e ad averla fatta distendere sul lettino - per le quali anche la seconda volta la donna, una volta resasi conto che il dottore che avrebbe dovuto misurarle la pressione non era presente, così come le aveva detto l’A. , non sia subito scappata via o per le quali le sia stato impedito di alzarsi dal lettino. Va invero ribadito, come già ritenuto da questa Corte regolatrice, che l’idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima va esaminata non secondo criteri astratti e aprioristici, ma valorizzando in concreto ogni circostanza oggettiva e soggettiva Sez. 3, numero 14085 del 24/01/2013 - dep. 26/03/2013, R., Rv. 255022 vero è che quanto alle modalità della costrizione può assumere rilevanza anche l’intimidazione psicologica della vittima in situazioni particolari tali da influire negativamente sul suo processo mentale di libera volizione, ma anche tale profilo non viene affrontato dai giudici di merito, di talché resta comunque da chiarire il nucleo fondante del reato, ovverosia l’attentato alla libertà di autodeterminazione della vittima. D’altra parte la fragilità psichica della p.o., ampiamente menzionata dalla sentenza impugnata, non sembra integrare l’ipotesi della violenza per induzione, ricorrente in presenza di una condizione di menomazione psichica, sia pure transeunte, atta a ridurre la vittima, a causa delle sue ridotte capacità intellettive e/o volitive, a mero strumento di soddisfazione delle pulsioni sessuali del suo aggressore Sez. 4, numero 40795 del 17/09/2008 - dep. 31/10/2008, Rv. 241326 Sez. 3, numero 2646 del 16/12/2003 - 27/01/2004, Rv. 227029 , posto che viene espressamente escluso, in conformità a quanto riferito dal medico curante della p.o., che la patologia da cui la donna era affetta, consistita in un disturbo ossessivo di grado pronunciato, associato a sindrome depressiva, prevedesse alcuna alterazione della capacità di intendere e di volere. Del resto la circostanza che costei fosse pervasa da un malessere fisico, non sentendosi bene già da alcune ore, non le aveva impedito di opporsi, con inequivocità di condotta, alle prime avances effettuate dal C. all’inizio di quella stessa serata nello stanzino della biancheria dove questi aveva tentato di baciarla. Le rilevate incongruenze motivazionali, che già avevano costituito motivo di doglianza in appello per essere state eccepite le contraddittorietà del racconto della p.o. in relazione all’esistenza della condotta integratrice la violenza per costrizione, impone conseguentemente l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bari, che dovrà procedere a nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bari per nuovo giudizio.